Sanatoria 2012 - Silenzio inadempimento sulla domanda
TAR Marche, sezione prima, sent. n. 736/2014 del 24/07/2014
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 110 volte dal 03/03/2015
Non è seriamente revocabile in dubbio il fatto che nel nostro ordinamento non può esistere un procedimento amministrativo ad istanza di parte che non abbia un termine certo per la sua conclusione. Se qualche dubbio poteva esistere al riguardo prima dell’agosto 1990, non c’è dubbio che dopo l’entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo lo scenario è completamente mutato.
L’art. 2 della L. n. 241/1990 (più volte modificato sul punto) contiene fra le altre cose la disciplina applicabile per i casi in cui le singole amministrazioni non abbiano provveduto a stabilire per via regolamentare i termini per la conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza. Tale disciplina, come è noto, consiste nell’applicare in questi casi il termine residuale di 30 giorni. Non risponde pertanto al vero che nella specie manca una disciplina positiva applicabile (per il resto si rimanda alla motivazione della sentenza n. 464/2013);
Il ricorso va dunque accolto, limitatamente alla condanna dell’amministrazione a concludere il procedimento con un atto espresso entro 30 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente sentenza.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 325 del 2014, proposto da:
Manjur Alam, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Lufrano, con domicilio eletto presso la Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;
contro
U.T.G. - Prefettura di Ancona, Questura di Ancona, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliati presso la sede della stessa, in Ancona, piazza Cavour, 29;
per l'accertamento
dell’illegittimità del silenzio-rifiuto a seguito della istanza di emersione da lavoro irregolare ex art.5 del D.Lgs. n. 109/2012.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Ancona e di Questura di Ancona e di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2014 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, cittadino bengalese irregolarmente soggiornante in Italia, era stato destinatario di domanda di “emersione” ai sensi del D.Lgs. n. 109/2012, presentata dal sig. Patrizio Piombetti in data 13/10/2012.
Come emerge dal rapporto informativo depositato in giudizio dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 11/6/2014, il S.U.I. di Ancona adottava un preavviso di rigetto, sul presupposto che il datore di lavoro non aveva presentato alcuna denuncia dei redditi dal 2009 e quindi non risultava in possesso dei requisiti per accedere alla procedura di emersione. A seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 76/2013 il ricorrente, per il tramite di due legali di fiducia, rivolgeva alla Prefettura di Ancona tre istanze di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del comma 11-bis dell’art. 5 del D.Lgs. n. 109/2012. La Prefettura rendeva noto di essere in attesa del rilascio del nulla-osta da parte della locale Questura, ma da quel momento il ricorrente non aveva più notizie circa l’esito dell’istanza. In data 10/4/2014 il rapporto di lavoro oggetto della domanda cessava.
2. Essendo decorso a suo avviso il termine di legge per la conclusione del procedimento, il sig. Alam adisce il Tribunale con ricorso avverso il silenzio della P.A., in cui evidenzia che:
- non prevedendo l’art. 5 del D.Lgs. n. 109/2012 un termine per la conclusione del procedimento, deve applicarsi per analogia la disposizione del T.U. n. 286/1998 che disciplina il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno;
- in alternativa, deve applicarsi il termine generale di cui all’art. 2 della L. n. 241/1990;
- si è in ogni caso formato il silenzio-inadempimento, dal che consegue l’obbligo per l’amministrazione di concludere il procedimento.
Il ricorrente chiede pertanto al Tribunale, accertata la sussistenza di un silenzio-inadempimento, di dichiarare l’obbligo del S.U.I. di concludere il procedimento entro 30 giorni dalla notifica della presente sentenza, nominando altresì fin d’ora un commissario ad acta per il caso di reiterata inottemperanza.
3. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Ancona e la Questura di Ancona, evidenziando che:
- l’originario procedimento di emersione si è concluso con il rigetto della domanda, in quanto il datore di lavoro non aveva comprovato il possesso dei requisiti di legge per accedere alla c.d. sanatoria di cui al D.Lgs. n. 109/2012;
- il procedimento è stato riaperto a seguito dell’istanza del sig. Alam, il quale sarà convocato presso il S.U.I. non appena la Questura avrà rilasciato il nulla-osta di competenza;
- con la sentenza n. 891/2014 la Sez. III del Consiglio di Stato ha statuito che al procedimento di emersione ex D.Lgs. n. 109/2012 non si applicano né le disposizioni del T.U. n. 286/1998 né la disciplina generale di cui all’art. 2 della L. n. 241/1990.
