Diniego permesso di soggiorno per attesa occupazione, va prorogato fino alla guarigione dello straniero, ammalatosi mentre lavorava
Consiglio di Stato, sezione terza, sent. n. 3879/2015 del 06/08/2015
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 124 volte dal 07/10/2016
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è da tempo orientata a negare la legittimità di ogni provvedimento che ometta di considerare gli interessi dell’unità familiare ove occorra. Tali norme sono rilevanti anche ai fini del rilascio del permesso di attesa occupazione in base all’articolo 22 del citato Testo Unico, che prevede solo un limite minimo e non uno massimo.
In base a queste norme una situazione di forza maggiore che impedisce allo straniero legalmente presente nel nostro paese di lavorare per motivi di salute non può non dar luogo al permesso in attesa di occupazione fino alla guarigione.
[...] sulla base di una analisi sistematica della normativa vigente - ed in particolare delle disposizioni tra loro collegate dell'art. 5, comma 5, ultimo periodo, e dell'art. 29, comma 3, a tutela del ricongiungimento familiare e, a monte di esse, della direttiva comunitaria n. 86/2003/CE in tema di tutela della unità familiare - in tutti i casi in cui lo straniero fa parte di nuclei familiari regolarmente residenti, conviventi e legati da rapporti di attiva solidarietà, nell’ambito dei quali sussistono fonti legittime e sufficienti di sostentamento per tutti gli appartenenti, la mancanza di lavoro o di reddito individuale non può determinare il diniego del permesso di soggiorno.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4302 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avv. Mario Antonio Angelelli, Marco Paggi, con domicilio eletto presso Mario Angelelli in Roma, viale Carso n. 23;
contro
Ministero dell'Interno, Questura di Vicenza rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. VENETO - VENEZIA :SEZIONE III n. 00084/2011, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo permesso di soggiorno;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 maggio 2015 il Cons. Alessandro Palanza e uditi per le parti l’avvocato Mario Antonio Angelelli e l'avvocato dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - La signora Belinda Acheapong ha impugnato la sentenza n. 00084/2011 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto che ha respinto il suo ricorso per l'annullamento del provvedimento -OMISSIS-. n. 232, emesso dalla Questura di Vicenza il 9/9/2010, notificato alla ricorrente il 18/10/2010, mediante il quale è stato disposto il diniego dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.
2. - Il Tar ha respinto i tre motivi di ricorso rilevando, quanto al primo, che l’Amministrazione ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione perché a ciò vincolata dalla sua improrogabile scadenza (v. art. 22, c. 11; D.lgs 286/98 e circolare n. 2826 del 13.5.09). La condizione di salute della ricorrente è stata espressamente considerata nel provvedimento impugnato, nel quale, direttamente e per relationem, si tiene doverosamente conto anche del suo ricongiungimento familiare. Il provvedimento impugnato segnala espressamente la possibilità di un permesso di soggiorno per motivi di salute, possibilità non colta dalla ricorrente in sede istruttoria. Il Tar non condivide infine la tesi della doverosità di un permesso di soggiorno per il cittadino extracomunitario maggiorenne, al di là del ricorrere di una delle forme tipiche previste dalla legge – attuativa delle convenzioni internazionali – e solo perché, di fatto, può essere sostenuto dalla famiglia nella quale convive.
