Sanatoria 2012, l'espulsione come sanzione sostitutiva della condanna per ingresso illegale non è ostativa alla domanda
Consiglio di Stato, sezione terza, sent. n. 1730/2015 del 22/01/2015
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 115 volte dal 24/11/2015
Il provvedimento espressamente motiva il diniego con “la condanna riportata”,ritenuta ostativa al rilascio di permesso di soggiorno,affermando che “la procedura di regolarizzazione non può essere seguita perché comporterebbe la cessazione degli effetti di una sentenza penale che sarebbe possibile solo per effetto di un’espressa disposizione di legge che l’art. 5 del D.Lgs n.109/2012 non contiene".
L’art. 5, comma 13, del D.L.vo 109/2012 prevede che non possono essere ammessi alla procedura di regolarizzazione “i lavoratori stranieri: a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dell'articolo 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni ed integrazioni (espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo);(omissis)”.
Non contempla, pertanto, né la condanna ex art. 10 bis del citato D.Lgs n. 286/1998 per ingresso e soggiorno illegale, né l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva alla condanna ex art. 10 bis, secondo la previsione dell’art. 16, comma 1, del T.U. cit..
L’espulsione che non consente la “emersione” del lavoro irregolare è solo quella disposta in via amministrativa per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato; in tali casi, in mancanza di revoca di un precedente decreto di espulsione ancora efficace, in effetti, il diniego di rilascio del permesso di soggiorno ha carattere vincolato, ex art. 4 comma 6, art. 5, comma 5, ed art. 13, comma 13, t. u. n. 286 del 1998, secondo cui lo straniero espulso non può rientrare nel territorio italiano senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'Interno.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7739 del 2014, proposto da:
Ranjit Singh, rappresentato e difeso dall'avv. Daniele Accebbi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Federico Lais in Roma, Via Monteverdi, n. 20;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore e Questura di Vicenza, in persona del Questore pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono ope legis domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. VENETO - VENEZIA :SEZIONE III n. 00318/2014, resa tra le parti, concernente diniego rilascio permesso di soggiorno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e della Questura di Vicenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2015 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per l’appellante l’ avvocato Lais su delega di Accebbi e l’avvocato dello Stato Spina;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. - Con ricorso al TAR Veneto veniva impugnato il provvedimento Cat. A.12/Imm. n. 175/2013, emesso il 28/11/2013, a firma del Questore della Provincia di Vicenza, di rigetto dell'istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, “emersione del lavoro irregolare”, ai sensi dell’art. 5 del D.L.vo 16.7.2012, n. 109, a seguito di contratto di lavoro domestico stipulato in data 16.7.2013 con il datore di lavoro Saha Nidhir.
2. - Il diniego è motivato con la presenza di una condanna per immigrazione clandestina ex art. 10 bis del D.L.vo n. 286/98, pronunciata con sentenza n. 61/10 del Giudice di Pace del Tribunale di Valdagno, divenuta definitiva l’11.2.2011, contenente anche condanna all’ammenda di euro 5.000, che il giudice sostituiva con la misura dell’espulsione della durata di 5 anni, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del D.Lgs n. 286/1998, mai eseguita dal ricorrente stesso.
La sentenza appellata ha respinto il ricorso ritenendo che tale espulsione non eseguita sia effettivamente ostativa al rilascio del permesso di soggiorno, non rientrando nella fattispecie di cui all’art. 29 D.Lgs. 286/98 ed essendo contemplate nell’art. 13 D.Lgs. 286/98 sia le espulsioni disposte dall’Amministrazione sia quelle disposte dal Giudice.
3. - Con l’appello in esame, lo straniero denuncia l’erroneità della sentenza, ribadendo che l’espulsione ex art. 16 del D.L.vo n. 286/1998, quale sanzione sostitutiva disposta dal giudice a seguito di condanna ex art. 10 bis, non è inclusa tra le ipotesi di cui all’art. 5 della l. 109/2012.
4. - All’udienza del 22 gennaio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello è fondato.
