Status di rifugiato per chi, convertito al cristianesimo, è stato più volte aggredito e minacciato dalla comunità praticante culti animisti di cui il padre era il sacerdote
Trib. Roma, Sez. Prima, sentenza del 24 gennaio 2013
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 227 volte dal 21/04/2013
È accolto il ricorso e, per l’effetto, si riconosce lo status di rifugiato ai fini del relativo permesso di soggiorno sul territorio nazionale. Nella fattispecie in esame, parte ricorrente ha fornito sufficienti elementi di prova circa i fatti lamentati che lo avrebbero indotto alla fuga dal suo paese, elementi che consentono di ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento del rifugio. Il ricorrente ha infatti dichiarato di essersi convertito alla religione cristiana nel 2001 e di essere stato per questo duramente contestato dalla sua famiglia di origine, anche in ragione del fatto che il padre era sacerdote praticante culti animisti, diffusi nel villaggio, e che alla sua morte l’intera comunità lo aveva ripetutamente aggredito e minacciato poiché non intendeva prendere il posto del padre, una volta deceduto. Da ultimo, per quanto attiene all’aspetto inerente il profilo normativo, devesi rilevare che il concetto di persecuzione per motivi religiosi appare comprendere a pieno titolo l’odierna fattispecie (cfr, in particolare, l’art. 8, lettera b) del D.Lgs. n. 251/2007, il concetto di religione “include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l’astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità …”).
TRIBUNALE DI ROMA
PRIMA SEZIONE CIVILE
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
L'odierno ricorrente, cittadino del Ghana, ha impugnato il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma del 22.12.2009... con il quale è stata rigettata l'istanza di protezione internazionale ed umanitaria esponendo di essere fuggito dal proprio paese nel 2008 a seguito delle persecuzioni subite dalla sua comunità e dai suoi parenti a seguito della conversione al cristianesimo (2001) e del rifiuto di prendere il posto del padre, sacerdote aninuista deceduto nel 2004, nella celebrazione dei riti tradizionali praticati nel villaggio di origine.
Ha lamentato la superficialità della valutazione della commissione, da ritenersi sommaria, lacunosa e previa di approfondita istruttoria.
Ha quindi concluso chiedendo in via principale di dichiarare il proprio diritto allo status di rifugiato e, in via subordinata, il riconoscimento in proprio favore della protezione sussidiaria, della protezione umanitaria e in via ulteriormente subordinata del diritto di asilo ex art. 10 della Costituzione.
[...]
Nel merito, la domanda è fondata in ordine alla richiesta principale e deve pertanto essere accolta per le ragioni che seguono.
Nella fattispecie in esame, parte ricorrente ha fornito sufficienti elementi di prova circa i fatti lamentati che lo avrebbero indotto alla fuga dal suo paese, elementi che consentono di ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento del rifugio.
In particolare, l'istruttoria ha consentito di accertare che il ricorrente è effettivamente di religione cristiana, ciò è infatti evincibile non solo dall'audizione svolta innanzi alla commissione (nella quale ha dimostrato di conoscere i fondamenti di tale religione), ma anche dalla documentazione allegata in atti, specie all'udienza del 23.10.2012, dalla quale risulta la sua assidua frequentazione della chiesa cattolica in Italia (cfr. attestazione del parroco della chiesa frequentata), nonchè l'appartenenza alla detta professione religiosa dei suoi tre figli rimasti in Ghana (cfr.certificati di battesimo ed altri sacramenti).
Del resto, la vicenda personale narrata dal ricorrente, anche all'udienza del 23.10.2012, appare chiara e priva di rilevanti contraddizioni, oltre che supportata dai riferiti elementi istruttori, in maniera da risultare verosimile l'intera prospettazione da esso fornita delle ragioni del suo allontanamento dal paese di origine [...].
