Il coniuge separato non perde il diritto al risarcimento del danno, sia pure in forma ridotta, per l’incidente mortale del coniuge non più convivente. La separazione, infatti, “in sé e per sé, non è di ostacolo al riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale”. Lo ha stabilito la terza sezione civile della Corte di cassazione, con la sentenza 1025/2013, confermando, seppure ridimensionandola nel quantum, una sentenza della Corte d'appello di Milano che nel fissare i risarcimenti per i familiari di una donna deceduta in un incidente d'auto liquidava una somma anche per l'ex marito. Secondo i giudici: “Il risarcimento del danno non patrimoniale sotto il profilo del pregiudizio morale può essere accordato ad un coniuge per la morte dell'altro anche se vi sia tra le parti uno stato di separazione personale, purché si accerti che l'altrui fatto illecito (nella specie il sinistro stradale causa del decesso) abbia provocato nel coniuge superstite quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona più o meno cara”. Tuttavia, chiarisce la Suprema corte, “è necessario dimostrare che, nonostante la separazione, sussista ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso, con la conseguenza che l'evento morte ha determinato un pregiudizio in capo al superstite”. Per cui, “anche se non vi era più un progetto di vita in comune”, il “precedente rapporto coniugale” e “la permanenza di un vincolo affettivo”, rilevabili dalla presenza di un figlio, all'epoca minorenne, nato dall'unione e dal “breve lasso di tempo intercorso dalla frattura della vita coniugale”, secondo gli ermellini, “legittimano la richiesta di risarcimento”. La Corte, però, ha rigettato il ricorso dell'ex marito della vittima, che chiedeva un risarcimento maggiore del danno liquidatogli dai giudici d'appello. Questi, infatti, avevano stabilito una somma di risarcimento pari a 25mila euro per l'ex coniuge, notevolmente inferiore rispetto a quella sancita dal processo di primo grado (84mila euro), tenendo conto del “dato obiettivo della separazione”, e del fatto “della già cessata convivenza” e della conseguente valutazione secondo cui la perdita del coniuge “risulta indubbiamente meno sconvolgente rispetto al conseguito assetto di vita”.