E’ accolto il ricorso avverso il provvedimento di rifiuto opposto dall’Ufficiale di Stato Civile del Comune di L. sulla richiesta di acquisto della cittadinanza italiana, motivato dal fatto che, al momento della nascita del ricorrente, nessuno dei suoi genitori era residente sul territorio della Repubblica. Invero, i requisiti richiesti dall’art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992 ai fini del riconoscimento della cittadinanza erano la stabile residenza in Italia senza interruzioni, sino al raggiungimento della maggiore età del soggetto nato in Italia. Tale norma faceva riferimento unicamente alla residenza, secondo il disposto previsto dall’art. 43 del codice civile ai sensi del quale “la residenza è il luogo nel quale la persona ha dimora abituale”. Dai provvedimenti resi dal Tribunale per i minorenni, dalla documentazione sanitaria allegata, dalla certificazione di residenza emerge come il ricorrente abbia avuto dimora abituale nel nostro Paese. La disposizione di cui all’art. 1 del D.P.R. n. 572/1993 che detta un concetto di residenza (residenza legale) ben più restrittivo di quello posto dalle norme del codice civile non può essere richiamata nel caso in esame, atteso che la definizione di residenza legale non sussisteva al momento in cui il ricorrente nacque. Se è vero che le interpretazioni rese in sede amministrativa volte ad ampliare l’ambito operativo dell’art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992 hanno precisato della necessità che almeno uno dei genitori del minore nato in Italia risultasse regolarmente residente in Italia al momento della nascita, deve tuttavia rilevarsi che né il predetto art. 4, comma 2 e né tanto meno l’art. 1 del D.P.R. n. 572/1993 fanno richiamo alla sussistenza in capo “al genitore” dello straniero nato in Italia dei requisiti di legale residenza nel territorio dello Stato. Peraltro, in via amministrativa non possono essere introdotti ai fini dell’acquisto della cittadinanza ulteriori requisiti rispetto a quelli previsti dalla legge del 1992 che ne frustino gli intenti.