Cittadino nigeriano diritto a protezione sussidiaria: Nigeria caratterizzata da violenze indiscriminate a causa di conflitti armati tra cristiani e musulmani
Trib. Milano, Sez. Affari Immigrazione, ordinanza del 30 aprile 2013
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 1101 volte dal 13/06/2013
Sussistono le condizioni per riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria in considerazione della grave situazione che ha caratterizzato la vita in Nigeria nell'ultimo periodo e che ancora oggi non può ritenersi risolta. In via generale, osserva questo giudice che le esigenze di protezione internazionale derivanti da violenza indiscriminata non sono limitate a situazioni di guerra dichiarata o a conflitti internazionali riconosciuti. La definizione del termine “conflitto armato interno” non può pertanto essere troppo esigente. La lettura del corretto significato da attribuire al “conflitto armato interno” dovrà ispirarsi al diritto internazionale umanitario, in particolare all'art. 2 del Protocollo II della Convenzione del 1949. In base a questa disposizione, per stabilire la sussistenza di un conflitto armato interno, dovrebbero essere considerati quali requisiti sufficienti l'esistenza di chiare strutture di comando tra le parti in conflitto ed un controllo sul territorio tali da soddisfare quanto indicato nel Protocollo II. In particolare, l'intero territorio della Nigeria era ed è caratterizzato da un clima di violenze diffuse ed indiscriminate a causa di conflitti armati tra cristiani e musulmani. La stampa internazionale ha dato conto di sanguinosi scontri che hanno interessato la popolazione inerme e ancora oggi gli organi di stampa diffondono informazioni di violenze. I luoghi di culto cristiani in Nigeria sono diventati il principale obiettivo degli islamisti di Boko Haram, un gruppo legato ad Al Qaida, che si propone non solo di instaurare un califfato islamico nel nord del Paese, ma anche quello, più ambizioso e pericoloso, di innescare una guerra civile interreligiosa. I gravi e continui scontri presenti su tutto il territorio nigeriano rendono estremamente difficoltosa l'individuazione di posizioni consolidate di forza o di stati maggiormente sicuri e delineano, al contrario, un quadro socio politico caratterizzato dal pericolo di gravi danni alla persona che la protezione sussidiaria mira ad evitare.
REPUBBLICA ITALIANA
IL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE I CIVILE
[...]
ORDINANZA
nella causa civile [...]
TRA
Xxx nato in Nigeria il 28.2.1991, elettivamente domiciliato in Milano, via Gardone n. 8, presso lo studio dell'avv. Michele Spadaro, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso introduttivo
E
MINISTERO dell'INTERNO
[...]
IN FATTO E DIRITTO
Con ricorso ex art 35 D.L.vo 25/08 tempestivamente proposto ... Xxx ... ha proposto opposizione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato di Milano che ... aveva rigettato la sua richiesta di protezione internazionale.
Il ricorrente, a sostegno della propria domanda ha dedotto: che era stato costretto a fuggire dalla Nigeria per sfuggire alle minacce legate a questioni di successione nella guida del villaggio di origine; che, durante la fuga, era stato imprigionato dalla Polizia e che poi era riuscito ad evadere.
[...]
Il ricorso ... è fondato e merita accoglimento, nei limiti che seguono.
Ai sensi dell'art 2 del D.Lvo 19.11.2007 n. 251, che dispone, conformemente alla Convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28.7.1951 e ratificata con L. 24.7.1954 n. 722, rifugiato è il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. ll successivo art. 3 dispone che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o dell'attribuzione della protezione sussidiaria, il richiedente debba presentare tutti gli elementi e la documentazione necessaria a motivare la relativa domanda. Ai sensi degli artt. 5 e 7 del medesimo D.Lvo, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, gli atti di persecuzione paventati debbono essere sufficientemente gravi, per natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, potendo assumere, tra le altre, la forma di atti di violenza fisica o psichica, di provvedimenti legislativi, amministrativi e giudiziari discriminatori; responsabili della persecuzione o del danno grave debbono essere lo Stato, partiti od organizzazioni che controllano lo Stato od una parte consistente del suo territorio; soggetti non statuali, se i soggetti sopra citati, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione.
