Si al risarcimento del danno esistenziale nel caso di dequalificazione del dipendente pubblico. Il caso vede una lavoratrice, dipendente pubblico, rientrare al lavoro dopo una lunga assenza giustificata da una malattia, ed essere destinataria di un demansionamento, con conseguente dequalificazione, che l'hanno portata ad un pensionamento anticipato con disturbo depressivo cronico e conseguenti sofferenze psichiche ed alterazioni delle proprie abitudini di vita. In fase di riorganizzazione generale di un servizio e di soppressione di precedenti uffici, l'impiegato non possa rivendicare un diritto soggettivo ad un incarico piuttosto che ad un altro, ma solo pretendere il rispetto della professionalità acquisita che, non avendo ancora preso funzioni in concreto, il giudice può valutare solo con riferimento al confronto dell'equivalenza delle mansioni descritte e della correttezza e lealtà delle relazioni lavorative in cui la trasformazione organizzativa è avvenuta. Una volta provato il demansionamento, la dequalificazione professionale ben può comportare la lesione della dignità professionale del lavoratore, intesa come esigenza di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo. In merito alla quantificazione di tale voce di danno, la situazione di mortificazione e frustrazione in termini di disagio oggettivo che consegue all'inadempimento datoriale ben può essere misurata attendibilmente facendo riferimento alla retribuzione, quest'ultima essendo indice anche dell'apprezzamento della professionalità, in senso lato, del lavoratore, e non solo del prezzo della prestazione resa.