Rinnovo permesso di soggiorno, la condanna per reati riguardanti stupefacenti non è automaticamente ostativa
TAR Lazio, sezione seconda quater, sent. n. 280/2015 del 27/11/2014
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 131 volte dal 24/11/2015
L'effetto automaticamente ostativo al rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, secondo quanto affermato dal Giudice amministrativo, può conoscere attenuazioni, in base alle norme vigenti, solo nel caso disciplinato dall'art. 5, comma 5, del t.u. n. 286 del 1998, come modificato dal decreto legislativo n. 5/2007.
In presenza di tali condizioni i reati che sono considerati normalmente ostativi costituiscono elementi che possono giustificare il diniego del permesso di soggiorno, ma solo all'esito di una valutazione discrezionale che deve metterli in comparazione con l'interesse all'unità del nucleo familiare e con gli altri elementi indicati dalla norma.
Inoltre, secondo un orientamento interpretativo ormai consolidato della III^ Sezione del Cons. St., i principi introdotti dal d.lgs. n. 5/2007 trovano applicazione "non solo in presenza di un nucleo familiare (ri)costituitosi grazie alla procedura di ricongiungimento, ma anche quando un nucleo familiare avente analoga composizione e analoghe caratteristiche si trovi già unito ab origine o comunque si sia formato senza necessità di un apposito procedimento" (Cons. St., III^, nn. 6140 e 5089 del 2012 citati).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2640 del 2011, proposto da: Anton Perleka, rappresentato e difeso dall'avv. Emanuela Iacovelli, con domicilio eletto in Roma, Via Sava, 40;
contro
Questura di Roma, in persona del l.r. p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato di Roma;
per l'annullamento
RIGETTO ISTANZA DI RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Questura di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2014 il dott. Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I)- Con la domanda di giustizia in epigrafe il ricorrente, cittadino albanese, ha impugnato il provvedimento, notificatogli il 18.9.2010, con cui il Questore di Roma ha respinto la sua istanza, presentata nel luglio 2008, di rinnovo del permesso di soggiorno, a causa del riscontro di una sentenza di condanna (divenuta irrevocabile il 5.6.2004) – per detenzione illecita di stupefacenti – alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione ed alla multa di €1400,00.
Avverso detta determinazione il ricorrente si è gravato, inizialmente (16.10.2010), in via amministrativa con ricorso gerarchico al Prefetto di Roma e successivamente, ed in ogni caso prima dell’adozione (tardiva e cioè in data 09.3.2011) del decreto prefettizio di reiezione del detto rimedio, ha interposto la corrente domanda di giustizia (sostanzialmente riproduttiva del ricorso gerarchico) lamentando che il provvedimento di rigetto della predetta istanza di rinnovo:
- è carente sotto l’aspetto motivazionale e, altresì, illegittimo in quanto non è stato tradotto in lingua nota all’interprete;
- non tiene conto che il ricorrente vive da anni nel territorio italiano dove svolge attività lavorativa (che viene documentata) e vive con sua connazionale, detentrice di permesso di soggiorno (come da allegata documentazione) e con la quale è coniugato.
L’intimata amministrazione, costituitasi in giudizio, ha prodotto nota di controdeduzioni in cui ha evidenziato il carattere vincolato della determinazione adottata: carattere giustificativo anche dell’omissione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art.10 bis della legge n.241 del 1990.
All’udienza del 27.11.2014 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
II)- Il ricorso in epigrafe è meritevole di accoglimento, ma, nei termini appresso descritti.
In linea di principio, va ricordato che l'art. 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (recante Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero ) stabilisce che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato...". Come ha chiarito la giurisprudenza, tale disciplina si giustifica in quanto l'interesse degli stranieri a soggiornare nel territorio dello Stato non può essere soddisfatto in maniera incondizionata: in materia vengono in rilievo interessi pubblici di primaria importanza che si oppongono a tale incondizionato riconoscimento; interessi connessi alle esigenze di garanzia di un ordinato flusso migratorio e di garanzia dell'ordine e della sicurezza pubblica (C.d.S., sez. VI, 21/04/2008 n. 415). Va peraltro osservato che già a livello costituzionale si è tenuto conto di tali rilevanti interessi pubblici, posto che, con riferimento al diritto alla libera circolazione, la situazione degli stranieri non è uguale a quella dei cittadini: per questi ultimi tale libertà trova un riconoscimento quasi incondizionato dall'art. 16 della Costituzione; per i primi vale invece l'art. 10, comma secondo, della Costituzione che demanda alle leggi la regolamentazione della loro condizione giuridica in conformità delle norme e dei trattati internazionali (cfr. Corte Cost. 16/05/2008 n. 148). Non può essere posta in dubbio, infatti, la discrezionalità del legislatore nel valutare le esigenze di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, in rapporto a fenomeni di vasta portata che, in un determinato momento storico, possono porre problematiche eccezionali: l'ampiezza del fenomeno migratorio, la registrata crescita di condotte devianti, con conseguente allarme sociale e l'oggettiva difficoltà di controllo capillare del territorio possono, dunque, porre su una base di ragionevolezza (nei limiti rilevanti sotto il profilo in esame), anche disposizioni molto rigide, che vedano preclusa la permanenza sul territorio nazionale di chi sia stato condannato per determinati reati, nella consapevolezza della impossibilità di compiere accertamenti approfonditi sulla pericolosità sociale dei singoli.
