E' una discriminazione subordinare la concessione del sussidio casa ad un cittadino comunitario, alla dichiarazione di aggregazione ad un gruppo linguistico autoctono
Tribunale di Bolzano, Sezione Lavoro, Ordinanza del 20 luglio 2011
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 461 volte dal 30/11/2011
massima: Abnorme e in palese contrasto non solo con qualsiasi minimo principio di civiltà giuridica [...] sembra poi la pretesa di imporre anche ai cittadini comunitari non italiani, quale prerequisito per accedere alle prestazioni sociali, l’obbligo di rendere la dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica a gruppi ai quali sono, non solo per lingua, ma anche per tradizione e cultura affatto estranei. La norma finisce per obbligare i lavoratori UE a rinunziare alla propria effettiva nazionalità ed identità culturale per accedere a benefici, che dovrebbero invece essere garantiti in condizioni di parità secondo lo stato di bisogno [...]
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
Il Tribunale di Bolzano, sez. Lavoro, [...] ha pronunciato e pubblicato [...]
la seguente
Sentenza
In punto: Azione civile contro la discriminazione – Sussidio casa – Art. 5 e 91 L.P. n. 13 del 1998 – Requisiti - Dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica – Discriminazione dei cittadini di stati membri appartenenti all'Unione Europea – In ogni caso: azione ordinaria impugnazione del rigetto della domanda di concessione del sussidio casa per l'anno 2009 / 2010 presentata il 21.1.2010 – Risarcimento del danno.
[...]
Fatto e diritto
1. Nel presente procedimento la ricorrente, cittadina comunitaria di madrelingua ceca residente in Alto Adige dal 2003 e precisamente nel territorio del Comune di Bolzano e ivi stabilmente occupata dal 1999, con ricorso ex art. 44 del Dlgs. n. 286/1988 ed art. 442 c.p.c. depositato in data 2 maggio 2011, domanda l’accertamento della condotta discriminatoria serbata dai convenuti, non avendo provveduto a corrisponderle in ragione dell’origine nazionale per l’anno 2009 un contributo mensile previsto a favore dei conduttori meno abbienti per l’integrazione del canone di locazione (in seguito: sussidio casa). La ricorrente, in precedenza, percepiva a tale titolo un sussidio di € 210,00 mensili. La domanda è stata respinta, nonostante essa fosse in possesso dei requisiti temporali di residenza e di occupazione nonché reddituali richiesti, con la seguente motivazione: ”La sig. XXXXXXX ha presentato la domanda per la concessione di un contributo al canone di locazione in data 21/01/2010.
Dall’istruttoria della domanda è emerso che la richiedente non è in possesso del certificato di appartenenza al gruppo linguistico e che quindi non sussistono i requisiti previsti dall’art. 5 comma 4 e 6 della L.P. n. 13/1998. La domanda risulta quindi inammissibile”.
Parte attorea solleva numerosi eccezioni di costituzionalità e di compatibilità con il diritto UE della normativa di riferimento,...
2. La Provincia Autonoma di Bolzano si è costituita in giudizio eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del G.O. ed, in subordine, l’incompetenza funzionale del Giudice del lavoro; nel merito conclude per la reiezione del ricorso, esponendo, in particolare, l’assenza di qualsivoglia discriminazione, giacché la normativa in materia di dichiarazione di appartenenza o aggregazione si applica ai cittadini comunitari in condizioni di assoluta parità rispetto ai cittadini italiani ed evidenziando, infine, la piena compatibilità dell’impianto normativo di riferimento con l’ordinamento costituzionale e dell’Unione.
[...]
5. La causa è rettamente radicata innanzi a questo giudice, ai sensi dell’art. 44 del Dlgs. n. 286/1998 e degli arrt. 3 e 4 del Dlgs. n. 215/2003 (cfr. Cass. S.U. ord. n. 3670/2011 “L'azione proposta in relazione alla denunziata natura ritorsiva del provvedimento con cui un Comune - dopo l'istituzione di un c.d. "bonus bebè" riservato a famiglie con almeno un genitore italiano, ed a seguito di ordine giudiziale di estensione del beneficio anche alle famiglie composte da genitori stranieri - aveva, viceversa, deliberato di revocarlo per tutte le famiglie, sia italiane che straniere, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, sia nella fase cautelare rivolta all'ottenimento di un provvedimento anticipatorio urgente, sia nella successiva fase della cognizione piena, così come previsto nell'art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998, in considerazione del quadro normativo costituzionale (art. 3 Cost.), sovranazionale (Direttiva 2000/43/CE) ed interno (art. 3 e 4 del d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215 nonché l'art. 44 del d.lgs. 25 luglio discriminatoria per motivi etnici o nazionali (incidente peraltro nell’alveo del diritto fondamentale primario ed assoluto dell’individuo a non subire distinzioni per una ragione vietata, al proprio diritto alla parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani residenti). La Suprema Corte (cfr. Cass. S.U. ord. N. 7186/2011) ha ulteriormente evidenziato che il coacervo normativo in materia antidiscriminatoria ha natura non solo processuale ma anche sostanziale e, nel confermare la giurisdizione del G.O. non solo nel giudizio cautelare ma anche in quello di merito, ha sottolineato che “in tema di azione ai sensi dell'art. 44 del T.U. sull'immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998), il legislatore, al fine di garantire parità di trattamento e vietare ingiustificate discriminazioni per "ragioni di razza ed origine 1998, n. 286) di riferimento, che configura il diritto a non essere discriminati come un diritto soggettivo assoluto) che riconoscono la giurisdizione (esclusiva) del G.O. in materia di condotta etnica", ha configurato una posizione di diritto soggettivo assoluto a presidio di un'area di libertà e potenzialità del soggetto, possibile vittima delle discriminazioni, rispetto a qualsiasi tipo di violazione posta in essere sia da privati che dalla P.A., senza che assuma rilievo, a tal fine, che la condotta lesiva sia stata attuata nell'ambito di procedimenti per il riconoscimento, da parte della P.A., di utilità rispetto a cui il privato fruisca di posizioni di interesse legittimo, restando assicurata una tutela secondo il modulo del diritto soggettivo e con attribuzione al giudice del potere, in relazione alla variabilità del tipo di condotta lesiva e della preesistenza in capo al soggetto di posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo a determinate prestazioni, di "ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo
le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione”.
L’art. 43, poi, prevede esplicitamente che “il presente articolo e l’art. 44 si applicano anche agli atti xenofobi, razzisti o discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani, di apolidi o di cittadini di altri Stati membri della UE presenti in Italia”.
La disposizione in esame fa, evidentemente e letteralmente, salva l’applicazione dell’azione contro le discriminazioni anche a favore dei cittadini dell’Unione presenti in Italia, in deroga alla generale inapplicabilità delle disposizioni del T.U ai cittadini U.E.
D’altra parte sostenere che i cittadini di altri Stati membri dell’UE non possano avvalersi dell’apposita azione giudiziaria antidiscriminazione, determinerebbe una plateale disparità di trattamento rispetto ai cittadini italiani ed ai cittadini stranieri non comunitari assolutamente incompatibile con il diritto dell’Unione.
La controversia rientra, ai sensi dell’art. 442 c.p.c., nella competenza funzionale del Giudice del Lavoro in materia di assistenza obbligatoria, novero nel quale rientra il contributo al canone di locazione negato per cui è causa. Il c.d. sussidio casa costituisce, infatti, una prestazione patrimoniale a sostegno delle famiglie, alla cui erogazione l’IPES è vincolato in forza di una legge provinciale e sulla cui obbligatorietà l’ente non può in alcun modo incidere. Tanto basta per qualificare tale forma di assistenza come “obbligatoria” ai sensi dell’art. 442 c.p.c., in contrapposizione alle forme di previdenza e assistenza volontarie.
