Una recentissima sentenza della Cassazione, la n. 4476, ha restituito a tutte le “Roberte” la dignità di un lavoro a tempo indeterminato, libero dagli infingimenti del “co.co…” del caso e dei rituali da villaggio turistico immortalati nel film di Virzì “Tutta la vita davanti”. Roberta era sottoposta «non tanto a generiche direttive, ma ad istruzioni specifiche, sia nell’ambito di briefing finalizzati a fornire informazioni e specifiche in merito alle prestazioni contrattuali, sia con puntuali ordini di servizio, o a seguito di interventi dell’assistente di sala». I centralinisti avevano l’obbligo «di utilizzare un linguaggio appropriato ai contenuti dell’attività professionale, con padronanza di dialogo, capacità di persuadere e massima cortesia nei confronti dell’utenza pertanto si trattava di indicazioni che denotavano un generale obbligo di coordinamento con le esigenze aziendali». E che dire dell’orario di lavoro ristretto nelle sei ore per sei giorni? La Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello di Roma che il 15 settembre 2009, aveva dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 2001 e fino ad oggi condannando il call center a riassumere la lavoratrice, che nel frattempo era stata licenziata, e a pagarle le retribuzioni non corrisposte e la possibilità per tutte le Roberte ed i Roberti dei call-center di poter chiedere il mutuo per l’acquisto di una casa…