E’ accolto il ricorso avverso il provvedimento di rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, opposto a cittadino straniero condannato per il reato di cessione di stupefacenti. Vale la pena di osservare che la sentenza della Corte costituzionale n. 172/2012 ha prodotto un effetto caducante che dalla disciplina speciale della sanatoria è destinato a riversarsi sulla disciplina generale dell’ingresso e della permanenza nel territorio nazionale. Non sarebbe, infatti, ragionevole cancellare l’automatismo espulsivo dell’art. 1 ter, comma 13, lettera c), della legge n. 102/2009 (norma speciale sulla regolarizzazione) se poi il medesimo risultato negativo potesse prodursi attraverso la norma generale dell’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998. Pertanto, se i reati di cui all’art. 381 c.p.p. possono impedire la regolarizzazione solo in combinazione con l’accertamento di una minaccia concreta per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, nello stesso senso deve essere letto anche l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998. Nel caso specifico, la condanna del ricorrente rientra nelle ipotesi dell’art. 381 c.p.p., in quanto è stata riconosciuta l’attenuante della lieve entità ex art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990. Risulta quindi necessaria una valutazione di pericolosità in concreto. A tale riguardo, il fatto che il ricorrente, prima della commissione del reato avesse svolto attività lavorativa documentata, avesse poi seguito in carcere un progetto formativo con la cooperativa sociale nonché ottenuto dal tribunale di sorveglianza l’ammissione alla detenzione domiciliare, unitamente alla presenza in Italia di familiari che potrebbero costituire un punto di riferimento e alla prospettiva di un tirocinio formativo, rappresentano condizioni che consentono di qualificare come recessiva la pretesa espulsiva dello Stato rispetto all’interesse del ricorrente alla prosecuzione del soggiorno.