Pronunciare la frase “Lei non sa chi sono io, la pagherà”, può rappresentare soltanto una frase sgarbata, indice di arroganza e maleducazione, ma a volte può anche comportare la condanna per il reato di ingiuria e minacce. E' quanto stabilisce la Sezione V della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11621 del 27 marzo 2012, che ha accolto la richiesta del procuratore della Corte d’Appello di Salerno che voleva la condanna per ingiurie e minacce del ricorrente, salvato invece dal giudice di pace. Il giudice di prima istanza aveva assolto l'imputato ritenendo l'inidoneità offensiva delle espressioni asseritamente minacciose e l'esimente della provacazione in relazione alle ingiurie. La Cassazione, di contro, afferma che la frase va letta in combinato disposto con la promessa di una vendetta che può essere percepita dall’ascoltatore più plausibile, proprio perché chi la pronuncia lascia intendere di essere in una posizione in cui può nuocere. La Cassazione non è d’accordo neppure nel qualificare come fatto ingiusto, una querela che la signora minacciata aveva presentato contro il “personaggio misterioso”. Una denuncia non può essere di per sé considerata un’ingiustizia a prescindere dalla sua fondatezza, in ogni caso la reazione non era arrivata a caldo, facendo così presumere che fosse solo il risultato di vecchi rancori. Con la sentenza del 27 marzo 2012 n. 11621, la Cassazione torna per la seconda volta a sottolineare l’inopportunità di ricorrere a un modo di dire che è indice di arroganza e maleducazione e spesso, anche di fantasia. La prima volta lo ha fatto, con la sentenza n.138 del 2006, confermando una sanzione disciplinare a carico di un avvocato. Il legale non aveva gradito che una dipendente dell’ordine degli avvocati, intenta a fare le fotocopie, avesse dimenticato di accoglierlo come meritava.