La L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 come modif. dalla L. 11 maggio 1990, n. l08, stabilisce che, fermo restando il diritto al risarcimento del danno di cui al comma precedente, al prestatore di lavoro illegittimamente licenziato e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' della retribuzione globale di fatto. La giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare che, nel caso di scelta, da parte del lavoratore illegittimamente licenziato, dell'indennita' sostitutiva della reintegrazione ai sensi dell'art. 18, comma 5, cit., fino all'effettivo pagamento dell'indennià il datore è obbligato a pagare le retribuzioni globali di fatto (Cass. 6 marzo 2003 n. 3380, 28 luglio 2003 n. 11609, 16 marzo 2009 n. 6342). Il sistema dell'art. 18 cit.- come ancora puntualizzato da questa Corte (v. Cass.16 novembre 2009 n. 24199)- si fonda sul principio di effettiva realizzazione del!'interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo; principio che Cass. n. 6342 del 2009 chiama "di effettività dei rimedi" e che impedisce al datore di lavoro di tardare nel pagamento dell'indennita' in questione assoggettandosi al solo pagamento di rivalutazione e interessi ex art. 429 c.p.c.. Il principio di effettivita' dei rimedi giurisdizionali, espressione dell'art. 24 Cost., significa per quanto qui interessa che il rimedio risarcitorio, ossia del risarcimento del danno sopportato dal lavoratore per ritardato percepimento dell'indennita' sostitutiva ex art. 18 cit., deve ridurre il più possibile il pregiudizio subito dal lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall'inadempimento o dal ritardo nell'adempiere l'obbligo indenitario. Cio' posto, va precisato, in considerazione delle deduzioni della società ricorrente- che non e' dubbio che la scelta dell'indennita' sostitutiva da parte del lavoratore sia irrevocabile e' che il rapporto di lavoro non possa percio' essere ricostituito. Tuttavia l'ammontare del risarcimento del danno da ritardo dev'essere pari alle retribuzioni perdute, fino a che il lavoratore non venga effettivamente soddisfatto. Ne' sembra necessario stabilire se trattisi di obbligazione con facolta' alternativa, schema che la dottrina dubita poter ricorrere quando la scelta spetti al creditore e che la Corte costituzionale evoco' con l'ord. n. 291 del 1996 in specifica questione qui estranea, potendosi piuttosto ravvisare una dichiarazione di volonta' negoziale del lavoratore, i cui effetti limitatamente all'ammontare dell'indennita' sono sottoposti al termine dell'effettivo ricevimento di essa.