6. Appare opportuno previamente indicare le norme statutarie, superprimarie, primarie e le disposizioni amministrative rilevanti nella fattispecie.
6.1. L’art. 15 comma 2° del D.p.r. n. 670/1972 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol; in seguito: Statuto) - fonte di rango costituzionale - prevede che “:..(2) La Provincia di Bolzano utilizza i propri stanziamenti destinati a scopi assistenziali, sociali e culturali in proporzione diretta alla consistenza di ciascun gruppo linguistico e in riferimento alla entità del bisogno del gruppo medesimo, salvo casi straordinari che richiedono interventi immediati per esigenze particolari”.
6.2. L’art. 89 comma 3° dello Statuto prevede che: “I posti dei ruoli (del personale civile statale) sono riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione”.
6.3. L’art. 107 dello Statuto stabilisce che: “Con decreti legislativi saranno emanate le norme di attuazione del presente Statuto, sentita una commissione paritetica composta di dodici membri di cui sei in rappresentanza dello Stato, due del Consiglio regionale, due del Consiglio provinciale di Trento e due di quello di Bolzano. Tre componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco. In seno alla commissione di cui al precedente comma è istituita una speciale commissione per le norme di attuazione relative alle materie attribuite alla competenza della Provincia di Bolzano, composta di sei membri, di cui tre in rappresentanza dello Stato e tre della Provincia. Uno dei membri in rappresentanza dello Stato deve appartenere al gruppo linguistico tedesco; uno di quelli in rappresentanza della Provincia deve appartenere al gruppo linguistico italiano”.
6.4. Il D.p.r. n. 752/1976 (da ultimo novellato dall’art. 2 del Dlgs. n. 99/2005 in vigore dal 28.06.2005) - fonte di rango superprimario - attua lo Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego.
L’art. 18 dispone che “Nel censimento generale della popolazione, ogni cittadino di età superiore ad anni quattordici, non interdetto per infermità di mente e residente nella provincia di Bolzano alla data del censimento, è tenuto a rendere, in forma anonima, una dichiarazione individuale di appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. Coloro che ritengono di non appartenere ad alcuno dei predetti gruppi lo dichiarano e rendono soltanto dichiarazione anonima di aggregazione ad uno di essi”.
Il comma 1° dell’art. 20ter che “Qualora intenda beneficiare, nei casi previsti, degli effetti giuridici derivanti dall'appartenenza o dall'aggregazione al gruppo linguistico, ogni cittadino residente nella provincia, di età superiore agli anni diciotto e non interdetto per infermità di mente, ha facoltà di rendere in ogni momento una dichiarazione individuale nominativa di appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. Coloro che ritengono di non appartenere ad alcuno di tali gruppi, lo dichiarano e rendono soltanto dichiarazione nominativa di aggregazione ad uno di essi.
Il comma 4° dell’art. 20ter che “Le dichiarazioni di cui al comma 1 spiegano effetti decorsi diciotto mesi dal momento della loro consegna ed hanno durata indeterminata fino al momento in cui un'eventuale dichiarazione di modifica acquista efficacia….”.
Il comma 5° dell’art.20ter che: “I comuni informano i cittadini che hanno compiuto la maggiore età o che hanno trasferito la propria residenza in un comune della provincia di Bolzano da comuni situati fuori provincia, e i cittadini interdetti che abbiano riacquistato la capacità della facoltà di rendere la dichiarazione, dei suoi effetti e circa le eventuali modifiche. Le dichiarazioni rese entro un anno dalla data di comunicazione spiegano effetto immediato”.
L’art. 3 comma 2° delle disposizioni transitorie di cui alla novella introdotto con Dlgs n. 99/2005 stabiliva che “L'interessato che, anche in occasione del quattordicesimo censimento della popolazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 2001, n. 276, abbia omesso di rendere le dichiarazioni previste dall'articolo 20-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, introdotto dall'articolo 2 del presente decreto, possono renderle nei modi previsti dal medesimo articolo 20-ter, previa dichiarazione sostitutiva attestante, sotto la propria responsabilità, l'assenza di una precedente dichiarazione, da rendere ai sensi dell'articolo 47, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni … Le dichiarazioni di cui al presente comma spiegano effetti immediati dal momento della loro consegna, se rese entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 4.
Trascorso tale termine, le dichiarazioni di cui al presente comma possono essere rese in qualsiasi momento ed acquistano efficacia decorsi diciotto mesi dalla loro consegna”. Il comma 4° dell’art. 3 che: “Il commissariato del Governo per la provincia autonoma di Bolzano e i comuni di residenza dei dichiaranti trasmettono al Tribunale di Bolzano tutti i fogli A/1 custoditi entro e non oltre due
mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto..”.
Il comma 5 dell’art. 3 che: “I comuni avvisano i cittadini con forme di pubblicità e di comunicazione istituzionale idonee delle facoltà di cui ai commi 1, 2 e 3 e tengono affisso all'albo comunale il presente decreto per almeno cinque mesi dalla sua pubblicazione”.
6.5. Con decreto n. 2447/2006 d.d. 30.08.2006... il Presidente del Tribunale di Bolzano, nella veste di titolare dell’ufficio amministrativo incardinato presso il Tribunale ordinario di Bolzano competente ai sensi del predetto art. 20ter al rilascio e alla conservazione dei certificati di appartenenza o aggregazione linguistica, ha stabilito - dopo aver preso atto che le disposizioni sulla dichiarazione di appartenenza od aggregazione linguistica fin dalla loro emanazione nell’anno 1976, sono sempre state interpretate ed applicate come riferite ai soli cittadini italiani aventi la residenza nella provincia di Bolzano e che tale interpretazione “laddove idonea a comportare una restrizione all’accesso ai diritti che i cittadini di altri stati membri dell’Unione Europea intenderebbero esercitare nella Provincia di Bolzano, urti contro il principio del divieto di discriminazione intercomunitaria stabilito dal trattato CEE” - di riconoscere la facoltà di rendere tale dichiarazione anche ai cittadini comunitari, facendo carico ai “Comuni della Provincia di Bolzano di informare senza ritardo…. i cittadini (comunitari) della facoltà loro riconosciuta di rendere la dichiarazione di appartenenza o aggregazione (linguistica)…
6.6. Con decreto n. 640/1/10 d.d. 10.11.2010... il Presidente del Tribunale di Bolzano - dopo aver preso atto che l’art. 20ter nella parte in cui non ammette alla dichiarazione di appartenenza od aggregazione linguistica i cittadini italiani ed UE non residenti nella provincia di Bolzano contrasta con l’art. 3 Cost. nonché con il divieto di non discriminazione sancito dal Trattato UE, ha stabilito che tali soggetti “purché in concreto portatori di un legittimo interesse da illustrare all’Ufficio ..sono con immediato effetto ammessi a rendere a norma dell’art. 20ter …la dichiarazione….”.
