Domanda cittadinanza - rifiuto all'appartenente a movimenti estremistici
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, Decisione del 4 dicembre 2009, n. 7637
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 877 volte dal 22/08/2011
Nel caso in esame lo straniero, già rifugiato politico, proponeva ricorso al TAR Lombardia avverso il decreto di diniego della cittadinanza italiana. Il Collegio lombardo accoglieva la domanda, rilevando che dall'istruttoria esperita dal Ministero , emergevano elementi di valutazioni attinenti ad una supposta problematica di sicurezza pubblica, che tuttavia non veniva sufficientemente motivata, basandosi il tutto sulla mera adesione dello straniero ad un movimento politico che si ispirava ai principi del fondamentalismo islamico. Massima: l’Amministrazione gode di un’ampia sfera di discrezionalità circa la possibilità di concedere o meno la cittadinanza, con valutazione che si estende non solo alla capacità dello straniero di ottimale inserimento nella comunità nazionale nei profili dell’apporto lavorativo e dell’integrazione economica e sociale, ma anche in ordine all’assenza di “vulnus” per le condizioni di sicurezza dello Stato. Sotto tale ultimo aspetto ben possono assumere rilievo specifiche frequentazioni dello straniero e l’appartenenza a movimenti che, per posizioni estremistiche, possano incidere sulle condizioni di ordine e di sicurezza pubblica.
CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE VI
Decisione 23 giugno - 4 dicembre 2009, n. 7637
FATTO E DIRITTO
1) Con ricorso e successivi motivi aggiunti proposti avanti al T.A.R. per la Lombardia il sig. R. A., proveniente dalla omissis, rifugiato politico ed in possesso di permesso di soggiorno, proponeva impugnativa per dedotti motivi di legittimità avverso il decreto del Ministro dell’interno in data 20.02.2003 e gli atti ad esso preordinati e consequenziali, di reiezione della domanda rivolta alla concessione, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992, della cittadinanza italiana per naturalizzazione, essendo coniugato con cittadina italiana ed avendo dalla stessa avuto quattro figli.
La determinazione reiettiva era, in particolare, motivata sul rilievo che “dalle risultanze dell’istruttoria esperita sono emersi elementi di valutazione tali da far ritenere, nel caso dell’interessato, la sussistenza di motivi inerenti alla sicurezza pubblica che, a termini dell’art. 6, comma 1, lett. c) della legge suindicata, precludono l’acquisto della cittadinanza italiana”.
Il T.A.R., in particolare, rilevava l’insufficienza dell’impianto motivazione del predetto provvedimento che, nel ritenere il R. persona pericolosa per la sicurezza della Repubblica, non indica specifici fatti e ragioni di sospetto, dando rilievo all’adesione ad un movimento politico - circostanza per la quale peraltro gli era stato riconosciuto lo “status” di rifugiato politico - ispirato a principi del fondamentalismo islamico, nonché al mantenimento di contatti con connazionali noti per la loro posizione oltranzista.
Avverso detta decisione ha proposto appello il Ministero dell’interno ed ha contrastato con articolati motivi le conclusioni del T.A.R.
Il sig. R. A. non si è costituito in giudizio.
All’udienza del 23 giugno 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2) L’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 91/1992 impedisce l’acquisto della cittadinanza da parte dello straniero coniuge di cittadino italiano ove sussistano “nel caso specifico comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”.
L’art. 8 della legge n. 91/1992 ribadisce che, nel caso in cui entrino in gioco ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica, l’istanza di concessione della cittadinanza, va respinta con “decreto motivato”, previo parere del Consiglio di Stato. L’istanza respinta può essere riproposta dopo 5 anni dall’adozione del provvedimento negativo.
Con riguardo alla vicenda di cui è causa sul piano formale il d.m. 20.02.2003, mentre indica, come prescritto dall’art. 3 della legge n. 241/1990, le “ragioni giuridiche” del provvedere con richiamo all’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 91/1992, non è corredato da una motivazione autonoma quanto ai presupposti di fatto che hanno indotto l’Amministrazione al diniego di rilascio del provvedimento concessorio della cittadinanza.