3. – L’appellante sostiene che né il provvedimento impugnato né la sentenza del TAR hanno preso seriamente in considerazione lo stato di salute della straniera interessata, dal momento che il prospettato permesso per cure mediche si riferisce alla ben diversa casistica di chi intende fare ingresso nel territorio dello Stato per sottoporsi a cure mediche con l’obbligo di dimostrare preventivamente la disponbilità dei mezzi necessari al loro pagamento. Non è stata allo stesso modo minimamente considerata la situazione di convivenza dell’interessata con il proprio nucleo familiare, dal momento che né il provvedimento né la sentenza traggono conseguenze dal pur riconosciuto ingresso per ricongiungimento familiare, né dalla circostanza che gli altri componenti del nucleo familiare convivente (padre, madre e unico fratello) vivono in Italia sulla base di una carta di soggiorno di lungo periodo e dispongono di idoneo alloggio e di risorse più che sufficienti a farsi carico della congiunta. Devono pertanto applicarsi nel senso più estensivo le disposizioni aggiunte all’art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 296/1998 a tutela dell’unità familiare a seguito dell’art. 6 della direttiva 86/2003/CE, che prevede espressamente il caso della sopravvenuta insorgenza di malattie e infermità che non possono giustificare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno. La giurisprudenza del Consiglio di Stato è da tempo orientata a negare la legittimità di ogni provvedimento che ometta di considerare gli interessi dell’unità familiare ove occorra. Tali norme sono rilevanti anche ai fini del rilascio del permesso di attesa occupazione in base all’articolo 22 del citato Testo Unico, che prevede solo un limite minimo e non uno massimo proprio in relazione alla esigenza di rispettare altre esigenze riconosciute dallo stesso Testo Unico, dalla restante legislazione nazionale e dalle convenzioni internazionali, tra le quali spiccano quelle a tutela del lavoratore straniero colpito da malattia e infortunio. In base a queste norme una situazione di forza maggiore che impedisce allo straniero legalmente presente nel nostro paese di lavorare per motivi di salute non può non dar luogo al permesso in attesa di occupazione fino alla guarigione.
4. - Le Amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio depositando apposito controricorso a pieno sostegno della sentenza impugnata che loro giudizio non è minimamente intaccata dai motivi di appello, essendo il provvedimento impugnato adeguatamente motivato.
5. – Questa Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare per la sospensione della sentenza impugnata con la ordinanza n. 2629 del 20 maggio 2011, sottolineando che le disposizioni dell’art. 22, comma 11, del testo unico in materia - che prevedono solo un limite minimo di durata del permesso per attesa di occupazione - devono essere interpretate in connessione con quelle dell’art. 5, comma 5, secondo periodo, che prescrivono di tener conto della natura e della effettività dei vincoli familiari per chi ha esercitato il ricongiungimento familiare e per il familiare ricongiunto.
6. – La causa è stata chiamata ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 20 maggio 2015.
7. – L’appello è fondato.
7.1. – Ai fini dell’accoglimento dell’appello sono determinanti i principi a tutela dell’unità familiare delle famiglie di lavoratori stranieri legalmente presenti nel nostro paese, che sono stati introdotti nella legislazione nazionale ed in particolare nel testo unico anche seguito delle direttive europee in materia ed ulteriormente rafforzati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale.
7.2. – Si richiama in particolare la sentenza della Corte costituzionale 18 luglio 2013, n. 202, la quale, prevedendo una vasta tutela per i nuclei familiari comunque legalmente residenti in Italia anche in caso di condanne ostative, a maggior ragione legittima conformi interpretazioni estensive nel caso in cui manchino requisiti di stabilità di lavoro o di reddito, nel senso della necessità di tener conto della effettività dei legami familiari e del complessivo reddito familiare come fattore di legittimo sostentamento.
7.3. – Sulla scia di questa sentenza la giurisprudenza amministrativa, già da tempo orientata nella stessa direzione, ha sviluppato coerenti e solidi principi interpretativi. Si richiamano anche ai fini di all’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a., le seguenti sentenze di questa Sezione: Consiglio di Stato - III Sezione - 10 marzo 2015 n. 1223, 14 luglio 2014 n. 3680 , 29 aprile 2014 n. 2207; 29 gennaio 2014, n. 457.
7.4. - In particolare, la sentenza più recente tra quelle sopra richiamate, n. 1223/2015, con specifico riferimento alla esigenza di una interpretazione sistematica delle disposizioni del Testo Unico in materia di immigrazione, afferma che: “La norma di cui all'art. 5, comma 5, ultimo periodo, si collega sistematicamente con le disposizioni dell'art. 29 dello stesso Testo Unico in tema di ricongiungimento ed in particolare, ai fini di cui alla presente causa, con quelle di cui al comma 3, lett. b, ultimo periodo, le quali prevedono che, ai fini del computo del reddito necessario per il ricongiungimento familiare, "si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente". Questo sistema normativo in tema di ricongiungimento familiare degli stranieri deve collegarsi sistematicamente alla normativa vigente in tema di obblighi alimentari tra coniugi e tra genitori e figli, in particolare se conviventi. In base a tali disposizioni sistematicamente interpretate, in tutti i casi in cui i nuclei familiari risultano conviventi e legati da rapporti di attiva solidarietà, dove vi sono fonti legittime di sostentamento nell'ambito familiare, l'accertamento negativo sulla carenza di reddito individuale non può determinare il diniego del permesso di soggiorno.”