Quest'ultimo ha infatti dichiarato di essersi convertito alla religione cristiana nel 2001 e di essere stato per questo duramente contestato dalla sua famiglia di origine, anche in ragione del fatto che il padre era sacerdote praticante culti animisti, diffusi nel villaggio, e che alla sua morte l'intera comunità lo aveva ripetutamente aggredito e minacciato poichè non intendeva prendere il posto del padre, una volta deceduto.
L'intera vicenda personale narrata dal ricorrente appare pertanto credibile e dettagliatamente riferita nei documenti e nelle dichiarazioni personale rese in udienza, atteso che non solo non sussistono contraddizioni nella ricostruzione degli eventi affermati, ma anche nelle circostanze esposte appaiano rafforzate da vari riscontri istruttori.
Nè può apparire anomala la circostanza evidenziata dalla commissione inerente al decorso di quattro anni tra la morte del padre e la decisione di fuggire dal Ghana, atteso che il ricorrente stesso ha evidenziato in audizione di avere subito aggressioni solo a decorrere dal 2006 (e non immediatamente dopo la morte del padre) e che comunque il medesimo si è dovuto determinare ad allontanarsi dalla sua famiglia, specie dai tre figli minori da accudire (la moglie risulta anch'essa deceduta al momento della sua partenza), decisione che verosimilmente ha assunto dopo le ripetute aggressioni e serie minacce alla sua incolumità individuale.
Rileva piuttosto che il ricorrente abbia tempestivamente presentato domanda di protezione una volta giunto in Italia.
Sussiste, in altri termini, il rispetto del principio di prova richiesto dalla giurisprudenza al riguardo (cd regime probatorio attenuato, attesa la difficoltà dell'istante, costretto alla fuga per salvaguardare la propria incolumità, di dimostrare le circostanze poste a fondamento della domanda di protezione, cfr. Cons. Stato, 12.1.1999, n. 11, richiamato da Cass. n. 26278/2005 e Cass, SSUU, n. 27310/2008 ed art 3 d.lgs. n. 251/2007).
Occorre ricordare, in ordine alla richiesta principale, che l'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata dall'Italia con legge 24.7.1954, n. 722, definisce rifugiato chi, temendo con ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo paese.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre, la generica gravità della situazione politico economica del paese di origine del richiedente, così come la mancanza dell'esercizio delle libertà democratiche, non sono di per sé sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento dello status reclamato, essendo invece necessario che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive esistenti nello stato di appartenenza, siano tali da far ritenere la sussistenza di un pericolo grave per l'incolumità della persona (cfr.per tutte Cons. Stato, 18.3.1999, n. 291).
Ebbene, sussistono nella specie entrambi gli elementi identificativi dello status di rifugiato, ossia la persecuzione subita dal ricorrente ad opera dei parenti e della sua comunità (attuata e minacciata, nel senso delle numerose aggressioni subite tra il 2006 e il 2008, in casa nei campi dove lavorava) e l'incapacità dello stato di fornire adeguata protezione al cittadino, atteso che il ricorrente ha riferito di essersi invano rivolto alle autorità locali, le quali avrebbero svolto indagini senza addivenire ad alcun risultato utile, laddove il concetto di persecuzione per motivi religiosi appare comprendere a pieno titolo l'odierna fattispecie (cfr., in particolare, l'art. 8, lett. b) del d.lgs n. 251/2007, il concetto di religione "include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l'astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità...").
L'accoglimento della domanda principale esclude infine, per assorbimento, la necessità di esaminare le domande in via subordinate di protezione, ivi compresa quella di asilo costituzionale.
[...]
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, sezione prima civile, sulla controversia di cui in epigrafe, così provvede:
1) riconosce a Xxx, nato in Ghana, lo status di rifugiato ai fini del relativo permesso di soggiorno sul territorio nazionale;
[...]
Roma, 20.12.2012
Il Giudice
DEPOSITATA IN CANCELLERIA
21 gennaio 2013
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