Revoca permesso di soggiorno CE per soggiornanti lungo periodo, illegittima se fa riferimento all'insufficienza dei redditi
T.A.R. Lombardia, sezione quarta, sent. n. 695/2015 del 19/12/2014
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 172 volte dal 03/12/2015
Dall’esame del disposto normativo succitato emerge, innanzitutto, che il permesso di soggiorno di lungo periodo è rilasciato in presenza di alcuni presupposti, fra i quali la sussistenza di un reddito sufficiente alla permanenza sul territorio nazionale secondo i parametri previsti dalla legge e la mancata pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.
In particolare, secondo il disposto della norma, la revoca della carta di soggiorno può essere posta in essere quando vengano a mancare le condizioni per il rilascio di cui al comma 4 dell’art. 9, che si riferisce agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
Fra i presupposti che costituiscono legittima causa di revoca del titolo di soggiorno di lungo periodo non è previsto, invece, il venir meno delle condizioni di cui al comma 1, e, cioè, la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3212 del 2013, proposto da:
Mohammad Yaqoob Nadeem, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Cristina Romano, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, corso XXII Marzo, 4;
contro
Ministero dell’Interno - Questura di Milano, rappresentato e difeso per legge dall’avvocatura distrettuale di Milano, domiciliato presso gli uffici della stessa in Milano via Freguglia n. 1;
per l’annullamento
- del provvedimento nr. 14332/2013 Imm. -ID 288568 del 10.10.2013, notificato al ricorrente in data 27.10.2013, con il quale il Questore della Provincia di Milano ha decretato: la revoca della carta di soggiorno P589588D-5 ed il rigetto dell’istanza di aggiornamento in permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 5 c.5 del testo unico;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali ed in particolare dell’intimazione ad abbandonare il territorio nazionale di cui allo stesso provvedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno Questura di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2014 il dott. Domenico Giordano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1) Il sig. Nadeem, cittadino pakistano, già titolare dal 1990 di permesso di soggiorno che gli ha anche consentito di esercitare nel 1994 la facoltà di ricongiungimento familiare con la moglie e i suoi tre figli, otteneva in data 31 maggio 2005 la carta di soggiorno a tempo indeterminato. Con istanza presentata in data 6 giugno 2013, chiedeva l’aggiornamento del titolo e il rilascio della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
Con decreto notificato in data 27 ottobre 2013, il Questore di Milano disponeva la revoca della carta di soggiorno e il rigetto dell’istanza di aggiornamento; nel provvedimento si evidenziava che l’interessato non aveva mai denunciato i redditi percepiti; che dall’anno fiscale 2007 risultava un’unica iscrizione per redditi percepiti come lavoratore agricolo nel corso del 2010; che nessuno dei componenti del nucleo familiare risultava percettore di redditi derivanti da fonte lecita sufficienti al proprio sostentamento; che dunque l’assenza di redditi, in mancanza di altre legittime fonti di ricchezza, lasciava desumere un comportamento illecito finalizzato ad occultare base imponibile.
Avverso tale decreto l’interessato proponeva il ricorso in epigrafe, con il quale si censura la violazione dell’art. 9 D.Lgs. n. 268/98 e la mancanza dei presupposti tassativi per l’esercizio del potere di revoca della carta di soggiorno, tra i quali non è contemplato il venir meno delle condizioni necessarie per il rilascio, indicate al primo comma della norma; l’esponente deduceva inoltre che il provvedimento aveva omesso di valutare l’inserimento sociale dello straniero e del suo nucleo familiare, la durata del soggiorno in Italia e le condizioni di salute che hanno reso necessario il trapianto del rene e che, negli ultimi anni, non hanno consentito all’istante di prestare attività lavorativa con regolarità.
Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio, depositando documentazione.
Con ordinanza n. 32 del 10 gennaio 2014 veniva respinta la domanda cautelare. La pronuncia veniva riformata in appello con ordinanza n. 1545 del 10 aprile 2014, sul rilievo che il provvedimento impugnato non aveva considerato il livello di integrazione del cittadino extracomunitario, nonché la sua situazione familiare e di salute.
In vista dell’udienza di discussione il ricorrente depositava memoria difensiva, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
2) Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato.
Ed invero, il provvedimento impugnato è incentrato unicamente sulla attuale mancanza di redditi provenienti da un rapporto di lavoro regolare.
Ai fini della decisione, è innanzitutto opportuno riportare alcuni stralci del disposto letterale dell’art. 9 del d.lgs. n. 286/1998, che così recita: “1. Lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell’articolo 29, comma 3, lettera b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio, può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, per sé e per i familiari di cui all’articolo 29, comma 1.
…
2. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato ed è rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta.
…
4. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall’articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall’articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, ovvero di eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall’articolo 381 del medesimo codice. Ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.
