La Suprema Corte ha ritenuto che la consulenza tecnica d'ufficio non sia un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi già acquisiti al processo, e quindi costituisce un mezzo di controllo dei fatti costituenti la prova, che deve essere fornita dalla parte a sostegno della propria posizione giuridica. Ne consegue che la consulenza non rientra nella disponibilità delle parti ma è rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale esattamente decide di escluderla ogni qual volta si avveda che la richiesta della parte tende a supplire con la consulenza la deficienza della prova o a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provate (Cass., 2.1.2002 n. 10). È pur vero che il giudice di merito può affidare al consulente tecnico non solo l'incarico di valutare i fatti accertati (cosiddetto consulente deducente) ma anche quello di accertare i fatti stessi (cosiddetto consulente percipiente), ma ciò si verifica solo allorché si tratta di situazioni rilevabili solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche (Cass., 19.1.2006 n. 1020), non potendo in nessun caso la consulenza d'ufficio avere funzione sostitutiva dell'onere probatorio delle parti.