La sentenza in commento costituisce un importante arresto giurisprudenziale in materia di “maltrattamenti in famiglia”. L’indagato (oggi tratto a giudizio con il rito immediato), a seguito della denuncia sporta dalla moglie nel maggio 2013 era stato attinto dalla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa coniugale e del divieto di avvicinamento e comunicazione con i familiari; per tramite della sottoscritta aveva impugnato detto provvedimento dinanzi al Tribunale della Libertà della capitale, sostenendo l’illegittimità della stessa in ragione del difetto di prove circa la commissione delle condotte ascritte e l’assoluta non riconducibilità delle stesse alla grave fattispecie di reato di cui all’art. 572 c.p., per come si evinceva dalla documentazione esibita. Adduceva, a sostegno della sua tesi, la palese “strumentalità” della denuncia, finalizzata dalla coniuge all’ottenimento di condizioni di separazione vantaggiose, posto che egli le aveva richiesto la separazione circa cinque mesi prima della querela, avendo scoperto le numerose e ripetute infedeltà della medesima. Il Tribunale del Riesame, dal canto suo, disattendendo completamente tutte le prove allegate dalla difesa, aveva rigettato il ricorso. Proposta tempestiva impugnazione, la Suprema Corte nel dare atto dell’omessa valutazione delle prove a discarico, affermava che “sembra di poter agevolmente desumere come i comportamenti prevaricatori e/o violenti ascritti all’indagato, si riducono a tre nell’arco di un triennio, in contesto familiare e coniugale in costante deterioramento per via sia dei rapporti di segno negativo tra padre e figlio, sia dell’allentamento del vincolo coniugale determinante l’instaurazione di due relazioni extraconiugali da parte della XXXX. Così fissati i termini fattuali della vicenda non sembra però possibile poterli complessivamente ricomprendere in un contesto unitario, normativamente connotato dalla figura di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi delineata dall’art. 572 c.p.”. Orbene, nella specie, i Supremi Giudici, hanno valutato in tutt’altra maniera rispetto al Tribunale di Roma il contesto familiare e coniugale delineato dalla produzione di alcune chat Facebook intercorse fra i coniugi ed allegate da questo difensore al Riesame, arrivando alla conclusione che i reati eventualmente ascrivibili all’indagato sarebbero quelli di minacce, ingiuria e lesioni e non già quello di cui all’art. 572 c.p., mancando “l’unitarietà delle condotte”. Va da sé che difettando le condizioni di procedibilità per tutti i reati evidenziati in sentenza a causa di un rilevabile difetto di querela nei termini di legge, anche l’esito del giudizio immediato disposto nei confronti dell’odierno imputato non appare più come invece era apparso al PM che lo ha richiesto ed ottenuto dal GIP. La considerazione finale rispetto a questa intricata vicenda processuale, è che andrebbe evitato che vi siano casi in cui la denuncia verso il coniuge per reati gravi possa diventare una sorta di “escamotage” processuale finalizzato ad evitare l’addebito della separazione al denunciante, ovvero una vendetta di un coniuge nei confronti dell’altro ove mai non si riesca a raggiungere un accordo in ordine ai termini economici della separazione. La giurisprudenza di merito ci ha dimostrato come, purtroppo, vi siano stati numerosi casi in cui uno dei coniugi ha utilizzato la legge penale a mo’ di clava per ottenere vantaggi patrimoniali dal coniuge da cui si stava separando, bypassando di fatto le norme codificate che regolano l’istituto dell’addebito. Naturalmente vanno scriminate situazioni e comportamenti, così come ha fatto la Cassazione Penale nel caso in commento, ripristinando una prospettiva serena e logica rispetto alle prove fornite da indagato e parte offesa, che fortunatamente hanno consentito di affermare un principio di Diritto che non ha assolutamente tenuto conto della “sensibilità popolare” - come è giusto che sia - dimostrando ancora una volta come la Giustizia debba muoversi e valutare il caso singolo indipendentemente dal clima creatosi in conseguenza di gravi casi di cronaca che nulla hanno a che spartire con le vicende dei singoli indagati.