La ''direttiva rimpatri'' non ammette una normativa nazionale che, nel corso della procedura di rimpatrio, infligga al cittadino di un Paese terzo, che soggiorni irregolarmente, la pena della reclusione. Lo ha ribadito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza relativa alla controversia fra un cittadino armeno e lo Stato francese. In particolare, l'uomo era entrato in Francia nel 2008 e nel 2009 una decisione del prefetto lo aveva obbligato a lasciare il territorio francese, corredata di un termine di un mese per la partenza volontaria. In seguito al suo rifiuto, nel giugno 2011 era stato colpito da una nuova decisione di rimpatrio, sotto forma di decreto di riaccompagnamento coattivo alla frontiera, senza un termine per la partenza volontaria. Le autorita' francesi, inoltre, avevano disposto il fermo di polizia e, successivamente, il trattenimento per soggiorno irregolare. La Corte europea ha ricordato che in assenza di partenza volontaria, la direttiva 'rimpatri' obbliga gli Stati membri a procedere all'allontanamento forzato applicando misure che siano il meno possibile coercitive. Solo quando l'allontanamento rischia di essere compromesso, lo Stato membro puo' ricorrere al trattenimento dell'interessato, per una durata che non puo' mai superare i 18 mesi.