È invece persona ammissibile alla protezione sussidiaria il "cittadino di un Paese non appartenente all'Unione Europea o apolide che non possiede i requisiti per essere rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che se ritornasse nel Paese d'origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dall'art. 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251, e il quale non può, o a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese"; più precisamente, secondo il citato art. 14 "sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale".
Se per un verso nelle controversie attinenti al riconoscimento dello status di rifugiato politico deve ritenersi in via generale attenuato l'onere probatorio incombente sul richiedente - così come oggi esplicitato dall'art. 3, comma 5 D.lvo 251/07-, d'altra parte il richiedente protezione non è esonerato dalla prova. Secondo l'insegnamento della Cassazione "L'onere probatorio, deve dunque essere assolto seppur in via indiziaria tenendo conto delle difficoltà connesse a volte ad un allontanamento forzato e segreto, ma comunque a mezzo elementi aventi carattere di precisione,gravità e concordanza, desumibili dai dati, anche documentali, offerti al bagaglio probatorio (...) 1l fatto che tale onere debba intendersi in senso attenuato non incide sulla necessìtà della sussistenza sia della persecuzione sia del suo carattere personale e diretto per le ragioni rappresentate a sostegno della sua rivendicazione (cfr. Cass. n. 26278/05), e soprattutto non pone a carico dell'amministrazione alcuno alcuno speculare onere nè di concedere il beneficio del dubbio, nè di smentire con argomenti contrari le ragioni addotte dall'istante."(Cass. 18353/06).
In particolare, per accertare la veridicità e l'attendibilità delle circostanze esposte dal ricorrente a fondamento delle proprie istanze di protezione internazionale deve farsi applicazione del regime dell'onere della prova previsto nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, che stabilisce che, se il richiedente non ha fornito la prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova vengono ritenuti comunque veritieri se: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) è stata fornita un'idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi, le dichiarazioni rese sono coerenti e plausibili e correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il suo caso; c) il richiedente ha presentato la domanda il prima possibile o comunque ha avuto un valido motivo per tardarla; d) dai riscontri effettuati il richiedente è attendibile (v. Cass. 6879/11).
Pur dandosi atto del fatto cbe, in via amministrativa, la Commissione Territoriale ha riconosciuto al ricorrente la protezione umanitaria, devono esaminarsi le domande dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, nelle quali la difesa del ricorrente ha dichiarato di voler insistere.
Le vicende personali narrate dal ricorrente appaiono generiche, confuse e scarsamente attendibili.
[...[
Ne emerge un complessivo quadro di scarsa attendibilità del ricorrente, le cui sole dichiarazioni non possono dunque ritenersi sufficienti a provare, sulla base dei criteri fissati dall'art. 3 V co. D.L.vo 251/07, il pregiudizio asseritamente patito.
Sussistono al contrario le condizioni per riconoscere al ricorrente la protezione sussidiaria in considerazione della grave situazione che ha caratterizzato la vita in Nigeria nell'ultimo periodo e che ancora oggi non può ritenersi risolta.
ln via generale, osserva questo giudice che le esigenze di protezione internazionale derivanti da violenza indiscriminata non sono limitate a situazioni di guerra dichiarata o a conflitti internazionali riconosciuti. La definizione del termine "conflitto armato interno" non può pertanto essere troppo esigente. La lettura del corretto significato da attribuire al "conflitto armato interno", in assenza di una definizione legale o un'interpretazione unanimemente riconosciuta dovrà ispirarsi al diritto internazionale umanitario, in particolare all'art. l del Protocollo II della Convenzione del 1949. In base a questa disposizione, per stabilire la sussistenza di un conflitto armato interno, dovrebbero essere considerati quali requisiti sufficienti l'esistenza di chiare strutture di comando tra le parti in conflitto ed un controllo sul territorio tali da soddisfare quanto indicato nel Protocollo II.