…
7. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 è revocato:
a) se è stato acquisito fraudolentemente;
b) in caso di espulsione, di cui al comma 9;
c) quando mancano o vengano a mancare le condizioni per il rilascio, di cui al comma 4;
d) in caso di assenza dal territorio dell’Unione per un periodo di dodici mesi consecutivi;
e) in caso di conferimento di permesso di soggiorno di lungo periodo da parte di altro Stato membro dell’Unione europea, previa comunicazione da parte di quest’ultimo, e comunque in caso di assenza dal territorio dello Stato per un periodo superiore a sei anni”.
Dall’esame del disposto normativo succitato emerge, innanzitutto, che il permesso di soggiorno di lungo periodo è rilasciato in presenza di alcuni presupposti, fra i quali la sussistenza di un reddito sufficiente alla permanenza sul territorio nazionale secondo i parametri previsti dalla legge e la mancata pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato; emerge, inoltre, che il titolo è rilasciato a tempo indeterminato, presupponendo uno status di straniero soggiornante a titolo permanente, e che, quindi, deve automaticamente essere aggiornato periodicamente; emerge, inoltre, la possibilità per l’amministrazione di impedire tale aggiornamento e di disporne la revoca, ma solo in presenza di presupposti sempre ben evidenziati dalla legge e indicati dal comma 7 dell’art. 9 succitato.
In particolare, secondo il disposto della norma, la revoca della carta di soggiorno può essere posta in essere quando vengano a mancare le condizioni per il rilascio di cui al comma 4 dell’art. 9, che si riferisce agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
Fra i presupposti che costituiscono legittima causa di revoca del titolo di soggiorno di lungo periodo non è previsto, invece, il venir meno delle condizioni di cui al comma 1, e, cioè, la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.
In presenza di tale elencazione, che il collegio ritiene tassativa in considerazione della forte protezione accordata dall’ordinamento allo straniero che soggiorna legittimamente in Italia da un lungo periodo, risulta illegittimo l’operato dell’amministrazione intimata, che ha disposto la revoca del titolo di soggiorno di lungo periodo e denegato l’aggiornamento del medesimo unicamente in relazione all’assenza di un rapporto di lavoro regolare e del conseguente mancato possesso di redditi sufficienti alla permanenza dello straniero sul territorio nazionale, invocando l’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, norma, invece, di carattere generale sulla quale deve prevalere quella speciale più volte citata.
Il Collegio non ritiene infatti che l’amministrazione possa intervenire in autotutela anche a fronte di un’insufficienza di redditi da parte del titolare del permesso CE, facendo applicazione dell’art. 21 quinquies cit., in quanto tale interpretazione contrasta con la normativa comunitaria, gerarchicamente sovraordinata, ed in particolare con l’art. 9 della Direttiva 2003/109/CE, fedelmente trasposto nello stesso art. 9 D.Lgs. n. 286/98, che ammette la revoca della carta di soggiorno solo nei casi ivi espressamente indicati.
Né a diverse conclusioni può pervenirsi valorizzando le affermazioni contenute nel provvedimento impugnato volte a giustificare l’esercizio del potere di revoca quale sanzione del comportamento illecito del ricorrente, per avere questi, con la mancata produzione di reddito e in totale assenza di altre legittime fonti di ricchezza, realizzato un’evidente evasione fiscale.
Osserva in proposito il Collegio che le predette considerazioni, peraltro fondate su mere supposizioni, non possono rilevare ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato, che sotto tale aspetto è viziato da eccesso di potere per sviamento, consistente infatti nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso (C.S. Sez. VI, 3.7.2014 n. 3355).
Se è infatti pur vero che il compito di accertare e sanzionare le fattispecie riconducibili alla “evasione fiscale” “è affidato alla pubblica amministrazione in genere”, è altrettanto indubbio che una presunta, e non accertata, violazione degli obblighi tributari non può legittimamente essere posta a fondamento di un provvedimento, come quello di specie, regolato da una normativa che attribuisce all’amministrazione procedente la regolazione e il controllo dell’immigrazione di cittadini stranieri sul territorio nazionale, incidendo sul relativo status, senza che pertanto la finalità di perseguire eventuali illeciti fiscali, rimessi alla competenza di altri settori dell’ordinamento, possa pregiudicarne l’applicazione.
Osserva ancora il Collegio che i predetti argomenti della Questura, sebbene espressione di condivisibili preoccupazioni in ordine alla tenuta dell’attuale sistema sociale, a fronte del fenomeno migratorio, sono tuttavia inidonei a configurare una legittima base normativa all’esercizio della revoca di un permesso di lungo periodo che invece, come detto, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi tassativamente previsti, tra i quali, allo stato, non rientra il mancato possesso di redditi adeguati, e la correlativa insufficiente contribuzione al sistema sociale.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando, così dispone:
accoglie il ricorso, come in epigrafe proposto, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato;
compensa per intero le spese tra le parti, salvo il rimborso del contributo unificato in favore del ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente, Estensore
Elena Quadri, Consigliere
Mauro Gatti, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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