6.7. L’art. 5 comma 6° della L. n. 13/1998 nella sua originaria formulazione (in vigore fino al 04.11.2008), prevedeva testualmente che “Per garantire, ai sensi dell’articolo 48 del trattato istitutivo della Comunità economica europea ed ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (CEE) del Consiglio n. 1612/68 del 15 ottobre 1968, parità di trattamento ai cittadini degli stati membri, che risiedono nel territorio della provincia, svolgono un lavoro subordinato od autonomo e che siano in possesso degli altri requisiti per l’ammissione alle agevolazioni edilizie provinciali, tali richiedenti sono ammessi alle agevolazioni edilizie provinciali senza dover rendere la dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752. Le abitazioni assegnate ed i mezzi concessi ai menzionati richiedenti non vengono considerati ai fini del riparto dei mezzi tra i gruppi linguistici di cui al comma 1”.
Il comma 4° dell’art. 5 che: “L’appartenenza al gruppo linguistico italiano, tedesco o ladino risulta dalla dichiarazione resa nell’ultimo censimento generale della popolazione; al fine di consentire l’osservanza dell’articolo 15 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il richiedente deve produrre il certificato di appartenenza al gruppo linguistico di cui all’articolo 18, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, e successive modifiche. I richiedenti non presenti in provincia alla data dell’ultimo censimento generale della popolazione devono dichiarare la loro appartenenza ad un gruppo linguistico contestualmente alla presentazione della domanda. Qualora la dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico dichiarata contestualmente alla presentazione della domanda dovesse essere diversa da quella resa ai sensi dei commi 6 e 7 dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, l’assegnazione dell’abitazione o la concessione dell’agevolazione edilizia viene revocata. Alla dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico è parificata la dichiarazione di aggregazione ad uno dei tre gruppi linguistica”.
L’art. 5 della l. n. 13/1998, come modificato dall’art. 1 della L.P. n. 9/2008 (in vigore dal 05.11.2008), stabilisce al comma 4° che “Al fine di consentire l’osservanza dell’articolo 15 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il richiedente deve produrre la dichiarazione di appartenenza o di aggregazione a uno dei tre gruppi linguistici ai sensi dell’articolo 20/ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, e successive modifiche”.
Il comma 6° che “Anche i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea (UE) che risiedono nel territorio provinciale, svolgono un’attività lavorativa e possiedono gli altri requisiti per l’ammissione alle agevolazioni edilizie devono presentare la dichiarazione di appartenenza o di aggregazione a uno dei tre gruppi linguistici, ai sensi dell’articolo 20/ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, e successive modifiche..”.
7. Anche a confutazione della curiosa tesi sostenuta dalla convenuta Provincia Autonoma di Bolzano in note conclusionali, secondo la quale il mancato rispetto da parte della ricorrente della disciplina transitoria di cui all’art. 3 comma 2° del Dlgs. n. 99/2005 dell’art. 20ter, impedisce di riconoscere imput sibi immediata efficacia alla dichiarazione dalla stessa resa in data 14.01.2010, pena un’inammissibile discriminazione alla rovescia nei confronti dei cittadini italiani, che non hanno reso la dichiarazione linguistica in occasione del censimento del 2001, vietata anche dal comma 2° dell’art.14bis della l. n. 11/2005 come novellato dall’art. 6 della l. n. 88/2009 (in realtà la norma non autorizza come vorrebbe la convenuta ad estendere le discriminazioni previste nell’ordinamento interno per i cittadini italiani anche ai cittadini UE ma prevede, beninteso nell’ambito del diritto dell’Unione, al contrario la non applicazione nei confronti dei cittadini italiani delle norme interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti), ritiene il giudicante, dalla piana lettura delle fonti citate, che l’estensione oggettiva e soggettiva dell’obbligo di produrre la dichiarazione linguistica di appartenenza o aggregazione ai cittadini comunitari di cui all’art. 20ter del d.p.r. n. 752/1976 al fine del conseguimento delle agevolazioni edilizie discenda esclusivamente dallo ius superveniens di cui all’art. 1 della L.P. n. 9/2008.
a) In primis va evidenziato come per i cittadini comunitari stranieri né lo Statuto di autonomia (art. 15 comma 2° ovvero art. 89 comma 3°), né le norme di attuazione statutarie (in particolare gli artt. 18 e 20ter del D.p.r. n. 752/1976 tanto nella versione originaria quanto in quella in vigore) abbiano mai previsto tale onere. Quindi ai sensi dell’art. 14 Preleggi, tali disposizioni in quanto di natura eccezionale, derogando al fondamentale principio di parità di trattamento secondo l’ordinario canone dello stato di bisogno, non possono trovare applicazione per analogia oltre ai casi espressamente stabiliti, come peraltro già autorevolmente evidenziato mutatis mutandi tanto in giurisprudenza che in dottrina. Il Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. s. n. 227/1987 d.d. 04.06.1987) - nel dichiarare inammissibile la questione di costituzionalità sollevata dal Consiglio di Stato (cfr. C.d.S. ord. n. 748/1986) relativa al diniego di contributo per l’edilizia abitativa per mancata produzione del certificato di appartenenza al gruppo linguistico da parte di cittadino italiano di cui alla legge edilizia all’epoca in vigore (art 3 L.P. n. 15/1972), trattandosi di requisito non previsto nella fattispecie - aveva osservato che “il criterio di ripartizione dei benefici in materia di edilizia sociale fondato sull'appartenenza etnica costituisce... un'eccezione al generale principio di eguaglianza e quindi, secondo le comuni regole di ermeneutica, non risulta applicabile oltre i casi espressamente previsti dalla legge”. In dottrina è stato acutamente osservato, in relazione specificamente all’istituto della proporzionale nell’accesso al pubblico impiego, che “la proporzionale etnica non si limita ad accordare una preferenza, a parità di qualificazione fra due candidati considerati idonei ad un impiego, al candidato appartenente ad un altro gruppo linguistico che sia sottorappresentato nell’organico .. no, prevede addirittura un diritto di precedenza che può essere di carattere assoluto o relativo a seconda che la proporzionale etnica venga applicata per gli uffici statali o per gli uffici presso gli enti pubblici territoriali … Che la proporzionale etnica, nata come strumento riparatore creando un’apposita riserva di posti per i membri della minoranza di lingua tedesca, abbia una natura discriminatoria, è superfluo evidenziarlo tanto è vero che determina delle esclusioni o accorda delle preferenze non in ragione del merito ma in ragione dell’appartenenza etnica o linguistica”.
b) In secondo luogo l’intervento del Presidente del Tribunale di Bolzano, peraltro successivo all’entrata in vigore del Dlgs. n. 89/2005 a conferma del fatto che nessuno degli interpreti abbia mai seriamente ritenuto che il d.p.r. n 752/1976 prevedesse o preveda motu proprio anche per i cittadini comunitari l’obbligo di rendere la dichiarazione linguistica - a prescindere dall’ulteriore questione riguardante la palese l’inidoneità del provvedimento nella gerarchia delle fonti a comprimere diritti non condizionati nonché ad incidere su norme primarie e subprimarie - era teso non a restringere, come è poi accaduto peraltro va ribadito solo a seguito dell’emanazione dell’art. 1 della L.P. n. 9/2008, bensì ad ampliare i diritti dei cittadini comunitari, in ossequio al generale principio di primauté del diritto dell’Unione (per esempio nell’ambito dell’accesso al pubblico impiego ai sensi dell’art. 38 comma 1° del Dlgs. n. 165/2001 rectius degli artt. 1 comma 3° e 37 del Dlgs. n. 29/1993). Inoltre, anche a volere ritenere il contrario, le convenute non hanno provato ovvero offerto di provare che il Comune di residenza avesse informato la ricorrente dell’intervenuta facoltà, a seguito del decreto n. 2447/2006 d.d. 30.08.2006 del Presidente del Tribunale di Bolzano, di rendere la dichiarazione di appartenenza od aggregazione linguistica, Anzi emerge per tabulas... che la lavoratrice all’atto di rendere la dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica il giorno 14.01.2010 ha lasciato in bianco il modulo nella parte in cui si fa riferimento alla circostanza di essere stata informata dal Comune di residenza di tale facoltà.
