La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.44840/10, ha statuito che non sussiste furto ex art. 624 c.p. nel caso di duplicazione di file informatici, sia per l'inesistenza di uno spossessamento, sia per l'impossibilità di rincondurre detti file nel novero delle cose mobili. Invero, secondo il principio enunciato dalla stessa Corte, è da escludere la configurabilità del reato di furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di "files" contenuti in un supporto informatico altrui, non comportando tale attività la perdita del possesso della "res" da parte del legittimo detentore. Una tale interpretazione trova conferma nella esplicita volontà del Legislatore che nella Relazione al disegno di legge n. 2773 (con il quale si è introdotta nel codice penale una disciplina di contrasto della criminalità informatica) ha espressamente precisato che la condotta di sottrazione di dati, programmi, informazioni di tal genere non è riconducibile alla norma incriminatrice sul furto, in quanto i dati e le informazioni non sono comprese nel concetto, pur ampio, di "cosa mobile" in essa previsto; ed ha ritenuto altresì "non necessaria la creazione di una nuova ipotesi di reato osservando che la sottrazione di dati, quando non si estenda ai supporti materiali su cui i dati sono impressi (nel qual caso si configura con evidenza il reato di furto), altro non è che una "presa di conoscenza" di notizie, ossia un fatto intellettivo rientrante, se del caso, nelle previsioni concernenti la violazione dei segreti.