I dirigenti dell’azienda posti in posizione di responsabilità rispondono di omicidio colposo per la morte del lavoratore esposto all’amianto anche se il decesso avviene in tarda età. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 33311/2012. Per la Corte “è ovvio che a configurare il delitto di omicidio è bastevole l’accelerazione della fine della vita. Pertanto, di nessun significato risulta l’affermazione che taluna delle vittime venne a decedere in età avanzata. La morte infatti costituisce limite certo della vita e a venir punita è la sua ingiusta anticipazione per opera di terzi, sia essa dolosa che colposa”. Secondo i giudici, infatti, sussiste “il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l’esatto momento dell’insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza”. In un altro passaggio si legge che: “L’uso dell’amianto in Fincantieri era talmente diffuso … da non potersi considerare la sua pericolosità per la salute dei lavoratori questione alla quale taluno dei chiamati qui in responsabilità poteva dirsi estraneo, perché investito di un livello di vigilanza di più generale profilo”. Ragion per cui “correttamente è stata ritenuta la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa”. E neppure vale come esimente l’asserita inerzia dell’Inail e delle autorità sanitarie locali, infatti, per la Corte le dimensioni dell’impresa, la vasta esperienza, le competenze di settore, il possesso di congrui titoli di studio da parte dei soggetti chiamati a rispondere erano sufficienti a far cogliere l’elevata rischiosità per la salute delle lavorazioni svolte.