8. Non manifestamente infondata (anche se irrilevante) pare la questione di costituzionalità eccepita dalla ricorrente dell’art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998 (come modificato dall’art. 1 della L.P. n. 9/2008).
a) La norma è pacificamente attuativa della regola di cui all’art. 15 comma 2° dello Statuto (c.d. proporzionale combinata) come si desume espressamente dall’inciso del comma 4° “al fine di consentire l’osservanza dell’art. 15 dello Statuto”(presente tanto nella sua originaria formulazione quanto in quella novellata) - nonostante che l’art. 1 della L.P. n. 13/1998 affermi che la legge, concernente l’”Ordinamento dell'edilizia abitativa agevolata”, è adottata “in attuazione della propria competenza legislativa primaria in materia di edilizia comunque sovvenzionata di cui all'articolo 8, comma 1, numero 10, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige” – nonché dalla ratio della norma, diretta a disciplinare le modalità di accesso ai benefici sociali abitativi non solo in base allo stato di bisogno ma anche alla consistenza del gruppo linguistico di appartenenza o aggregazione. La stessa appare pertanto adottata in spregio alle regole formali previste dall’art. 107 Statuto e quindi in violazione della speciale procedura stabilita dalla predetta norma statutaria, nella parte in cui contempla per le norme di attuazione il parere di una commissione paritetica. Si tratta di fonti a competenza riservata (formalmente ora Dlgs. e prima D.p.r.) approvate dal Governo, previa istruttoria e su proposta di una commissione paritetica composta da sei membri (la commissione dei sei), di cui tre nominati dalla Provincia e tre di nomina governativa. Pertanto l’estensione delle regole concernenti l’obbligo di rendere e richiedere la dichiarazione linguistica, in quanto estranee alla materia dell’edilizia abitativa agevolata, non possono essere introdotte con legge provinciale, non rientrando nemmeno tale istituto – previsto a livello di principio per la sua pregnanza e deroga al valore fondamentale di eguaglianza nello Statuto attraverso fonte costituzionale oltre che dall’art. 15 comma 2° anche dall’art. 89 comma 3° relativamente all’accesso all’impiego negli uffici statali e dall’art. 61 per l’accesso a quelli locali (solo in quest’ultimo caso attraverso la previsione di diretta regolamentazione nell’ordinamento degli enti locali stessi) - nelle competenze attribuite dagli artt. 8 e 9 dello Statuto alla funzione legislativa provinciale esclusiva o concorrente. La giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 160/1985) nel ritenere non perentorio il termine di due anni previsto dall’art. 108 Statuto per l’emanazione delle norme di attuazione ha parlato di “speciale attribuzione di potestà legislativa al Governo” mediante norma costituzionale e, quindi, al di fuori ed oltre l’ipotesi disciplinata dall’art. 76 Cost., da intendersi conferita sin quando non sia stata data completa attuazione allo Statuto.
b) La disposizione sembra violare l’art. 15 comma 2° dello Statuto, norma costituzionale che si riferisce tradizionalmente ai soli cittadini autoctoni appartenenti ai gruppi linguistici storici della Provincia (italiano, ladino e tedesco) e non anche ai cittadini comunitari (rectius dell’Unione); non si vede peraltro quale legame ovvero quale affinità possano vantare, in generale, gli altri cittadini comunitari ed, in particolare, la ricorrente, cittadina ceca (di lingua ceca e di etnia slava), con i predetti gruppi linguistici.
c) La regola, anche a volerla ritenere coperta dalla previsione di cui all’art. 89 comma 3° dello Statuto – e non si vede come giacché la dichiarazione linguistica in tale disposizione è prevista unicamente per l’assegnazione dei posti di ruolo nell’amministrazione statale ai cittadini italiani non comunitari appartenenti a “ciascuno dei tre gruppi linguistici” (cfr. Cass. n.11048/1999) - sembra incompatibile con la norma di attuazione statutaria disegnata dall’art. 20ter del D.p.r. n. 752/1976 (come novellata dall’art. 2 del Dlgs. n. 99/2005), nella parte in cui questa richiama i soli “cittadini” in difetto di esplicito riferimento alla necessaria endiade “comunitari” (cfr. Corte Cost. n. 287/2005 nel senso che al pari delle norme dello statuto speciale, anche le relative norme di attuazione possono essere utilizzate come parametro del sindacato di costituzionalità).
d) A ben vedere gli artt. 18 e 20ter del D.p.r. 752/1976 sono disposizioni esclusivamente attuative dell’art. 89 comma 3°, come si desume dalla stessa intitolazione della fonte normativa, e non dell’art. 15 comma 2° dello Statuto. In quanto norme eccezionali introdotte nell’ordinamento positivo in deroga al normale principio di parità di trattamento non possono essere estese oltre i casi espressamente previsti (cfr. in senso contrario TAR BZ s.n. 404/2005 d.d. 23.11.2005, in relazione alla posizione di ricorrente non comunitario ma italiano privo del certificato linguistico richiedente un contributo a fondo perduto per la costruzione di abitazione).
L’attuazione complessivamente intesa (cittadini italiani e comunitari) dell’istituto della c.d. “proporzionale combinata” di cui all’art. 15 comma 2° dello Statuto attraverso l’art. 5 della L.P. n. 13/1998, insomma, non sembra essere avvenuta nelle forme procedimentali stabilite dall’art. 107 dello Statuto.
Anche la Suprema Corte (cfr. Cass. n. 11048/1999), riguardo all’istituto dell’elettorato passivo, nel ritenere valida la dichiarazione rilasciata ad hoc da un candidato in occasione delle elezioni del consiglio regionale ha sottolineato, per quanto rileva in questa sede, che l’art. 89 comma 3° dello Statuto riferisce letteralmente la dichiarazione linguistica “unicamente al computo dei gruppi, necessario per l'applicazione della "proporzionale etnica" agli impieghi statali in loco”.
9. Nemmeno sembra sostenibile, ed infatti non è stato dedotto dalle convenute, che l’estensione tramite legge provinciale ai cittadini dell’Unione non italiani delle regole concernenti l’obbligo di rendere e richiedere la dichiarazione linguistica per accedere alle agevolazioni edilizie possa trovare il proprio addentellato nella previsione di cui al combinato disposto degli art. 4 comma 1° ed 8 comma 1° n. 10) dello Statuto, nella parte in cui si prevede che la legislazione esclusiva provinciale è esercitata anche nel rispetto “degli interessi nazionali tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali”, ostando a tale operazione esegetica la mancata previsione nella normativa costituzionale statutaria di riferimento di una così pregnante deroga al principio di uguaglianza come disegnato dall’art. 3 Cost. che quindi è da ritenersi a sua volta direttamente violato dalla previsione di cui all’art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998 (come modificato dall’art. 1 della L.P. n. 9/2008).
E nemmeno tale esegesi sembra contrastare con la giurisprudenza costituzionale formatisi in relazione all’interpretazione di altri istituti statutari di tutela delle minoranze linguistiche locali.
L’obiter dictum del Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. s. 289/1987) nella parte in cui ha evidenziato come “la proporzionale non si configura quale deroga rispetto ai principi fondamentali della Costituzione, ma come norma direttamente espressiva del principio generale di tutela delle minoranze linguistiche”, va letto nel limitato senso di legittimare il sistema proporzionale nella composizione degli organi amministrativi (e politici) pacificamente disciplinato dall’art. 61 dello Statuto), giacché trattasi di materia del tutto difforme da quella relativa agli interventi sociali.
