Revoca del permesso di soggiorno per commissione reato inerente stupefacenti, di lieve entità: la condanna non è automaticamente ostativa
TAR Lombardia, sezione quarta, sent. n. 1053/2014 del 10/07/2014
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
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Il reato commesso dalla ricorrente è testualmente escluso da quelli per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, sicché la condanna per tale reato non integra un’ipotesi normativamente ostativa al rilascio del titolo di soggiorno, ma costituisce uno degli elementi da valutare in sede di accertamento della concreta pericolosità sociale dello straniero.
Nel caso di specie l’amministrazione ha omesso di formulare una prognosi concreta ed attuale di reiterazione criminale, ritenendo del tutto vincolato il potere di revoca, ma si tratta di un’impostazione non coerente con il quadro normativo vigente.
In definitiva, il collegio ritiene che, pur in presenza di una condanna per un reato inerente gli stupefacenti ma in costanza della concessione da parte del giudice penale della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/90 in considerazione della lieve entità del reato ascritto all’imputato, l’amministrazione fosse tenuta ad effettuare una valutazione in concreto circa la pericolosità sociale dello straniero.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2255 del 2013, proposto da:
Madiha Jaafar, rappresentata e difesa dall’avv. Marta Schepis, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Piazzale Susa, 11;
contro
Ministero dell’Interno - Questura di Varese, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Milano, via Freguglia, 1;
per l’annullamento
del provvedimento n. 00021/13 Imm. emesso in data 21.05.2013.dal Questore della Provincia di Milano, notificato alla ricorrente in data 17.07.2013, che dispone la revoca del permesso di soggiorno n. I01642704; nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno - Questura di Varese;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 luglio 2014 il dott. Domenico Giordano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1) Con il provvedimento impugnato l’amministrazione ha revocato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato già rilasciato alla ricorrente, in quanto la stessa è stata condannata, con sentenza del Tribunale di Milano in data 2 novembre 2011, alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, per il reato previsto dall’art. 73, quinto comma, del d.p.r. 1990, n. 309, perché deteneva, a fini di spaccio, sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso netto di gr. 488,4 distribuita in 5 pani.
A sostegno del proprio ricorso l’esponente ha dedotto la violazione degli artt. 4, terzo comma, e 5, quinto comma, del D.Lgs. n. 268/98 e dell’art. 6 l.n. 241/90, oltre che l’eccesso di potere per difetto di motivazione, assumendo l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione, che avrebbe erroneamente operato nella convinzione di esercitare attività non discrezionale, avendo considerato la condanna quale elemento automaticamente ostativo alla permanenza dell’istante nel territorio nazionale senza effettuare alcuna valutazione in merito all’effettiva pericolosità sociale della cittadina straniera, nonostante la prognosi favorevole compiuta dal giudice penale con la concessione della sospensione condizionale della pena e l’occasionalità della condanna e senza considerare che la ricorrente soggiorna regolarmente dal 2004 in Italia, dove vanta una fitta rete di legami familiari, è proprietaria dell’abitazione in cui risiede e, quantomeno fino al 2010, ha goduto di una posizione lavorativa stabile e continuata, per poi espletare lavori saltuari fino alla recente assunzione a tempo indeterminato, dal 24 giugno 2013, come lavoratrice domestica.
Si è costituita l’amministrazione intimata, con mera memoria di stile.
Con ordinanza n. 1173/2013 del 4 novembre 2013 la sezione, ravvisando la sussistenza del fumus boni iuris del gravame e del periculum in mora, ha disposto il riesame della posizione della ricorrente da parte dell’amministrazione.
All’udienza odierna il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2) Il collegio ritiene che il ricorso meriti accoglimento.
Il provvedimento impugnato richiama l’art. 5, comma 5, del t.u. n. 286/1998, che dispone il divieto del rilascio o del rinnovo e la revoca del permesso di soggiorno quale conseguenza automatica e tassativa delle condanne penali per taluni tipi di reato.
L’amministrazione ha, dunque, considerato elemento ostativo alla permanenza della cittadina straniera nel territorio nazionale la condanna riportata dalla ricorrente, in quanto rientrante fra “i reati inerenti agli stupefacenti”. L’amministrazione ha ritenuto che, a fronte di tale condanna, il provvedimento di revoca fosse del tutto vincolato, ai sensi dell’art. 4, comma 3 e dell’art. 5, comma 5 del d.l.vo n. 286/1998.
