E' discriminatorio chiedere il possesso del permesso di soggiorno "lungo" ai fini dell'iscrizione all'anagrafe del Comune di residenza
Tribunale Civile di Bergamo, Sezione Prima, Ordinanza del 3 novembre 2011
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
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Nel caso in esame il Tribunale di Bergamo si è trovato a confermare, in sede collegiale di reclamo, una precedente ordinanza del medesimo Tribunale, con la quale era stato riconosciuto il carattere discriminatorio del requisito previsto dal Comune di Palosco (in provincia di Bergamo), ai fini dell'iscrizione presso l'anagrafe del medesimo Comune, consistente nel possesso, per i cittadini stranieri ivi residenti, del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, in aggiunta agli altri requisiti previsti per i cittadini comunitari. Il giudice di prime cure aveva riconosciuto, rettamente, che tale pretesa ledeva il principio di parità di trattamento tra straniero regolarmente soggiornante e cittadino in materia di iscrizione anagrafica, previsto dall'art. 6 comma 7 del d.lgs. n. 286/98 (T.U. immigrazione).
IL TRIBUNALE DI BERGAMO
Prima Sezione Civile
[...]
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento per reclamo iscritto al n. 776/2011 V.G. e pendente
TRA
COMUNE DI XXXXXX
RECLAMANTE
E
Yyyyyyyyyyyy
RESISTENTE
[...]
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Comune reclamante non ha contestato nel merito la decisione impugnata, ma ha ribadito le eccezioni preliminari di difetto di giurisdizione e di carenza di legittimazione passiva già disattese dal Giudice di prime cure con argomentazioni che il Collegio ritiene pienamente condivisibili.
Per quanto riguarda l'eccezione relativa al difetto di giurisdizione, si osserva infatti che la giurisdizione ordinaria in subiecta materia è prevista dall'art. 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215, che – mediante il richiamo all'art. 44 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione (approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286) – attribuisce al giudice ordinario la cognizione dell'azione civile contro la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, in quanto le situazioni giuridiche soggettive tutelate, inerenti il principio di eguaglianza, hanno natura di diritti soggettivi.
La giurisdizione ordinaria trova conferma nella pronuncia delle sezioni unite della Cassazione, richiamata nel provvedimento impugnato (ordinanza 15 febbraio 2011 n. 3670), che tale giurisdizione ha dichiarato in ordine all'azione contro la discriminazione avente ad oggetto un provvedimento emesso da una pubblica amministrazione.
Nè è lecito affermare che il Giudice di prime cure abbia travalicato i limiti proprio della giurisdizione ordinaria, in quanto non ha annullato nè modificato alcun provvedimento autoritativo del Comune reclamante.
Parimenti infondata è l'eccezione relativa al difetto di legittimazione attiva degli Enti ricorrenti, la cui legitimatio ad causam è prevista dall'art. 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215 in relazione a tutte le ipotesi di discriminazione previste dall'art. 2 del medesimo decreto.
Il riferimento all'art. 43 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, contenuto nell'art. 2 da ultimo citato, non ha l'effetto di escludere, dal campo di applicazione dell'art. 5, le ipotesi ivi menzionate, ma deve essere inteso quale estensione della tutela prevista dal decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215 a tutte le fattispecie di discriminazione, comprese quelle previste dall'art. 43 richiamato dalla norma in esame.
Nè sarebbe d'altronde razionale un'interpretazione che escludesse, dalla tutela giurisdizionale prevista dall'art. 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215 (al quale il successivo art. 5 si riferisce, disciplinando la legittimazione ad agire delle associazioni e degli enti ivi menzionati), le ipotesi di discriminazione per motivi nazionali, non sussistendo alcuna ragione per differenziare tale ipotesi di discriminazione, ed i relativi strumenti di tutela giurisdizionale, da quelle etnica e razziale.
In conclusione, il reclamo deve essere rigettato, con la conseguente condanna della parte reclamante al rimborso delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale rigetta il reclamo e condanna la parte reclamante al rimborso in favore dei resistenti delle spese di lite,...
Bergamo, 20 ottobre 2011
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