L’orientamento al quale aderisce il giudicante è inoltre solo in apparenza difforme rispetto al risalente insegnamento del Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. s. 312/1983) il quale, nel pronunciarsi riguardo al principio di tutela del bilinguismo, ne ha esaltato la portata immediatamente precettiva – ai sensi degli art. 99 e ss. dello Statuto - nelle materie rimesse alla competenza provinciale, senza la necessità di prevedere alcuna norma attuativa.
Va infatti ricordato, che l’istituto della proporzionale rientra negli strumenti risarcitori quale misura di discriminazione o meglio di tutela positiva e quindi, in quanto tale ontologicamente a termine (tutela dinamica). Mentre, al contrario, la tutela del bilinguismo ha natura permanente essendo strumento imprescindibile per la salvaguardia della cultura alloglotta (tutela statica).
10. Dubbi di costituzionalità investono anche la stessa norma di copertura nella sua interezza - l’art. 15 comma 2° dello Statuto - nella parte in cui consente di determinare gli stanziamenti destinati ai scopi assistenziali e sociali non solo in base allo stato di bisogno, ma anche in proporzione alla consistenza numerica dei gruppi linguistici - per violazione degli artt. 2 Cost. (riconoscimento del valore preminente della persona umana) e 3 Cost. (principio di eguaglianza e di non discriminazione). Inoltre il diritto all'abitazione che si esplica e realizza anche attraverso il sussidio casa, sebbene non previsto in modo pieno ed esplicito dalla Costituzione italiana, è ritenuto costituzionalmente implicito nella funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), nel favore all’accesso alla proprietà dell’abitazione (art. 47 comma 2° Cost.), nella tutela dell'inviolabilità del domicilio (art. 16 Cost.), nell'esigenza che i pubblici poteri apprestino misure finalizzate ad assicurare la formazione delle famiglie, in particolare di quelle numerose, e il compimento dei suoi compiti (art. 31 Cost.) e nell'esigenza che la misura della retribuzione sia proporzionata anche all'esigenza di assicurare un'esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia (art. 36 Cost.). La disposizione sembra anche porsi in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 CEDU (art. 117 Cost).
La Consulta (cfr. Corte Cost. s. n. 61/2011, n. 404/1988, 217/1988) ha chiaramente configurato il diritto all’abitazione come diritto sociale collocabile tra i diritti inviolabili dell'uomo. Con un altro pregevole e recente intervento, il Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. s. n. 40/2011) ha affermato - nel dichiarare l'illegittimità della disposizione del Friuli Venezia Giulia che escludeva dal godimento di provvidenze sociali latu sensu intese i cittadini UE non residenti da almeno trentasei mesi (nonché i cittadini extracomunitari) - che “La circostanza, più volte evidenziata dalla difesa regionale, secondo la quale la Regione avrebbe nella specie disciplinato un regime eccedente i limiti dell'essenziale, non esclude affatto, come già affermato da questa Corte, <<che le scelte connesse alla individuazione dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie - debbano essere operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza>> (sentenza n. 432 del 2005). La disposizione in discussione introduce inequivocabilmente una preclusione destinata a discriminare tra i fruitori del sistema integrato dei servizi concernenti provvidenze sociali fornite dalla Regione i cittadini extracomunitari in quanto tali, nonché i cittadini europei non residenti da almeno trentasei mesi. Detta esclusione assoluta di intere categorie di persone fondata o sul difetto del possesso della cittadinanza europea, ovvero su quello della mancanza di una residenza temporalmente protratta per almeno trentasei mesi, non risulta rispettosa del principio di uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quelle condizioni positive di ammissibilità al beneficio (la cittadinanza europea congiunta alla residenza protratta da almeno trentasei mesi, appunto) e gli altri peculiari requisiti (integrati da situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità di provvidenze che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate ne' sulla cittadinanza, ne' su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale”.
Come già convincentemente evidenziato in giurisprudenza (cfr. C.d.S. ord. n. 748/1986) quando la P.A. assume l’iniziativa di favorire i bisogni abitativi delle persone, queste hanno diritto di accedervi in condizioni di parità, trattandosi del soddisfacimento di un diritto essenziale e fondamentale, rispetto al quale gli interessati possono essere differenziati solo in ragione dell’entità del bisogno, misurato attraverso indicatori - quali reddito o consistenza della famiglia - che prescindono dall’appartenenza linguistica o etnica.
11. Peraltro anche in un’ottica di bilanciamento fra diritti contrapposti va segnalato che l'art. 6 Cost., in generale, nell’imporre la tutela delle minoranze linguistiche ed, in particolare, l'art. 15 comma 2° Statuto - quest’ultimo il quale per la sua natura riparatoria e ontologicamente a termine, quale misura di discriminazione o meglio di tutela positiva per il raggiungimento dell’equilibrio fra i gruppi linguistici, azione che ha inoltre già raggiunto ampiamente il suo scopo (relativamente alla proporzionale linguistica per l’accesso al pubblico impiego statale è stato espressamente previsto, ai sensi dell’art. 46 del d.p.r. n. 752/1976, un termine di durata ormai abbondantemente scaduto di 30 anni dall’entrata in vigore dello Statuto), non può rappresentare un “principio fondamentale dell’assetto costituzionale dello Stato”, ma solo uno dei tanti modi attraverso il quale dare applicazione in concreto al precetto costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche - non sembrano disposizioni idonee a giustificare limitazioni permanenti ai principi fondamentali dell’ordinamento e disparità di trattamento nell’accesso ad un bene primario ed ad un diritto inviolabile qual è quello dell’accesso all’abitazione.
12. Le citate questioni di costituzionalità sebbene non manifestamente infondate (nemmeno sembra percorribile l’operazione esegetica dell’interpretazione conforme) sono nel caso di specie irrilevanti, giacché il giudice di merito ha il dovere di procedere prima dell’esame di costituzionalità, al sindacato diffuso di rispetto della disposizione incriminata con il diritto dell’Unione, potendo procedere alla disapplicazione diretta ovvero in caso di dubbio sulla compatibilità a rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia. Il Giudice delle leggi (ex multis Corte Cost. ord. n. 241/2010) ritiene, infatti, che nei giudizi di costituzionalità in via incidentale “la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata e pertanto la rilevanza di detta ultima questione”, individuando il solo confine al principio di primazia del diritto dell’Unione (c.d. teoria dei controlimiti) nel contrasto con “i principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona” (ex multis cfr. Corte Cost. s. n. 183/1973, 170/1984, 284/2007, 348/2007, 227/2010).
13. Occorre quindi valutare la conformità dell’art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998, come novellato dall’art. 1 della L.P. n. 9/2008 (in vigore dal 05.11.2008) al diritto dell’Unione.
13.1 L’art. 18 del TFUE dispone che “Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.
13.2 L’art. 45 del TFUE che: “La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”.
13.3 L’art. 49 del TFUE che: "…le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate”.
13.4 L’art. 2 TUE prevede che “L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
13.5 L’art. 6 del TUE prevede che “L’unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”.
13.6 L’art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea dispone (dignità umana) che “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
13.7 L’art. 21 della Carta dispone (non discriminazione) che: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi”.
13.8 L’art. 34 della Carta (sicurezza sociale e assistenza sociale) che:
“L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali. Ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”.