La ricorrente lamenta, con più censure che possono essere trattate congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, che l’amministrazione ha omesso qualunque valutazione in concreto della sua pericolosità sociale, limitandosi a rilevare l’esistenza di una condanna per violazione della disciplina in materia di stupefacenti, con conseguente difetto di istruttoria e di motivazione.
E’ decisiva la considerazione del reato commesso dalla straniera, che è stata condannata per detenzione e cessione illecita di stupefacenti secondo l’ipotesi attenuta prevista dall’art. 73, comma 5, del d.p.r. 1990, n. 309.
Si tratta di una fattispecie penale non compresa tra quelle per le quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ai sensi dell’art. 380 c.p.p., sicché in presenza di una condanna per tale reato trovano applicazione i principi di recente affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 172 del 6 luglio 2012. La Consulta ha, in particolare, statuito che: “È costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 cost., l’art. 1 ter comma 13 lett. c) d.l. 1 luglio 2009 n. 78, introdotto dalla legge di conversione n. 102 del 2009, nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 c.p.p. permette l’arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la p.a. provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Invero, nel più ampio contesto della regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, il legislatore ben può subordinare la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la permanenza sul territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti, ma la relativa scelta deve, al contempo, costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei quali è titolare anche lo straniero extracomunitario, perché la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi. Nella specie, la manifesta irragionevolezza della norma censurata discende, anzitutto, dalla circostanza che il diniego della regolarizzazione consegue automaticamente alla pronuncia di una sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all’art. 381 c.p.p., nonostante che gli stessi non siano necessariamente sintomatici della pericolosità di colui che li ha commessi”.
Con tale decisione la Corte ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-ter comma 13 del d.l. n. 78/2009, convertito con modificazioni in legge n. 102/2009, nella parte in cui prevede l’automatico rifiuto della regolarizzazione nei confronti degli stranieri destinatari di sentenze di condanna per alcuno dei reati contemplati dall’art. 381 c.p.p., ossia per i casi di arresto non obbligatorio ma facoltativo in flagranza di reato.
Seppure riferito espressamente alla disciplina dell’emersione dal lavoro irregolare, il principio di diritto posto dalla Corte risulta riferibile, in coerenza con il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, già fatto proprio anche dalla sezione in numerose occasioni, almeno alle ipotesi in cui la legge preveda preclusioni rigide al soggiorno in Italia in ragione di condanne per reati non compresi nell’art. 380 c.p.p., situazioni in cui l’amministrazione è tenuta, pertanto, ad effettuare una valutazione in concreto della pericolosità sociale dello straniero.
Il caso in esame rientra in tale quadro, perché il reato commesso dalla ricorrente è testualmente escluso da quelli per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, sicché la condanna per tale reato non integra un’ipotesi normativamente ostativa al rilascio del titolo di soggiorno, ma costituisce uno degli elementi da valutare in sede di accertamento della concreta pericolosità sociale dello straniero.
Nel caso di specie l’amministrazione ha omesso di formulare una prognosi concreta ed attuale di reiterazione criminale, ritenendo del tutto vincolato il potere di revoca, ma si tratta di un’impostazione non coerente con il quadro normativo vigente, letto alla luce dei principi enucleati con la citata decisione della Corte Costituzionale. In definitiva, il collegio ritiene che, pur in presenza di una condanna per un reato inerente gli stupefacenti ma in costanza della concessione da parte del giudice penale della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/90 in considerazione della lieve entità del reato ascritto all’imputato, l’amministrazione fosse tenuta ad effettuare una valutazione in concreto circa la pericolosità sociale dello straniero.
La revoca gravata quindi è illegittima, in quanto l’amministrazione ha omesso la valutazione in concreto della pericolosità della ricorrente, ritenendo ostativa l’unica condanna da lei riportata.
In definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Nondimeno, la peculiarità fattuale e giuridica della fattispecie sottesa al provvedimento impugnato consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, così dispone:
accoglie il ricorso, come in epigrafe proposto, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato; compensa le spese tra le parti, salvo il rimborso del contributo unificato in favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente, Estensore
Elena Quadri, Consigliere
Fabrizio Fornataro, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/08/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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