Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 febbraio – 4 aprile 2011 n. 7645
A..M. ha stipulato più contratti di lavoro a tempo determinato con Poste italiane come portalettere.
Ha chiesto che venisse accertata la nullità del termine, sin dal primo contratto.
Il Tribunale di Pistoia ha dichiarato nulla la clausola apposta al primo contratto, stipulato il 10 dicembre 1997 (esigenze produttive eccezionali e temporanee conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale).
La Corte d'appello di Firenze ha ritenuto tale clausola legittima, ma ha accertato la nullità della clausola apposta al successivo contratto a tempo determinato stipulato il 1 luglio 1998 (necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), dichiarando che tra le parti era in atto un rapporto di lavoro da quella data e condannando Poste al pagamento delle retribuzioni maturate dal 17 luglio 2002, data di offerta della prestazione, alla effettiva riammissione in servizio.
Poste italiane ricorre per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza per tre motivi.
Il M. si difende con controricorso e propone ricorso incidentale articolato in due motivi, chiedendo che la sentenza sia cassata nella parte in cui ha ritenuto legittimo il primo contratto, modificando la decisione di segno diverso del Tribunale.
Poste italiane ha notificato e depositato un controricorso a ricorso incidentale. Poste ha depositato una memoria per l'udienza.
Deve essere esaminata preliminarmente proprio la prima questione posta con il ricorso incidentale, concernente il primo dei contratti stipulati dalle parti.
Il Tribunale di Pistoia aveva accolto la domanda e dichiarato nulla la clausola di apposizione del termine perché il ricorrente aveva sostenuto con l'atto introduttivo che il contratto era stato stipulato travalicando il limite percentuale del 10% di assunzioni a termine in relazione al numero delle assunzioni a tempo indeterminato.
La Corte d'appello, nel riformare la sentenza di primo grado per ragioni non attinenti a questo problema, ha omesso di decidere e motivare sul punto.
Il ricorrente incidentale ripropone il tema, facendone oggetto di specifica censura della decisione.
La società, nel suo controricorso a ricorso incidentale, sostiene, da un lato, di aver allegato alla memoria di primo grado prospetti da cui si evince che il limite venne rispettato, dall'altro, che l'onere della prova gravava sul lavoratore, richiamando l'orientamento di Cass. 11 dicembre 2002, n. 17674.
A prescindere dal fatto che sussiste un evidente vizio di omessa decisione e motivazione sul punto, la sentenza deve essere cassata perché la sentenza richiamata da Poste non costituisce un punto di riferimento.
Cass., 19 gennaio 2010, n. 839 ha in proposito puntualizzato quanto segue. “L'art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, al comma 1 dispone testualmente: L'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modificazioni ed integrazioni, nonché al D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato. Si è più volte ribadito, in linea con quanto sostenuto da autorevole dottrina, che l'unica limitazione imposta alla contrattazione collettiva dalla L. n. 56 del 1987 era quella di stabilire il numero percentuale dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato; limitazione che funge da contrappeso agli ampi poteri alla stessa contrattazione assegnati, perché a fronte del sistema di tassatività previsto dalla L. n. 230 del 1962, la normativa del 1987 ha mostrato di volere procedere ad una significativa inversione di tendenza per avere, appunto, assegnato all'autonomia sindacale il compito di individuare, come detto, ipotesi di contratto a termine ulteriori rispetto a quelle previste per legge (cfr. in motivazione Cass. 7 dicembre 2005 n. 26989).
Relativamente alla prova dell'osservanza della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati dall'azienda con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il relativo onere è a carico del datore di lavoro, in base alla regola esplicitata dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3 secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l'obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro.
Non è perciò condivisibile l'affermazione contenuta nella pronuncia di questa Corte n. 17674 dell'11 dicembre 2002, secondo cui incombe al lavoratore, ai sensi del disposto dell'art. 2697 c.c., provare le ragioni della dedotta illegittimità del contratto di lavoro, per violazione del requisito numerico. Del resto la decisione ora richiamata non affronta ex professo la questione dell'interpretazione della L. n. 230 del 1962, ex art. 3 in quanto sostiene che l'assunto del lavoratore circa il carico dell'onere della prova in ordine all'osservanza del requisito numerico, da addossare al datore di lavoro, non poteva trovare ingresso in quella sede perché a fronte di una affermazione della sentenza di primo grado, secondo cui il lavoratore non aveva ritualmente eccepito il superamento del limite numerico di assunzione degli ufficiali di riscossione con contratto a termine, lo stesso non aveva sul punto proposto uno specifico motivo di gravame, e che in ogni caso, avendo il lavoratore posto a sostegno delle sue richieste l'illegittimità del contratto a termine stipulato con la società datrice di lavoro per violazione del requisito numerico, incombeva al lavoratore stesso, in applicazione del generale principio sancito dall'art. 2697 c.c., provare le ragioni della dedotta illegittimità.
E tale precedente giurisprudenziale è d'altra parte superato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, la quale di recente, nel ribadire come nel regime di cui alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, la facoltà delle organizzazioni sindacali di individuare ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata dall'art. 23 alla determinazione delle percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto a termine sul totale dei dipendenti, ha sottolineato che non è sufficiente l'indicazione del numero massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed a pena di invalidità dell'apposizione del termine nei contratti stipulati in base all'ipotesi individuata ex art. 23 citato, l'indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, si da potersi verificare il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine (Cass. 12 marzo 2009 n. 6010)”.
L'accoglimento di questo motivo assorbe la questione posta con il secondo motivo del ricorso incidentale, nonché tutti motivi del ricorso principale che censurano la decisione nella parte in cui ha dichiarato illegittimo il secondo contratto. La sentenza deve pertanto essere cassata e rinviata alla Corte d'Appello di Firenze in altra composizione, che dovrà esaminare e decidere della legittimità del primo contratto a termine stipulato tra le parti in base al principio di diritto sull'onere della prova su specificato, con le determinazioni conseguenti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo motivo, nonché il ricorso principale. Cassa rinvia alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese.
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