13.9 L’art. 45 (libertà di circolazione e di soggiorno) che: “Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”.
13.10 L’art. 7 del regolamento n. 492/2011 d.d. 05.04.2011 (ripetitivo dell’art. 7 del regolamento n. 1612/1968 applicabile ratione temporis), nel vietare le discriminazioni fra lavoratori comunitari, prevede espressamente che “Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali …egli gode degli stessi vantaggi sociali … dei lavoratori nazionali”; mentre l’art. 9 del medesimo regolamento dispone che “il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro gode di tutti i diritti e vantaggi accordati ai lavoratori nazionali per quanto riguarda l'alloggio..”.
13.11 La direttiva 2000/43/CE (trasposta nell’ordinamento interno con Dlgs. n. 215/2003) attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente alla razza e dall’origine etnica rafforzando con disposizioni, non solo di natura sostanziale ma anche procedimentali ed estendendo anche ai cittadini non comunitari, parte delle tutele antidiscriminatorie già previste per i cittadini dell’Unione dalle citate disposizioni fondamentali. Il Dlgs. n. 215/2003 è diretto a trasporre nell’ordinamento italiano la direttiva 2000/43/CE, ed è (solo) apparentemente applicabile limitatamente alle discriminazioni su base etnica o razziale; invero sulla base del considerando n. 25 e art. 6 della direttiva (c.d. clausola di non regresso), l’attuazione della direttiva comunitaria non può determinare un peggioramento della tutela normativa interna precedente id est un abbassamento del livello di protezione esistente nel diritto nazionale, principio prontamente recepito dall’art. 2 comma 2° del Dlgs. n. 215/2003 (che fa salva l’applicabilità dell’art. 43 commi 1° e 2° del Dlgs. n. 286/1998). Va anche evidenziato come le questioni relative alla violazione da parte del legislatore nazionale di clausole di non regresso - introdotte nelle direttive sociali comunitarie sin dalla fine degli anni ottanta, allo scopo di sancire che l’attuazione di una specifica direttiva non deve costituire giustificazione ovvero motivo o ragione per un peggioramento dei trattamenti già in atto nei vari Stati membri, attengono pacificamente all’interpretazione del diritto dell’Unione e non di quello interno (cfr. C-144/04 d.d. 30.06.2005 Mangold conclusioni avvocato generale Tizzano punti n. 54 e ss.).
Ne consegue, tenuto altresì conto della particolare pregnanza e vincolatività della clausola di regresso quale quella di specie in quanto inserita non solo nei considerando ma anche nel corpo della direttiva, quindi, la piena operatività tanto delle norme discriminatorie previste dal Dlgs. n. 286/1998 quanto nel Dlgs. 215/2003 di recepimento della direttiva, con conseguente tutela non solo delle discriminazioni su base etnica o razziale ma anche di quelle relative alla nazionalità. La direttiva trova, peraltro, applicazione non solo a proposito delle prestazioni sociali minime, ma anche nell’ambito del settore degli aiuti sociali e l’accesso ai beni e ai servizi tra cui gli alloggi (cfr. Relazione della Commissione al Consiglio e al parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE d.d. 29.06.2000), novero degli interventi nei quali è sussumibile anche il sussidio casa.
13.12 La direttiva 2004/38/CE (recepita nell’ordinamento interno con Dlgs. n. 30/2007) attiene ai diritti concessi ai cittadini dell'UE e ai loro familiari; l'art. 24, in particolare, attua il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri stabilendo che, fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base alla direttiva stessa, nel territorio di uno Stato membro gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Le deroghe previste al paragrafo 2 dello stesso articolo (e conformemente dalla norma nazionale di trasposizione) non riguardano l’accesso agli alloggi ed il diritto all’abitazione.
14. Le norme di diritto primario e derivato dell’Unione sopra citate impediscono qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità per la concessione dell'accesso a benefici sociali che rientrano nel campo di applicazione del trattato UE.
15. Per quanto concerne i cittadini dell’Unione, il trattamento differenziato su base di nazionalità viola il principio di non discriminazione di cui all’art. 18 del TFUE. Già la risalente giurisprudenza della CGUE (sent. Data Delecta, C-43/95, par. 16) ha affermato, trattandosi di principio da sempre incontroverso, che il divieto contenuto nell'articolo 12 TCE "richiede la perfetta parità di trattamento, negli Stati membri, tra i soggetti che si trovano in una posizione disciplinata dal diritto comunitario e i cittadini dello Stato membro in questione", ed ha poi esteso progressivamente la regola della parità di trattamento anche ai diritti e vantaggi sociali e fiscali non direttamente connessi all’impiego del lavoratore comunitario che ha esercitato il diritto alla libera circolazione fra cui i diritti e i vantaggi accordati in materia di abitazione, in quanto funzionali
alla piena realizzazione della libertà di circolazione dei lavoratori.
16. La Corte di Giustizia ha più volte rimarcato che il principio di non discriminazione, riferibile peraltro non solo ai lavoratori, rappresenta canone fondamentale del diritto dell’Unione tanto da giustificare la misura della disapplicazione non solo in senso verticale come nel caso di specie ma anche addirittura in quello orizzontale nelle controversie fra privati (cfr. CGUE C-555/2007 d.d. 22.01.2010 Kücükdeveci), che l’art. 6 n. 1) TUE enuncia che la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE ha lo stesso valore giuridico dei Trattati e che l’art. 21 n. 1. di tale Carta come è “vietata qualsiasi forma di discriminazione…” - giacché rappresenta un’applicazione specifica dei principi generali di uguaglianza, di non discriminazione e della parità di trattamento “dal momento che il principio stesso … trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri” (cfr. C-144/2004 d.d. 22.11.2005 Mangold, C-388/2007 d.d. 05.03.2009 Age Concern England) ed infine che ogni deroga deve essere giustificata da un obiettivo pubblico di politica sociale.
17. Il combinato disposto degli art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998 e del richiamato 20ter del D.p.r. n. 752/1976, nella parte in cui vengono fatti decorrere anche per i cittadini comunitari residenti gli effetti della dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica trascorso un periodo di diciotto (18) mesi dal giorno della dichiarazione, si pone in evidente contrasto con il generale divieto di discriminazione nonché con il predetto regolamento comunitario, relegando in una posizione deteriore i lavoratori UE che si trovano nelle condizioni della ricorrente rispetto a quelli nazionali essendo stato, da un lato, loro imposto solo con la novella l’obbligo di rendere la dichiarazione per accedere ai benefici relativi al sussidio caso e, dall’altro, in assenza fra l’altro di idonea disciplina transitoria, procrastinandone gli effetti di un anno e mezzo.
L’applicazione di fatto retroattiva alla ricorrente della condizione riguardante la dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica viola anche il principio di certezza del diritto, il quale fa parte – com’è noto - dei principi generali del diritto UE. Si tratta di effetti discriminatori che nella fattispecie sono tutti ricompresi nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, giacché solo per i cittadini comunitari non italiani residenti nel territorio provinciale è stato esteso ex novo l’obbligo di presentare la dichiarazione linguistica, differendone nello stesso tempo gli effetti di diciotto (18) mesi.
Nemmeno viene garantita attraverso l’introduzione di tale onere a carico dei cittadini UE, la ratio legis sottesa alla riforma complessiva della proporzionale linguistica di cui al d.p.r. n. 752/1976 (come novellato dal Dlgs. n. 99/2005) evitare, attraverso il differimento della loro efficacia, la possibilità di rendere reiterate dichiarazione linguistiche a diversi gruppi etnici ad hoc o di comodo, giacché prima dell’entrata in vigore dell’art. 1 della L.P. n. 9/2008 l’onere di rendere la dichiarazione linguistica era previsto solo per i cittadini italiani e non anche per i cittadini comunitari.
