Responsabilità dei genitori per omessa vigilanza per gli incidenti stradali causati dal figlio
Cassazione civile, sez. III, sentenza 29.11.2011 n° 25218
Avv. Giorgio Gasperin
di Mas di Sedico (BL)
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Si configura la responsabilità per omessa vigilanza in capo ai genitori che non dimostrino di aver svolto una adeguata sorveglianza sulla condotta del proprio figlio minore in ordine all'utilizzo del ciclomotore, da cui sia poi derivato danno a terzi. (Caso in cui il giudice aveva attribuito ai genitori una responsabilità per fatti di un figlio diciassettenne, che trasportava sul suo ciclomotore altro minorenne, quando veniva investito da un'autovettura proveniente dall'opposto senso di marcia, che aveva improvvisamente operato una svolta a sinistra. Il minore trasportato aveva subito in conseguenza del sinistro gravi lesioni personali con postumi permanenti e il giudice attribuiva la responsabilità ex art. 2048 c.c. avvenuta per mancata educazione o per omesso controllo.)
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 21 ottobre – 29 novembre 2011, n. 25218
(Presidente Preden – Relatore Carleo)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, G.F. e M.G., quali esercenti la potestà sul figlio minore G.M., esponevano che in data (omissis) il loro figliuolo era trasportato sul ciclomotore condotto da F.R., anch'egli minore, quando il ciclomotore veniva investito dall'autovettura condotta dal proprietario R.R., ed assicurata con la RAS assicurazioni spa, proveniente dall'opposto senso di marcia, che aveva improvvisamente operato una svolta a sinistra. Aggiungevano che il minore aveva subito in conseguenza del sinistro gravi lesioni personali con postumi permanenti. Ciò premesso, convenivano in giudizio il R. e la Ras Spa per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Al giudizio, introdotto dal G. e dalla M., veniva riunito altro giudizio introdotto da F.F. e L.V., esercenti la potestà sul figlio minore F.R., per ottenere il risarcimento dei danni subiti dal loro figlio. In esito, il Tribunale di Forlì riteneva la concorrente responsabilità dei due conducenti, nella misura del 75% a carico del R., e del 25% a carico del F.; condannava le parti convenute R. e Ras a pagare a G.M. la somma di Euro 30.615,11 oltre interessi e svalutazione ed a F.R. la somma di Euro 6.606, 14 a titolo di danno biologico e morale nonché la somma di Euro 1.301,54 a titolo di rifusione spese mediche e danno al ciclomotore, oltre interessi e svalutazione; in accoglimento della domanda di manleva proposta da RAS Spa, condannava F.F. e L.V. a tenere indenne la RAS del 25% della somma corrisposta a G.M. Avverso tale decisione proponevano appello F.F., L.V. e F.R. ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Bologna con sentenza depositata in data 28 maggio 2008 respingeva l'impugnazione. Avverso la detta sentenza i F. e la L. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso la Allianz Spa, la quale ha depositato a sua volta memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con le prime tre doglianze, intimamente connesse tra loro, i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione dell'art.342 cpc (con i primi due motivi) nonché il vizio di motivazione contraddittoria (con il terzo) deducendo che la Corte di merito avrebbe sbagliato nel dichiarare inammissibile il terzo motivo di appello per difetto di specificità e sarebbe incorsa nel vizio motivazionale sopra indicato omettendo di prendere in considerazione la parte descrittiva dell'atto di impugnazione.
Ed invero, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto considerare che gli appellanti, facendo riferimento nella parte narrativa dell'appello ad una serie di danni richiesti in prime cure, avevano inteso in tal modo contrapporre alla liquidazione dei danni operata dal giudice di prime cure una loro più corretta determinazione. Del resto, a pag.12 dell'atto di citazione d'appello, ultima riga, avevano formulato la doglianza nei seguenti termini "il danno è stato liquidato in prime cure in misura assai inferiore a quanto è stato richiesto e, perciò, si insta per l’implementazione secondo le voci indicate in narrativa che appaiono suscettibili di accoglimento perché maggiormente meritevoli di accoglimento rispetto all'operata liquidazione" (cfr pag.15 del ricorso).
Le censure sono manifestamente infondate. A riguardo, giova premettere che, al fine di soddisfare il requisito di specificità richiesto dall'art. 342 c.p.c., occorre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. Se è vero infatti che l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell'appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, è necessario però che ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice, (cfr Sez. Un. n. 28057/08).
In particolare, nel formulare un motivo di appello riguardante la pretesa erroneità della liquidazione dei danni, effettuata dal primo giudice, l'appellante non può esaurire la sua ragione di doglianza nella reiterazione delle sue richieste e nell'affermazione che esse devono essere accolte perché "maggiormente meritevoli di accoglimento rispetto all'operata liquidazione" ma ha l'onere di indicare specificamente, per ciascuna delle voci censurate, gli errori di fatto e di diritto attribuibili alla sentenza in modo da contrapporre con sufficiente grado di specificità le proprie ragioni di censura alle ragioni poste dal giudice a base delle sue valutazioni. In difetto, ove l'appellante solleciti una più congrua quantificazione del risarcimento senza chiarire gli errori, rispetto all'equo ed al giusto, in cui sarebbero incorsi i primi giudici, la censura deve essere dichiarata inammissibile. Ne deriva l'infondatezza delle doglianze in esame.