Ancora in via generale, osserva questo giudice che, come affermato dalla Corte di giustizia, "nei casi di violenza indiscriminata nel Paese di origine causata da un conflitto armato, colui che richiede la protezione sussidiaria in uno Stato membro non deve provare di essere minacciato personalmente proprio a causa dell'eccezionalità della situazione che di per sè fa supporre l'esistenza di un rischio effettivo per l'individuo di subire minacce gravi e individuali, nel caso di rientro nello Stato di origine, proprio a causa dell'elevato livello di violenza" (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 17.2.2009 n. 465).
In particolare, l'intero territorio della Nigeria era ed è caratterizzato da un clima di violenze diffuse ed indiscriminate a causa di conflitti armati tra cristiani e musulmani.
La stampa internazionale ha dato conto di sanguinosi scontri che hanno interessato la popolazione inerme e ancora oggi gli organi di stampa diffondono informazioni di violenze. l luoghi di culto cristiani in Nigeria sono diventati il principale obiettivo degli islamisti di Boko Haram, un gruppo legato ad Al Qaida, che si propone non solo di instaurare un califfato islamico nel nord del Paese, ma anche quello, più ambizioso e pericoloso, di innescare una guerra civile interreligiosa. Il nostro Ministero Affari Esteri segnala la difficile situazione in Nigeria evidenziando come "la situazione della sicurezza è caratterizzata, in generale, da diffusi atti di criminalità. E' attuale il rischio di atti di terrorismo e di violente sommosse. Permane elevato il rischio di incremento di azioni ostili, con particolare riferimento a rapimenti a danno di stranieri sia da parte della criminalità comune che da parte di gruppi terroristici, anche con esiti letali, come ampiamente ripresi dai mezzi d'informazione italiani ed internazionali. Tale pericolo aumenta notevolmente soprattutto nelle aree più remote e più difficilmente controllabili da parte delle Autorità" (avviso particolare, Viaggiare Sicuri, del 19.6.2012).
Sconsigliati sono i viaggi anche nel Delta della Nigeria che ha visto fino a tempi recenti azioni di cosiddetti militanti rivolte contro espatriati e imprese straniere e presenta elevati livelli di criminalità, se non per motivi di lavoro o necessità e con idonee precauzioni.
Nella capitale Abuja si sono registrati diversi attentati di matrice terrorista: il primo ottobre 2010, in occasione della celebrazione del 50mo anniversario dell'Indipendenza, il 16 giugno 2011, ai danni del Quartier Generale della Polizia, il 6 agosto 2011 alla sede delle Nazioni Unite. In occasione di ricorrenze particolari, principalmente legale a festività, religiose o laiche, si registrano allarmi su possibili attentati ad edifici pubblici, centri commerciali, mercati e agli alberghi che ospitano clientela internazionale nella capitale.
Anche nel centro nord del Paese si sono registrati numerosi attacchi di matrice terrorista (il 20.1.2012 una serie di attacchi multipli a Kano ha determinato almeno 180 vittime e numerosi feriti; il 26.4.2012 un'autobomba ha colpito alcune testate giornalistiche; il 5.9.2012 a Kano ed in altre due città dello Stato di Yobe sono stati distrutti decine di ripetitori delle principali compagnie di telefonia mobile.
Il sito per l'Istituto per il Commercio estero evidenzia che "un altro problema è la violenza dovuta alla criminalità comune, diffusa in generale in tutto il Paese ma con zone ad alto rischio per la sicurezza personale nel Sud, soprattutto nell'area del Delta del Niger e nella città di Lagos, e agli scontri interetnici e/o interreligiosi nel centro e nel Nord".
Dal rapporto diffuso da Amnesty lnternational in data 8.6.2012 emerge come il livello di violenza in Nigeria è cresciuto drasticamente, giungendo a portare la Nigeria al livello della Somalia.
La stampa internazionale, di recente, ha dato conto di attacchi a chiesa e polizia, con almeno un centinaio di morti, ad opera della setta islamica Boko Haram e la complessiva situazione della Nigeria è stata oggetto di reiterate risoluzioni del Parlamento Europeo.
