Bocciato il divieto di contrarre matrimonio con un extracomunitario “irregolare”. Per la Consulta, che ha abrogato un periodo dell’articolo 116 del codice civile, si tratta di un diritto “inviolabile della persona” che va riconosciuto a chiunque a prescindere dalla “comunità politica” di appartenenza. Il caso era stato sollevato dal tribunale di Catania a seguito del ricorso di una cittadina italiana che si era vista negare il via libera alla celebrazione delle nozze con un cittadino marocchino, perché il futuro marito non aveva prodotto “un documento attestante la regolarità del permesso di soggiorno”, come invece previsto dall’articolo 116 del codice civile, dopo la novella introdotta dalla legge 94/2011. Per la Corte costituzionale, sentenza 245/2011, se è vero che la «basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero» può «giustificare un loro diverso trattamento» nel godimento di certi diritti (sentenza n. 104 del 1969), in particolare consentendo l’assoggettamento dello straniero «a discipline legislative e amministrative» ad hoc, l’individuazione delle quali resta «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici» (sentenza n. 62 del 1994), quali quelli concernenti «la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione» (citata sentenza n. 62 del 1994). Tuttavia, resta pur sempre fermo che i diritti inviolabili, previsti dall’articolo 2 della Costituzione, spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», in modo tale che la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi» (sentenza n. 249 del 2010). Sebbene, quindi, la ratio della disposizione censurata possa essere effettivamente rinvenuta, come osservato dall’Avvocatura dello Stato, nella necessità di «garantire il presidio e la tutela delle frontiere ed il controllo dei flussi migratori», per la Consulta il sacrificio imposto non è proporzionato alla limitazione della libertà «di contrarre matrimonio non solo degli stranieri ma, in definitiva, anche dei cittadini italiani che intendano coniugarsi con i primi». Dunque, per limitare i matrimoni di comodo va seguita un’altra strada, senza considerare che una normativa specifica vi è già. Ed infatti, l’articolo 30, comma 1-bis, del Dlgs n. 286/1998 prevede, per esempio, che il permesso di soggiorno «è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole». Per la Consulta la norma viola anche l’articolo 117, primo comma, della Costituzione. Infatti, la sentenza ricorda che la Corte europea dei diritti dell’uomo è recentemente intervenuta sulla normativa del Regno Unito in tema di capacità matrimoniale degli stranieri (sentenza 14 dicembre 2010, O’Donoghue and Others v. The United Kingdom), affermando che il margine di “apprezzamento riservato agli Stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (par. 89 della sentenza)”. Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio, è lesiva del diritto di cui all’articolo 12 della Convenzione. Per tutte queste ragioni, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’articolo 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».