La lesione della reputazione - la quale va valutata in abstracto, ossia con riferimento al contenuto della reputazione quale si è formata nella coscienza sociale di un determinato momento storico - è un danno in re ipsa, in quanto privativo di un valore della persona umana. (Nella specie, la vicenda iniziava con la pubblicazione del libro intitolato "Pigiami e camici" dove l'autore, già dirigente di primo livello presso un Istituto sanitario, aveva inserito, sotto il titolo "Tre medici al bar", il contenuto di un immaginario colloquio tra medici ospedalieri durante il quale uno dei tre lamentava, fra l'altro, che il primario del suo reparto fosse un ex assessore comunale democristiano, del tutto ignorante in fatto di medicina, "presuntuoso come sono spesso i piccoli di statura", e tuttavia appoggiato dal direttore generale, definito "un manager del cavolo", il quale non era in condizione di percepire come tale primario fosse ignorante e non in grado di dirigere un dipartimento. Allo stesso tempo era apparsa sul settimanale "L'espresso" un'intervista al medesimo autore che faceva le stesse dichiarazioni, e successivamente era stato pubblicato un altro libro scritto dallo stesso e dello stesso tenore del primo. Tutte queste pubblicazioni contenevano elementi che, presi nel loro complesso, consentivano di individuare nella persona offesa il soggetto di cui alle affermazioni citate, con conseguente grave lesione del suo onore e della sua reputazione professionale.)