In merito alle deduzioni della Commissione Territoriale relative al fatto che solo nel Centro e nel Nord del Paese i cristiani subiscono violenze da parte dei musulmani, mentre al sud della Nigeria sono i musulmani ad essere oppressi dai Cristiani, si osserva che il rischio di essere coinvolto in un conflitto armato prescinde dall'appartenenza al gruppo degli oppressori o degli oppressi. Il pericolo di rimanere coinvolto in un conflitto armato, infatti, non può ritenersi scongiurato dal fatto che nel Sud del Paese i cristiani sono, per il momento, in una posizione di maggiore forza. Peraltro, sulla base di indicazioni che si evincono nella ricerca della Jamestown Foundation (fonte comunque non governativa), non si escludono, per la zona del Delta del Niger (dalla quale proviene il ricorrente}, altri rischi quali quelli legati ad una possibile ripresa dell'attività del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MEND).
I gravi e continui scontri presenti su tutto il territorio nigeriano rendono pertanto estremamente difficoltosa l'individuazione di posizioni consolidate di forza o di stati maggiormente sicuri e delineano, al contrario, proprio un quadro socio politico caratterizzato dal pericolo di gravi danni alla persona che la protezione sussidiaria mira ad evitare.
In merito alla possibilità per il ricorrente di recarsi a vivere in regioni diverse del Paese senza incorrere in rischi si osserva quanto segue.
L'art. 8 della direttiva 2004/83/CE recante norme sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione minima riconosciuta prevede che "Nell'ambito dell'esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del terrirorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese. Nel valutare se una parte del territorio del paese d'origine è conforme al paragrafo l, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonchè delle circostanze personali del richiedente all'epoca della decisione sulla domanda".
La norma in esame della direttiva lascia dunque agli stati membri la facoltà se trasporla o meno nel proprio ordinamento, nel caso dell'Italia, la attuazione della direttiva è avvenuta tramite il D.Lgs. n. 251 del 2007 che non ha ripreso la disposizione dell'art. 8 della direttiva. Come riconosciuto dalla Cassazione (16.2.2012 n. 2294) "ciò significa che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie".
Nel caso in esame, peraltro, la forte diffusione delle violenze e la ripetitività nel tempo delle stesse, portano questo giudice a ritenere non sicura per il ricorrente un'ipotetica via di fuga interna.
E' appena il caso di ricordare che, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice nazionale ai fini dell'accoglimento della condizione ostativa prevista dall'art. 698 comma primo c.p.p., può fondare la propria decisione in ordine all'esistenza di violazioni dei diritti umani elaborati nel Paese richiedente anche sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (quali ad esempio Amnesty lntemational e Human Rights Watch, la cui affidabilità sia generalmente riconosciuta sul piano internazionale (Cass. 32185 dell'8 luglio 2010).
Tale orientamento, che deve intendersi esprimere un principio di ordine generale, trova, del resto, le proprie radici nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani che ormai da tempo riconosce la piena rilevanza ed utilizzabilità dei rapporti informativi redatti da organizzazioni internazionali impegnate nella tutela dei diritti umani (cfr. Corte Europea dei diritti dell'uomo, 28.2.2008, Saadi c. Italia).
In questo contesto ritiene il Tribunale (con orientamento condiviso anche da parte della giurisprudenza di merito, cfr. Corte d'Appello di Roma, 4.2.2012; Tribunale di Roma 13.12.2012) che in Nigeria al momento vi sia una situazione di pericolo grave per l'incolumità delle persone derivante da violenza indiscriminata ancora presente in loco, dal quale discenda ex art. 14 lett. c) D. L.vo 251/07 il diritto alla protezione sussidiaria.
Va dunque riconosciuta al ricorrente la protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria.
[...]
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa:
• in accoglìmento del ricorso riconosce a Xxx la protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria;
• dichiara cessata la materia del contendere in merito alla domanda diretta ad ottenere la protezione umanitaria;
[...]
Milano, 30 aprile 2013
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