Del resto lo stesso legislatore statutario aveva stabilito (art. 3 comma 2° delle disposizioni transitorie del Dlgs. n. 99/2005), l’efficacia immediata delle dichiarazioni rese entro il termine massimo di cinque (5) mesi dall’entrata in vigore dell’art. 23bis del d.p.r. n. 752/1976, a favore dei cittadini italiani ai quali anche la normativa previgente imponeva l’obbligo di rendere la dichiarazione linguistica e che ciononostante avevano omesso di renderla, imponendo ai Comuni di
residenza l’obbligo di informare i cittadini di tale facoltà (art. 3 comma 5°). Il predetto termine non può pertanto essere esteso per analogia ai cittadini comunitari, tanto perché trattasi pur sempre di norme eccezionali riferibili ai soli cittadini italiani, quanto perché lo status proprio dei cittadini UE non italiani, proprio per essere stato da sempre esonerati da tale onere, pretende in sede di prima applicazione della novella una tutela maggiore.
Inoltre il comma 5° dell’art. 23bis del D.P.R. n. 752/1976 prevede l’obbligo a carico dei Comuni di residenza di informare i soggetti che si trovano in condizione di rendere per la prima volta la dichiarazione linguistica (maggiorenni, nuovi residenti) di tale possibilità, riconoscendo nel contempo efficacia immediata a tale dichiarazione.
Infine la stessa prassi amministrativa -a seguito dell’intervento del Presidente del Tribunale di Bolzano con decreto 640/I/10 - si è da ultimo orientata nel senso di riconoscere immediata efficacia alla prima dichiarazione linguistica, in ulteriori ipotesi, quali quelle delle dichiarazioni rese da cittadini UE (italiani e non) privi del requisito della residenza in Provincia di Bolzano.
Dalla lettura dei suddetti interventi normativi e provvedimentali si evince un ulteriore principio informatore della legislazione de qua. Per la prima dichiarazione linguistica richiesta ai cittadini residenti nel territorio provinciale, in conseguenza della particolare compressione dei diritti soggettivi individuali derivante dall’applicazione della proporzionale, è richiesto al Comune di residenza un obbligo informativo ad hoc, rafforzativo del normale effetto cogente della legge derivante per gli artt. 73 Cost e 10 preleggi dalla pubblicazione, non previsto nella specie dall’art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998.
Tanto premesso, la differente parità di trattamento può essere rimossa, sotto questo aspetto, riconoscendo immediata efficacia alla prima dichiarazione linguistica resa dai cittadini comunitari non italiani.
18. A confutazione dell’affermazione della Provincia Autonoma di Bolzano che la normativa di riferimento è espressione del principio di tutela delle minoranze linguistiche, va rilevato che la domanda è stata respinta a fronte della ritenuta inefficacia della dichiarazione, pur in presenza della piena capienza del fondo per finanziare tutte le richieste previste, compresa quella della ricorrente, a prescindere quindi dall’effettiva applicazione dell’istituto della proporzionale combinata, per il cui rispetto solo è prevista senza ulteriori effetti e concreti vantaggi a favore dei gruppi linguistici storici della Provincia la dichiarazione linguistica. Infatti il finanziamento del fondo per il sussidio casa è sempre stato sufficiente a soddisfare le richieste presentate, diversamente a quanto è avvenuto dal 2008 per il fondo relativo ai cittadini non comunitari (per i quali peraltro non è prevista la dichiarazione linguistica), essendo state respinte le sole domande, se rispettose degli ulteriori requisiti anche reddituali richiesti, prodotte da cittadini italiani e comunitari non in regola con la dichiarazione linguistica.
Anche in tal senso la tesi proposta si appalesa quale l’unica compatibile - anche nel significato minimale dell’interpretazione conforme – con il principio di non discriminazione tutelato oltre che dal diritto dell’Unione anche dall’art. 14 CEDU.
Peraltro, anche a ritenere il contrario, l’istituto della proporzionale combinata, come si è già ampiamente argomentato, non appare sussumibile fra i principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato. Inoltre l’art. 15 comma 2° dello Statuto non si riferisce ai cittadini comunitari ma solo ai cittadini italiani residenti autoctoni. A definitiva conferma di quanto sostenuto lo stesso art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998 nella versione previgente alla novella per cui è causa garantiva espressamente “la parità di trattamento ai cittadini degli stati membri…. senza dover rendere la dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico….”. Da ultimo ma non ultimo l’autonomia speciale, garantita nell’ordinamento costituzionale interno e internazionale, è priva di ancoraggio nel diritto dell’Unione che non riconosce all’Alto Adige/Südtirol uno statuto speciale come invece accade, ai sensi dell’art. 355 TFUE, per altre realtà territoriali particolari quali, ad esempio, le isole Åland, in relazione alle quali, in esecuzione dell’art. 1 del protocollo n. 2 d.d. 24.06.1994 del trattato di adesione della Finlandia e quindi di specifico accordo politico - sono consentite discriminazioni volte a salvaguardare il carattere svedese delle isole, nell’acquisto di proprietà immobiliari e nel godimento della libertà di stabilimento e prestazione di servizi nei confronti di coloro che non siano cittadini dell’arcipelago.
19. Tanto basta per l’accoglimento del ricorso, non apparendo necessario, tenuto conto di tutte le considerazioni esposte, nemmeno percorrere la strada del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, potendosi dare applicazione ai principi evidenziati senza la necessità di altri rimandi. Invero la stessa Corte di Giustizia ha ricordato ai giudici nazionali il dovere di promuovere e applicare il diritto dell’Unione, limitandosi a devolverle le sole controversie che pongano problematiche interpretative nuove o ancora non definite.
Sotto questa prospettiva la discriminazione qualificabile come indiretta - perché conseguenza dell’applicazione del criterio solo apparentemente neutro giacché riferibile a tutti i cittadini UE italiani e non dell’efficacia differita della dichiarazione linguistica ex art. 20ter comma 4° del D.p.r. n. 752/1976 - può essere rimossa ripristinando la prevalenza del diritto dell’Unione, disapplicando l’effetto perverso del citato coacervo normativo e riconoscendo efficacia immediata alla dichiarazione linguistica presentata dalla ricorrente in data 14.01.2010 al fine di ottenere la concessione del contributo al canone di locazione come richiesto con domanda prodotta in data 21.01.2010 e dichiarata inammissibile dall’IPES con delibera del 23.03.2010.
20. In realtà la normativa de qua, nell’imporre l’obbligo di rendere la dichiarazione per l’ammissione alle agevolazioni edilizie anche ai cittadini UE, appare non rispettosa (oltre dei già indicati precetti costituzionali) di ulteriori principi dell'Unione posti a favore dei cittadini comunitari. Le limitazioni previste all'accesso del sussidio casa per i cittadini comunitari non italiani per non aver hanno reso la dichiarazione di appartenenza o aggregazione etnica, risultano adottate in violazione oltre che degli art. 2 e 6 TUE, anche degli artt. 18, 45, 49 TFUE nonché degli artt. 1, 21 e 34 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE che vietano discriminazioni, ostacoli nella libera circolazione delle persone e dei lavoratori e nella libertà di stabilimento nei confronti di tutti i cittadini comunitari [cfr. Ordinanza di remissione alla CGUE, Tribunale di Bolzano, Kamberaj, C-571/2010 d.d. 22.11.2010 -07.12.2010, quesito n. 6)].