Le circostanze che hanno indotto alla determinazione negativa sono indicate in informativa dell’autorità di P.S., con classifica “riservato”, che elenca fatti e comportamenti inerenti alla partecipazione del R. a movimenti politici, nonché a rapporti dello stesso con centri islamici ritenuti, considerati potenzialmente offensivi delle condizioni di sicurezza della Repubblica.
In presenza della classifica di riservatezza sugli atti istruttori preordinati all’adozione del decreto recante il diniego di concessione della cittadinanza correttamente l’Amministrazione ha omesso di indicarne il contenuto, onde non estendere la loro conoscenza a soggetti privi della prescritta abilitazione rilasciata dall’Autorità preposta alla tutela del segreto di Stato. Nel rispetto del principio del contraddittorio e, quindi, di parità delle parti di fronte al giudice (parità delle armi), la conoscenza del documento è stata consentita in corso di giudizio al difensore dello straniero che ha articolato motivi aggiunti di ricorso.
Come già ritenuto in casi analoghi dalla giurisprudenza di questo Consiglio, in presenza di informative con classifica di “riservato” il richiamo “ob relationem” al contenuto delle stesse può soddisfare le condizioni di adeguatezza della motivazione, mentre l’esercizio dei diritti di difesa e la garanzia di un processo equo restano soddisfatti dall’ostensione in giudizio delle informative stesse con le cautele e garanzie previste per la tutela dei documenti classificati (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 1173 del 02.03.2009).
Correttamente, pertanto, il Ministero istante oppone che nessun rilievo può essere articolato sul piano formale in ordine all’adeguatezza e sufficienza della motivazione esternata nel decreto del 20.02.2003.
2.1) Quanto al merito della determinazione negativa è principio consolidato in giurisprudenza che l’Amministrazione gode di un’ampia sfera di discrezionalità circa la possibilità di concedere o meno la cittadinanza, con valutazione che si estende non solo alla capacità dello straniero di ottimale inserimento nella comunità nazionale nei profili dell’apporto lavorativo e dell’integrazione economica e sociale, ma anche in ordine all’assenza di “vulnus” per le condizioni di sicurezza dello Stato.
Sotto tale ultimo aspetto ben possono assumere rilievo specifiche frequentazioni dello straniero e l’appartenenza a movimenti che, per posizioni estremistiche, possano incidere sulle condizioni di ordine e di sicurezza pubblica (Cons. St., Sez. VI, n. 1173/2009 cit.; n. 5103 del 03.10.2007).
Nel caso di specie il giudizio valutativo che ha condotto alla reiezione dell’istanza, diversamente da quanto argomentato dal T.A.R., non ha assunto a riferimento la fede religiosa e le tradizioni culturali dello straniero, ma i rapporti dello stesso con organizzazioni politiche che, anche se ispirate ad un determinato credo religioso, per modalità di azione e principi ispiratori si configurano, nell’attuale contingenza politica ed internazionale, potenzialmente offensive della sicurezza della Repubblica.
Si tratta di valutazione condotta nei limiti stabiliti dall’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 91/1992. Essa, in relazione agli elementi acquisiti, non si configura viziata sotto i profili della carenza di istruttoria e della motivazione e non si discosta dai parametri di ragionevolezza, ove si consideri che, in relazione al provvedimento di concessione della cittadinanza che determina l’acquisizione in via definitiva di detto “status”, l’accertamento dell’assenza di pericolosità sociale si caratterizza per maggiore intensità e rigore. Si tratta, cioè, di una valutazione, che, per le considerazioni svolte, non può definirsi inattendibile.
L’appello va, quindi, accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.
In relazione agli specifici profili della controversia le spese di entrambi i gradi del giudizio vanno compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione VI, accoglie l’appello in epigrafe e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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