2. - Il provvedimento espressamente motiva il diniego con “la condanna riportata”, ritenuta ostativa al rilascio di permesso di soggiorno, affermando che “la procedura di regolarizzazione non può essere seguita perché comporterebbe la cessazione degli effetti di una sentenza penale che sarebbe possibile solo per effetto di un’espressa disposizione di legge che l’art. 5 del D.Lgs n. 109/2012 non contiene”.
3. - Il diniego è illegittimo e non condivisibile la sentenza di primo grado.
L’art. 5, comma 13, del D.L.vo 109/2012 prevede che non possono essere ammessi alla procedura di regolarizzazione “i lavoratori stranieri: a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione ai sensi dell'articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dell'articolo 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni ed integrazioni (espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo);(omissis)”.
Non contempla, pertanto, né la condanna ex art. 10 bis del citato D.Lgs n. 286/1998 per ingresso e soggiorno illegale, né l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva alla condanna ex art. 10 bis, secondo la previsione dell’art. 16, comma 1, del T.U. cit..
L’espulsione che non consente la “emersione” del lavoro irregolare è solo quella disposta in via amministrativa per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato; in tali casi, in mancanza di revoca di un precedente decreto di espulsione ancora efficace, in effetti, il diniego di rilascio del permesso di soggiorno ha carattere vincolato, ex art. 4 comma 6, art. 5, comma 5, ed art. 13, comma 13, t. u. n. 286 del 1998, secondo cui lo straniero espulso non può rientrare nel territorio italiano senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'Interno.
Conseguentemente, non poteva l’Amministrazione negare il rilascio del richiesto titolo sul presupposto della condanna ex art. 10 bis D.Lvo 286/1998, che di per sé non comporta espulsione, né tantomeno sulla base della considerazione che ciò comporterebbe la “cessazione degli effetti di una sentenza penale”, essendo rimessa al legislatore la valutazione di quali, tra le condanne penali, siano cause ostative all’ammissione al beneficio dell’”emersione”, e non ricadendo la condanna ex art. 10 bis neppure tra le ipotesi di cui alle lett. c) e d) del citato art. 5, comma 13, D. Lgs n. 109/2012 (reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p.).
La circostanza, infine, che l’espulsione sia stata disposta dal giudice penale ex art. 16 D.L.vo 286/1998, in via sostitutiva rispetto all’ammenda, non modifica i termini della questione, non essendo tale ipotesi contemplata espressamente dal citato art. 5 D.Lgs 109/2012.
Secondo la giurisprudenza di questa Sezione, le ipotesi ostative all'emersione, previste dall'art. 5, comma 13, d.lg. 16 luglio 2012, n. 109, hanno tutte carattere eccezionale, perché concernono stranieri condannati per delitti di particolare gravità (contro la personalità dello Stato o per delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato o per motivi di sicurezza nazionale), e sono di stretta interpretazione, poiché impediscono la regolarizzazione della posizione lavorativa dello straniero a cagione di comportamenti illeciti ai quali la legge connette una presunzione di pericolosità dello straniero. Al di fuori di tali tassative ipotesi, non vi può essere spazio né per una interpretazione estensiva, né per un'applicazione analogica delle cause ostative alla regolarizzazione né la presunta incompletezza o imperfezione del testo normativo può essere interpretata in malam partem a danno dello straniero che aspiri a regolarizzare la propria posizione lavorativa e ad inserirsi stabilmente, senza alcun pericolo per la sicurezza nazionale e per l'ordine pubblico, nel tessuto socio-economico dell'ordinamento.
La conclusione non muta nemmeno di fronte all'espulsione disposta dal giudice quale misura alternativa alla pena, ai sensi dell'art. 16 comma 1, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286 perché tale espulsione, non è espressamente contemplata dal citato art. 5 (C.d.S., III, 02/12/2014, n. 5960).
4. - In conclusione, l’appello va accolto.
5. - Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della novità e peculiarità della questione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata annulla il provvedimento impugnato in primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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