La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20663 del 7 ottobre 2011 ha affermato che "in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo". In particolare la Suprema Corte precisa che, mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato ad una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti si possa coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove. Accolto, dunque, il motivo di ricorso del datore di lavoro (avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello riconosceva la sussistenza del danno da demansionamento anche in mancanza di uno specifico pregiudizio di natura patrimoniale) con cui lamentava la violazione della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui dalla lesione della professionalità non consegue automaticamente un danno, incombendo comunque al lavoratore l'onere della prova del danno subito. Nel caso in esame - evidenziano i giudici di legittimità - difetta l'allegazione della prova del verificarsi dei danni denunziati dal lavoratore e della loro dipendenza causale dalla condotta datoriale in quanto, come prova del danno, si indicano la perdita di chanche e danni alla carriere senza indicare quali effettivamente siano.