L'eccessiva morbilità dovuta a reiterate assenze (anche se “incolpevoli” e nei limiti del periodo di comporto) da cui deriva una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte della società, perché inadeguata e discontinua sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l'organizzazione aziendale, legittima il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. È questo il principio espresso dalla Suprema Corte nella sentenza in commento. Nel caso all’esame della Corte, un lavoratore aveva impugnato la decisione della Corte d'Appello che aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo irrogatogli in ragione delle sistematiche assenze "a macchia di leopardo" comunicate in limine. In particolare, il lavoratore lamentava che la società non aveva offerto alcuna prova in ordine alla circostanza che le assenze avessero causato problemi al buon andamento della stessa (che peraltro è organizzata in modo da poter sostituire senza difficoltà un lavoratore per improvvisa malattia). La Cassazione, nella statuizione in commento, ha precisato in prima battuta che la fattispecie del recesso del datore di lavoro per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore è soggetta alla disciplina speciale di cui all'art. 2110 c.c., in ragione della quale “il datore di lavoro, da un lato, non può recedere dal rapporto prima del superamento del cosiddetto periodo di comporto, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo, nè della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, nè della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse”. Tuttavia, la malattia, in questo caso, non rileva di per sé, ma in quanto le assenze in questione, anche se incolpevoli, hanno determinato scarso rendimento e inciso negativamente sulla produzione aziendale. In effetti, nel caso de quo le assenze venivano comunicate all'ultimo momento, determinando la difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un sostituto (considerato, fra l'altro, che il lavoratore, risultava assente proprio allorchè doveva effettuare il turno di fine settimana o il turno notturno). Da qui la legittimità dell’impugnato licenziamento.