L'art. 2119 c.c., comma 2, in tema di effetti del fallimento sui rapporti di lavoro pendenti alla data della relativa dichiarazione stabilisce che esso "non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto". Secondo un risalente orientamento tale precetto, per il quale il fallimento non può determinare di per sè lo scioglimento del rapporto di lavoro, va coordinato con l'art. 72 L. Fall. che, nella formulazione originaria ratione temporis vigente per la presente fattispecie, prevede che, in caso di "vendita non ancora eseguita da entrambi i contraenti", "l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del giudice delegato, dichiari di subentrare in luogo del fallito nel contratto, assumendone tutti gli obblighi relativi, ovvero di sciogliersi dal medesimo", con un meccanismo ritenuto applicabile per ogni ipotesi negoziale non munita di espressa disciplina e, quindi, anche nel caso di rapporti di lavoro pendenti (cfr. Cass. n. 799 del 1980; Cass. n. 1832 del 2003).