Secondo una giurisprudenza costante, siffatte discriminazioni possono essere giustificate unicamente sulla base di deroghe espresse del Trattato che non sono mai state pattuite all'atto dell'adesione dell'Italia all'Unione.
Abnorme e in palese contrasto non solo con qualsiasi minimo principio di civiltà giuridica ed, in particolare, con la tutela della dignità della persona umana, disciplinata in particolare dall’art. 2 TUE e dell’art. 1 della Carta, ma anche con il comune buon senso inscritto nella coscienza di ogni individuo, sembra poi la pretesa di imporre anche ai cittadini comunitari non italiani, quale prerequisito per accedere alle prestazioni sociali, l’obbligo di rendere la dichiarazione di appartenenza o aggregazione linguistica a gruppi ai quali sono, non solo per lingua, ma anche per tradizione e cultura affatto estranei. La norma finisce per obbligare i lavoratori UE a rinunziare alla propria effettiva nazionalità ed identità culturale per accedere a benefici, che dovrebbero invece essere garantiti in condizioni di parità secondo lo stato di bisogno, sacrificando all’altare del principio che l’autonomia dei gruppi etnici viene prima dell’individuo, i diritti non solo dei cittadini italiani in qualche modo riconducibili ai gruppi linguistici storici della Provincia autonoma, ma anche dei cittadini comunitari di differente estrazione etnica e linguistica per questo privi di coesione culturale ed etnica omogenea.
Infine appare opportuno segnalare che allo stato l’eventuale rimozione dell’ostacolo dell’obbligo di presentare la dichiarazione linguistica a favore dei soli cittadini comunitari comporterebbe un’ingiustificata discriminazione alla rovescia a svantaggio dei cittadini italiani, ai quali verrebbe negato il beneficio se non in regola con la dichiarazione linguistica, vietata non solo dal diritto dell’Unione ma anche nell’ordinamento interno dall’art. 3 Cost e dall’art. 14bis comma 2° della l. n.11/2005 (che impone di non applicare “nei confronti dei cittadini italiani” le norme interne che “producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti o stabiliti nel territorio nel territorio nazionale”).
Sul punto è intervenuto molto chiaramente anche il giudice delle leggi (Corte Cost. s.n. 443/1997 e s. n. 249/1995) che ha affermato che nell’ipotesi in cui il trattamento riservato dalla normativa interna italiana al cittadino italiano sia deteriore rispetto a quella applicabile, in base alla normativa comunitaria, in analoga situazione, al cittadino comunitario o al soggetto protetto dal diritto comunitario, occorrerà, in funzione del principio costituzionale di eguaglianza, applicare al cittadino italiano la normativa comunitaria al fine di garantire anche a costui un trattamento analogo a quello garantito in ambito comunitario al cittadino comunitario.
21. Tanto premesso, a fronte della domanda formulata dalla ricorrente in ricorso ex art. 44 del Dlgs. n. 286/1998, limitata alla condanna alla corresponsione del sussidio casa, in difetto di ulteriori istanze risarcitorie, ripristinatorie o sanzionatorie, e previa disapplicazione dell’art. 5 comma 6° della L.P. n. 13/1998 (come novellato dall’art. 1 della L.P. n. 9/2008) e delle disposizioni richiamate per contrasto con il generale principio di non discriminazione e con l’art. 7 del regolamento n. 1612/1968 (ora regolamento n. 492/2011 d.d. 05.04.2011), nella parte in cui sono state attuate nel senso di non attribuire effetto immediato alla dichiarazione di appartenenza o aggregazione ad uno dei gruppi linguistici comunque resa dalla ricorrente in data 14.01.2010, va dichiarato il carattere discriminatorio della condotta serbata dalle convenute ed, in particolare, dell’applicazione data alla normativa di riferimento nonché del provvedimento di inammissibilità della domanda di sussidio casa d.d. 22.03.2010 ed ordinato all’IPES nonché alla Provincia Autonoma di Bolzano di cessare la condotta discriminatoria posta in essere nei confronti della ricorrente provvedendo alla corresponsione a suo favore del sussidio casa oltre accessori di legge dalla domanda al saldo.
La responsabilità delle convenute prescinde dall’accertamento dell’elemento volontaristico del comportamento od attività che realizzi una discriminazione e quindi dalla circostanza che al comportamento sanzionato sottenda o meno una volontà di discriminare. Quello che conta cioè non è il voler discriminare, ma il fatto che tale sia l’effetto che produce il comportamento. Poco rileva sotto quest’aspetto che la decisione adottata IPES sia frutto di una sua scelta discrezionale o l’esito dell’applicazione della legge. Il risultato è, comunque, un comportamento discriminatorio di cui l’ente è chiamato a rispondere non essendo affatto obbligato ad adottare il provvedimento cha ha adottato.
22. L’IPES ha formulato domanda di manleva nei confronti della Provincia in caso di dictum di condanna alla quale quest’ultima nulla ha opposto accettando il contradditorio.
La domanda è infondata nel merito.
Il primato del diritto dell’Unione obbliga alla disapplicazione non solo gli organi giurisdizionali ma anche la Pubblica Amministrazione, come evidenziato fin dalla più risalente giurisprudenza comunitaria (cfr. C-103/1988, Fratelli Costanza s.p.a. d.d. 22.06.1989 par. 30 e 31).
Anche il Giudice delle leggi ha ribadito che tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza di legge o valore di legge) – tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le disposizioni comunitarie (Corte Cost. 389/1989, che ha dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Provincia autonoma di Bolzano in relazione al d.P.C.M. 28 ottobre 1988 - Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e province autonome per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica ed al relativo credito dei cittadini comunitari esercenti attività di lavoro autonomo - in quanto ritenuto lesivo delle competenze legislative di tipo esclusivo da essa detenute, a norma dell'art. 8, n. 10, e degli artt. 16 e 98 dello Statuto di autonomia, in materia di "edilizia comunque sovvenzionata, totalmente o parzialmente, da finanziamenti a carattere pubblico", nonché delle competenze ad essa riconosciute dall'art. 6 del D.p.r. 19 novembre 1987, n. 526, in ordine all'attuazione dei regolamenti della Comunità Economica Europea, ove questi richiedano una normazione integrativa o un’attività amministrativa di esecuzione.).
Tanto premesso, il presidente dell’IPES (ente ausiliario della Provincia peraltro dotato di personalità di diritto pubblico e di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile ai sensi dell’art. 11 della L.P. n. 13/1998), che invero è retribuito anche e soprattutto per assumersi responsabilità nell’ambito della propria discrezionalità gestionale, avrebbe dovuto astenersi dal dare esecuzione a disposizioni normative ictu oculi illegittime.
In secondo luogo non si capisce di cosa dovrebbe essere manlevato l’Istituto. Come emerso a seguito dell’interrogatorio libero della funzionaria Piccolo Clara, il sussidio casa è stato negato non per incapienza del fondo bensì per la ritenuta inefficacia per diciotto (18) mesi da parte dell’IPES della dichiarazione linguistica comunque resa obtorto collo dalla ricorrente.
[...]
P.Q.M.
il Giudice,
[...]
accerta e dichiara
il carattere discriminatorio della condotta serbata dall’IPES e dalla Provincia Autonoma di Bolzano;
ordina
ai convenuti di cessare la condotta discriminatoria posta in essere provvedendo alla corresponsione a favore della ricorrente del sussidio casa richiesto;
[...]
Così deciso in Bolzano, lì 20 luglio 2011
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