Con la quarta doglianza, per violazione o falsa applicazione dell'art. 171 /1-3 del codice della strada, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per avere i giudici di appello fondato la propria decisione su una circostanza di fatto assolutamente inesistente, vale a dire quella secondo cui il ciclomotorista circolava di notte senza tenere le luci accese, avendo i verbalizzanti contestato al F. l'infrazione di cui all'art.171/3 co. C.d.s. In tal modo, la Corte di appello aveva erroneamente applicato la norma citata perché essa, in realtà, non riguarda assolutamente la circolazione senza fari in ora notturna bensì l'inosservanza dell'obbligo del casco protettivo. Con la conseguenza che la contestazione della relativa infrazione da parte dei verbalizzanti non autorizzava "minimamente il giudice a ritenere sussistente, nel caso concreto, il mancato uso dei fari da parte del motociclo in ora notturna" (così, nel quesito conclusivo).
La censura è inammissibile. Come si desume dallo stesso contenuto della doglianza, riportata nella sua essenzialità, i ricorrenti lamentano che la decisione della Corte di merito si fonda su una falsa percezione della situazione di fatto (circolazione senza fari in ora notturna), in realtà insussistente. E ciò per effetto di un errore dei giudici circa l'infrazione effettivamente contestata dai verbalizzanti, errore che però risulta obiettivamente ed immediatamente rilevabile in quanto l'art.171 sopra citato concerne un'infrazione assolutamente diversa. Ma qualora il giudice del merito fondi la sua decisione supponendo l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, la sentenza non è viziata da un errore logico-giuridico bensì da un errore di fatto, essendo il giudice incorso nel c.d. travisamento dei fatti, consistente nell'inesatta percezione di circostanze presupposte come base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo. Ed è appena il caso di osservare come il travisamento dei fatti non possa costituire motivo di ricorso per cassazione, non consistendo in vizi logici o giuridici, ma costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.
Passando al quinto motivo, per violazione e/o falsa applicazione dell'art.115 cpc, deve rilevarsi che, ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe sbagliato quando ha qualificato come notorio il fatto che la presenza di un passeggero a bordo di un ciclomotore, determinando un carico eccessivo, riduce non solo la stabilità del mezzo ma anche la sua capacità di frenata.
La doglianza è infondata. A riguardo, occorre premettere che, secondo l'orientamento di questa Corte, ove il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 115, secondo comma, cod. proc. civ. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. (Cass. n. 22880/08).
Ciò premesso, torna utile sottolineare che delle nozioni di comune esperienza, intese come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fatti, il giudice è certamente facultato ad avvalersi come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l'argomentazione di tipo presuntivo. Ed è quanto avvenuto nel caso di specie in cui i giudici di merito, premesso che il minore F. al momento del sinistro stava trasportando M.G. nonostante il ciclomotore fosse omologato per il trasporto del solo conducente, sulla base di nozioni tecniche di patrimonio comune, hanno tratto la conseguenza logica che tale fatto avesse certamente influito sulla determinazione del sinistro in termini di manovrabilità del mezzo e di possibilità d'arresto. E non è dubitabile che costituisca massima d'esperienza comune la circostanza che l'impianto frenante di un ciclomotore, progettato per una sola persona, abbia un'efficacia, ben minore, quando il mezzo sia appesantito per effetto del maggior peso determinato dalla presenza di un passeggero a bordo.
Restano da esaminare le ultime due censure, rispettivamente per violazione dell'art.2048 cc e nullità della sentenza per error in iudicando ex art.360 n.4 cpc in relazione al medesimo art. 2048 cc, con cui i ricorrenti hanno dedotto l'erroneità della decisione per aver il giudice attribuito ai genitori una responsabilità per fatti di un figlio diciassettenne, comportatosi sempre come uno studente modello (sesto motivo), e per non aver esplicitato le ragioni della loro condanna, se avvenuta "per mancata educazione o per omesso controllo" (settimo motivo).
Entrambe le censure sono inammissibili. La prima delle due (la sesta secondo l'ordine del ricorso) è inammissibile per il difetto di correlazione del quesito (vero che viola l'art.2048 cc il giudice che accolla ai genitori la responsabilità per fatti di un figlio diciassettenne che è sempre stato uno studente modello) con le ragioni della sentenza, fondata invece sulla mancata dimostrazione di adeguata vigilanza dei genitori sulla condotta del minore in ordine alle modalità di utilizzo del ciclomotore. L'ultima doglianza è inammissibile perche il motivo di impugnazione lamenta espressamente la nullità della sentenza per error in iudicando ex art.360 co. 1 n.4 del C.P.C. Ora, quest'ultima norma si riferisce a vizi di attività, derivanti cioè dalla violazione di norme processuali, sia quelle che riguardano la sentenza come atto (artt. 132, 161) e la costituzione del giudice (art.158), sia quelle che attengono al procedimento in senso stretto che per derivazione si estendono alla sentenza stessa, e non concernono invece le eventuali omissioni e carenze motivazionali, che correttamente devono essere dedotte sotto il profilo dell'art.360 co. 1 n. 5 cpc. Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle doglianze dedotte il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
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