4. Il ricorso va accolto, per le ragioni indicate dal Tribunale nelle sentenze 19/6/2013, n. 464 e 22/5/2014, n. 542, relative a fattispecie assolutamente identiche (le quali sentenze sono peraltro conformi a numerose altre pronunce adottate da questo Tribunali su analoghi ricorsi).
In particolare, nella sentenza n. 542/2014 il Tribunale ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di non condividere la citata sentenza della Sez. III del Consiglio di Stato 25/2/2014, n. 891, ragioni che in questa sede si intende ribadire.
5. Il Consiglio di Stato, riformando proprio la sentenza del TAR Marche n. 464/2013, ha osservato che:
“…Come ha ricordato anche il T.A.R., nell’appellata sentenza, l’art. 5 del d. lgs. n. 109 del 2012, che ha consentito l’emersione di lavoratori stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale, non prevede un termine entro il quale il procedimento di emersione debba essere portato a conclusione (superato il quale deve ritenersi formato un silenzio significativo di rifiuto della relativa istanza).
5.1.- Né un termine certo per la conclusione del procedimento di emersione può ricavarsi dalla disciplina generale sul procedimento amministrativo che, all’art. 2, comma 4, ha espressamente stabilito che i termini per la conclusione del procedimento «non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione» che evidentemente possono concludersi in termini più lunghi.
In materia di immigrazione non si applica, quindi, nemmeno il limite temporale (più lungo) di centottanta giorni che può essere previsto per la conclusione dei procedimenti amministrativi in casi di particolare complessità, anche con riferimento alla sostenibilità dell’attività per l’amministrazione, o per la natura degli interessi pubblici tutelati.
5.2.- Del resto ciò si giustifica con la particolare natura di tali procedimenti che possono coinvolgere un numero anche molto rilevante di persone (non sempre esattamente misurabile a priori) e per i quali sono necessari a volte accertamenti complessi.
5.3.- Peraltro il Legislatore, nel consentire l’emersione, ha anche disposto (all’art. 5, comma 6, del d. lgs. n. 109 del 2012) la sospensione, sino al momento di conclusione del procedimento, dei procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per le violazioni delle norme relative all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale.
5.4. - In assenza di una espressa previsione legislativa (sul termine a provvedere e sulla formazione del silenzio rifiuto), e in assenza, nella fattispecie, di una formale diffida a provvedere, non poteva quindi essere riconosciuta alla parte la legittimazione ad impugnare un silenzio rifiuto che non si era formato.
6.- Si deve peraltro aggiungere che, nel caso in esame, il ricorso non poteva essere accolto anche perché l’Amministrazione aveva comunque reso note le ragioni che non consentono la conclusione positiva del procedimento di emersione.
Dalla relazione, in data 22 aprile 2013, dello Sportello Unico per l’Immigrazione si rileva che erano, infatti, emersi «dubbi sulla veridicità della documentazione esibita» con la conseguente trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria per la fattispecie di reato prevista dall’art. 5, comma 15, del d. lgs. n. 109 del 2012, in relazione all’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000…”.
6. Questo Tribunale nella recentissima sentenza n. 542/2014, si è discostato dalle conclusioni del giudice di secondo grado, evidenziando che:
“….- non è seriamente revocabile in dubbio il fatto che nel nostro ordinamento non può esistere un procedimento amministrativo ad istanza di parte che non abbia un termine certo per la sua conclusione. Se qualche dubbio poteva esistere al riguardo prima dell’agosto 1990, non c’è dubbio che dopo l’entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo lo scenario è completamente mutato;
- l’art. 2 della L. n. 241/1990 (più volte modificato sul punto) contiene fra le altre cose la disciplina applicabile per i casi in cui le singole amministrazioni non abbiano provveduto a stabilire per via regolamentare i termini per la conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza. Tale disciplina, come è noto, consiste nell’applicare in questi casi il termine residuale di 30 giorni. Non risponde pertanto al vero che nella specie manca una disciplina positiva applicabile (per il resto si rimanda alla motivazione della sentenza n. 464/2013);