7.5. – Di conseguenza, sulla base di una analisi sistematica della normativa vigente - ed in particolare delle disposizioni tra loro collegate dell'art. 5, comma 5, ultimo periodo, e dell'art. 29, comma 3, a tutela del ricongiungimento familiare e, a monte di esse, della direttiva comunitaria n. 86/2003/CE in tema di tutela della unità familiare - in tutti i casi in cui lo straniero fa parte di nuclei familiari regolarmente residenti, conviventi e legati da rapporti di attiva solidarietà, nell’ambito dei quali sussistono fonti legittime e sufficienti di sostentamento per tutti gli appartenenti, la mancanza di lavoro o di reddito individuale non può determinare il diniego del permesso di soggiorno.
7.6. - In base ai principi dianzi esposti consegue automaticamente che non può essere allontanata ed anzi ha ragione di essere autorizzata – anche sulla base di molteplici titoli di legittimazione - alla residenza nel nostro paese la straniera appellante la quale:
- è entrata in Italia nel 2001 a seguito di congiungimento familiare ancora minorenne;
- in Italia ha completato i suoi studi fino al diploma, cominciando anche a lavorare regolarmente, esercitando la professione per la quale si era diplomata;
- ha dovuto interrompere il rapporto di lavoro solo per ragioni di salute, che persistono;
- vive in idoneo alloggio con la famiglia di origine i cui componenti conviventi sono tutti titolari di carta di soggiorno CE di lungo periodo;
- viene da essi solidarmente sostenuta sul piano economico a prescindere dalla sussistenza degli obblighi alimentari ai sensi del codice civile.
7.7. - In base alle indicate circostanze, non contestate in termini di fatto nel corso del giudizio, il provvedimento impugnato in primo grado deve considerarsi illegittimo, in quanto motivato da una interpretazione restrittiva dell’art. 22, comma 11, del Testo Unico dell’immigrazione senza tener conto degli ampi margini di flessibilità che questa norma presenta in una situazione nella quale sono certe le fonti di sostentamento, di alloggio e di reddito che dalla situazione familiare automaticamente deriva all'interessato. Inoltre la motivazione del provvedimento è ancora più ampiamente carente sotto il profilo di una effettiva e compiuta valutazione della situazione familiare dell'interessato, quale risulta dall’originario ricongiungimento familiare, rafforzato dalla persistente convivenza, come espressamente e tassativamente prescritto dall'art. 5, comma 5, secondo periodo del Testo Unico sull'immigrazione. Infine non sono considerati - in base alla più recente giurisprudenza - gli effetti delle disposizioni da ultimo citate, in combinato disposto con le disposizioni dell'art. 29 dello stesso Testo Unico in tema di ricongiungimento familiare ed in particolare, ai fini di cui alla presente causa, con quelle di cui al comma 3, lett. b, ultimo periodo, le quali prevedono che, ai fini del computo del reddito necessario per il ricongiungimento familiare, "si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente".
7.8. - Di conseguenza la competente autorità amministrativa dovrà rivalutare la posizione dell'interessato alla luce delle indicazioni della presente sentenza sulla base della normativa in vigore e degli effetti della richiamata giurisprudenza costituzionale e amministrativa. Tali indicazioni comportano la esigenza di attribuire maggiore rilevanza alla esigenza di tutela dell'unità familiare e in questa ottica alla persistenza del reddito familiare, nonché alla possibilità di concedere il permesso di soggiorno per altri motivi previa motivata istanza, considerando anche le situazioni sopravvenute alla luce delle disposizioni del già richiamato articolo 5, comma 5, del Testo Unico citato, oltre alla possibilità per la interessata di richiedere la estensione della carta di soggiorno CE di lungo periodo, di cui già godono i familiari ai sensi dell’articolo 9 del medesimo Testo Unico.
8. – In base alle considerazioni che precedono l’appello deve essere accolto al pari del ricorso in primo grado nei termini di cui in motivazione, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
9. - In relazione all'alterno andamento del giudizio e al suo esito dovuto anche alla più recente giurisprudenza costituzionale e amministrativa, le spese devono essere compensate tra le parti per entrambi i gradi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
accoglie l’appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate tra le parti per entrambi i gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/08/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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