È dunque necessario, affinché lo straniero possa legittimante soggiornare nel territorio dello Stato che questi possegga i requisiti prescritti dalla vigente normativa.
Per quanto riguardo, poi, lo specifico caso di specie, va ricordato che ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 comma 3 e 5 comma 5, t.u. 25 luglio 1998 n. 286/1998, la condanna (anche non definitiva) del cittadino extracomunitario per un qualsivoglia reato in materia di stupefacenti , non importa se più o meno grave, comporta automaticamente il diniego ope legis del rilascio o del rinnovo di rilascio del permesso di soggiorno , che costituisce quindi per l'Autorità competente un atto vincolato (cons.St., nn. 6140 e 5089 del 2012, n.6038del 2011) Ciò in base al combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d. lgs. n. 286 del 1998, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 189 del 2002, da cui risulta che la condanna per uno dei reati ivi specificati, tra i quali quelli inerenti gli stupefacenti, comporta la non concedibilità del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno.
L'effetto automaticamente ostativo al rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, secondo quanto affermato dal Giudice amministrativo, può conoscere attenuazioni, in base alle norme vigenti, solo nel caso disciplinato dall'art. 5, comma 5, del t.u. n. 286 del 1998, come modificato dal decreto legislativo n. 5/2007. Infatti, "nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale".
In presenza di tali condizioni i reati che sono considerati normalmente ostativi costituiscono elementi che possono giustificare il diniego del permesso di soggiorno, ma solo all'esito di una valutazione discrezionale che deve metterli in comparazione con l'interesse all'unità del nucleo familiare e con gli altri elementi indicati dalla norma.
Inoltre, secondo un orientamento interpretativo ormai consolidato della III^ Sezione del Cons. St., i principi introdotti dal d.lgs. n. 5/2007 trovano applicazione "non solo in presenza di un nucleo familiare (ri)costituitosi grazie alla procedura di ricongiungimento, ma anche quando un nucleo familiare avente analoga composizione e analoghe caratteristiche si trovi già unito ab origine o comunque si sia formato senza necessità di un apposito procedimento" (Cons. St., III^, nn. 6140 e 5089 del 2012 citati).
Orbene l’applicazione dei suestesi postulati al ricorso in trattazione conduce ad un obbligato accoglimento dello stesso. E difatti, se pur vero che il ricorrente non ha formalmente rubricato la censura sopra ricordata evocando l’art.5 c5 citato, è anche vero che la doglianze prospettata col secondo mezzo di gravame è, di fatto, incentrata sull’omesso apprezzamento amministrativo di una residenza nel Paese da moltissimi anni e della presenza di un nucleo familiare.
Ora e certamente, usando le parole dell’art. 5 c.5 secondo periodo, l’Amministrazione “nell'adottare il provvedimento …..di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero” non ha tenuto “anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”, muovendo dall’erroneo assunto che la condanna riportata fosse, già di per sé, categoricamente interdittiva del rilascio del titolo in questione.
Quindi gli elementi di giudizio riportati nel secondo periodo del comma 5 – che avrebbero richiesto apposita ponderazione con gli altri dati concernenti la posizione dello straniero – sono stati disattesi.
A tal riguardo, e per ragioni di completezza della presente decisione, è opportuno chiarire che i detti, e disattesi, elementi di giudizio non vincolano l’Amministrazione al necessario rilascio del titolo. Come già precedentemente ricordato, le norme di cui si discute appaiono frutto di bilanciamento di interessi, fra una "politica dell'accoglienza" (che privilegi il lato personale ed umano, ovvero l'indubbia possibilità di recupero sociale di chi sia incorso in vicende anche penalmente rilevanti) ed una "politica del rigore", che punti ad inserire nel tessuto sociale solo i numerosissimi lavoratori stranieri che offrano le migliori garanzie di positivo apporto e migliore inserimento nella collettività, senza che l'una o l'altra di tali scelte trovino ostacolo nella Carta Costituzionale, non essendo imposta - anche nell'ottica della legislazione restrittiva, attualmente vigente - alcuna presunzione assoluta di pericolosità sociale del singolo, ma solo una esigenza di condotta irreprensibile per l'ingresso e la permanenza dello straniero sul territorio nazionale.
Dunque se da un lato, né la datata permanenza nel territorio italiano, né la presenza di un nucleo familiare più o meno nutrito, costituiscono, in linea di principio, circostanze che obbligano lo Stato a consentire la presenza nel suo territorio di stranieri dediti alla commissione di reati, d’altro canto, come già ricordato, la norma impone all’amministrazione di valutare se la pregressa durata della permanenza dello straniero nel territorio nazionale o esigenze familiari, possano in via eccezionale giustificare anche singole condotte devianti.
E’ tale giudizio, dunque, che, in sede di riesame della domanda dell’interessato (che costituisce la naturale conseguenza della declaratoria di annullamento dell’atto avversato), deve essere curato dall’autorità amministrativa competente.
III)- Conclusivamente, nei limiti di quanto sopra rassegnato, il ricorso deve essere accolto.
Le spese di lite, attesa la peculiarità della fattispecie, possono essere compensate tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento con lo stesso impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere, Estensore
Francesco Arzillo, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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