- ma anche a volere per un attimo condividere la tesi del Consiglio di Stato, nella maggior parte dei casi esaminati da questo Tribunale (e soprattutto per quelli decisi prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 76/2013) il tempo impiegato dagli Sportelli Unici per l’Immigrazione per la definizione delle procedure di emersione aveva di gran lunga superato il termine residuale di 30 giorni (visto che le domande andavano presentate entro il 15 ottobre 2012). E a questo periodo si è poi aggiunto il termine dilatorio di cui all’art. 87, comma 3, cod. proc. amm. Le amministrazioni hanno goduto pertanto anche di un ulteriore termine dopo la proposizione dei ricorsi per definire almeno quei procedimenti per i quali era ormai insorto il contenzioso. Non si comprende, quindi, la ragione per la quale il ritardo non debba essere sanzionato almeno con la condanna a provvedere;
- a voler dare rilievo, ai fini dell’ammissibilità/procedibilità dei ricorsi avverso il silenzio sulle domande di emersione, anche ai preavvisi di rigetto o agli atti interlocutori di sospensione dei procedimenti, si avrebbe la forse non prevista conseguenza che dovrebbero ritenersi ammissibili ricorsi impugnatori avverso tali atti non provvedimentali, il che si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza formatasi sull’art. 10-bis L. n. 241/1990 (la quale afferma che, salvo casi eccezionali, il c.d. preavviso di rigetto non è immediatamente impugnabile, per inattualità dell’interesse a ricorrere);
- come il Tribunale ha avuto modo di ricordare nella sentenza n. 464/2013, l’adozione di un provvedimento espresso consente all’interessato di potersi tutelare nel merito, laddove il perdurare del silenzio non consente di comprendere se l’istanza non è accolta per mancanza dei presupposti, o perché semplicemente è stata smarrita o, ancora, in ragione di carenze di personale nell’ufficio competente o per altre ragioni. E, comunque, in base ai richiamati principi di carattere generale l’interessato può dolersi solo nei riguardi dell’atto terminale del procedimento;
- infine, per quanto concerne l’onere della previa diffida, si tratta di presupposto processuale che è stato espressamente abolito dalla L. n. 15/2005. In ogni caso, seppure l’interessato assolvesse a tale onere, resterebbe sempre il problema di stabilire quale sia il termine applicabile per la conclusione del procedimento. In assenza di previsioni normative, troverebbe curiosamente applicazione analogica il disposto dell’art. 25 del T.U. n. 3/1957 (e quindi, per ironia della sorte, il termine per provvedere sarebbe sempre pari a 30 giorni);
- va infine aggiunto che, in un’opera di necessaria composizione dei contrapposti interessi ed anche al fine di non esporre le Prefetture alle conseguenze di una dimenticanza del legislatore secondario, questo Tribunale ha avuto anche modo di affermare che, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 76/2013, è onere del lavoratore al quale si riferisce la domanda di emersione riattivare il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione nei casi in cui il procedimento di emersione si sia concluso con un rigetto per motivi imputabili esclusivamente al datore di lavoro (art. 5, comma 11-bis, D.Lgs. n. 109/2012). In questo senso si è ritenuto infondato un ricorso avverso il silenzio proposto prima del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione dell’istanza di riattivazione del procedimento (TAR Marche, sentenza n. 190/2014)….”.
7. Le predette considerazioni si attagliano perfettamente al caso di specie, visto che il procedimento è stato riaperto dal S.U.I. ai sensi della novella di cui al D.L. n. 76/2013 e che il ricorrente ha comunque diffidato l’amministrazione a concludere il procedimento. Né è emersa la sussistenza di elementi ostativi al rilascio del titolo di soggiorno, dei quali la Questura avrebbe certamente avuto immediata contezza consultando i propri archivi.
8. Il ricorso va dunque accolto, limitatamente alla condanna dell’amministrazione a concludere il procedimento con un atto espresso entro 60 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente sentenza. Il termine per adempiere va infatti ragguagliato a quello attualmente previsto dall’art. 5, comma 9, del T.U. n. 286/1998, come modificato dal D.Lgs. n. 40/2014.
La domanda di accertamento della fondatezza della pretesa sottostante non può invece trovare accoglimento, perché nel procedimento in questione l’amministrazione spende un potere discrezionale (e ciò anche a seguito della nota sentenza n. 172/2012 della Corte Costituzionale).
Il Tribunale, infine, non ritiene necessario, allo stato, procedere alla nomina di un commissario ad acta, non sussistendo valide ragioni per ritenere che l’amministrazione non adempia all’obbligo di provvedere.
Le spese di giudizio possono però essere compensate, in ragione sia della formulazione letterale dell’art. 2, comma 4, della L. n. 241/1990, sia del parziale accoglimento della domanda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Gianluca Morri, Presidente FF
Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore
Giovanni Ruiu, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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