Emersione colf/badanti – non è ostativa all'accoglimento della domanda una condanna patteggiata nel 1991 (ante riforma Bossi Fini del 2002)
Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza del 27 gennaio 2012, n. 366
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 710 volte dal 26/03/2012
E’ illegittimo il provvedimento di reiezione della domanda di emersione dal lavoro irregolare, fondato sulla presenza di una condanna penale, patteggiata nel 1991. Al caso di specie si rende applicabile l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’equiparazione tra le sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale e le altre sentenze di condanna, sancito dalla riforma del 2002, non può operare per il passato. Ciò in quanto, in nome del principio di affidamento, l’imputato deve essere consapevole della pena che accetta e delle conseguenze che tale scelta processuale comporterà, anche sul piano amministrativo; presupposti non rinvenibili nella vicenda in esame, trattandosi di un patteggiamento concordato nel lontano 1991, più di dieci anni prima delle modifiche apportate dalla legge n. 189/2002. Il rispetto del principio dell’affidamento, congiuntamente al presupposto su cui si fonda l’istituto del patteggiamento, impongono all’Amministrazione una valutazione in concreto della pericolosità sociale del richiedente, ponendo a raffronto il precedente penale in questione con le condotte successive e con le condizioni personali e familiari, in sintesi con il grado di effettivo e pacifico radicamento sul territorio italiano dell’odierno appellante.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
[...]
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO, sezione III n. 1221/2007, resa tra le parti, concernente il diniego sull’istanza di legalizzazione del lavoro irregolare.
[...]
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Signor Xxx presentò, nell’interesse del cittadino di nazionalità marocchina Yyy istanza di emersione dal lavoro irregolare ai sensi del d.l. 195/2002.
A distanza di anni, l’istanza è stata respinta in ragione del precedente penale, per furto aggravato commesso nel 1991, risultante a carico di Yyy.
2. Proposto ricorso avverso tale diniego, per violazione dell’art. 7 della l. 241/1990 e dell’art. 1 co. 8 lett. c) del d.l. 195/2002, il Tar ha respinto le censure dedotte sul rilievo che il provvedimento impugnato ha natura comunque vincolata e che qualunque sentenza penale di condanna, anche attraverso il c.d. Patteggiamento, costituisce causa ostativa alla regolarizzazione, ove non sia sopravvenuta una pronuncia di riabilitazione o di estinzione del reato.
3. Con il presente appello, censurando la sentenza di primo grado, si contesta, per un verso, l’assunto secondo il quale ai fini dell’estinzione del reato oggetto di sentenza di patteggiamento servirebbe una formale pronuncia del giudice penale ex art. 676 c.p.p., potendovi supplire il giudice amministrativo con un accertamento in via incidentale; e, per altro verso, l’insufficienza della sentenza di patteggiamento a rappresentare una legittima causa ostativa alla regolarizzazione, specie alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 78/2005, trattandosi di una pronuncia che non accerta né la colpevolezza né la pericolosità sociale della persona nei cui confronti la pena è applicata.
Si è costituito nel presente giudizio il Ministero dell’Interno, con articolata memoria difensiva.
Nella camera di consiglio del 28.3.2008 è stata accolta l’istanza cautelare sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata.
4. Osserva il Collegio come il primo motivo di appello, con il quale si sostiene che non occorrerebbe una pronuncia del giudice penale, ai fini dell’estinzione del reato a suo tempo oggetto di patteggiamento, sia infondato.
4.1. La tesi di parte appellante è infatti contraddetta da un consolidato orientamento giurisprudenziale - dal quale il Collegio non vede ragione di discostarsi - per il quale, al contrario, l’estinzione del reato che ha costituito oggetto di sentenza di patteggiamento, in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445, 2º comma, c.p.p. (cioè la mancata commissione nel termine previsto - cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione - di un delitto ovvero di una contravvenzione della stessa indole) non opera ipso iure ma richiede pur sempre una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 676 c.p.p. (v. Cons. St., V., n. 5674/2011 e Cass. pen., IV, n. 11560/2002). Pronuncia che nel caso di specie, nonostante il tempo trascorso dalla condanna, non consta essere stata neppure richiesta.
5. Quanto al secondo motivo di appello, se è vero che la sentenza di “patteggiamento” è tendenzialmente equiparata ad una sentenza di condanna (cfr. art. 445, co. 1 bis, c.p.p.), è anche vero che tale affermazione rappresenta l’esito, prevalentemente accolto, di un dibattito protrattosi per anni, a fronte di posizioni dottrinali iniziali che, al contrario, enfatizzavano la specialità di una simile pronuncia, resa come noto attraverso un rito speciale premiale, allo stato degli atti e fuori dal dibattimento. Gli approdi finali sono stati in buona parte influenzati proprio dalle scelte del legislatore che, in alcuni ambiti particolarmente rilevanti (si pensi, ad esempio, al giudizio disciplinare per i dipendenti pubblici, alle cause ostative alla partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, alle cause ostative al rilascio ed al rinnovo del permesso di soggiorno in materia dell’immigrazione) ha equiparato, agli effetti amministrativi, la sentenza prevista dall’art. 444 c.p.p. alle normali sentenze di condanna (v. Corte cost., n. 336/2009). Tutto questo è peraltro avvenuto in epoca successiva al 1991 ed è stato il portato dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale.
5.1. Si comprende allora come, anche al caso di specie, sia applicabile quella giurisprudenza amministrativa della Sesta Sezione del Consiglio di Stato secondo cui l’equiparazione tra le sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e le altre sentenze di condanna, sancito in questa materia con la riforma del 2002, non può operare per il passato (v. Cons. St., VI, n. 1340/2009). Ciò in quanto, in nome del principio dell’affidamento, l’imputato deve essere consapevole della pena che accetta e delle conseguenze che tale scelta processuale comporterà, anche sul piano amministrativo; presupposti non rinvenibili nella vicenda in esame, trattandosi di un patteggiamento concordato nel lontano 1991, più di dieci anni prima delle modifiche apportate all’art. 4 del d,lgs. 286/1998 dalla l. 189/2002.
5.2. Reputa quindi il Collegio che il rispetto del principio dell’affidamento, ed il presupposto su cui si fonda l’istituto del patteggiamento, imponesse nel caso di specie una valutazione in concreto della pericolosità sociale del richiedente, ponendo a raffronto il precedente penale in questione con le condotte successive e con le condizioni personali e familiari, in sintesi con il grado di effettivo e pacifico radicamento sul territorio italiano dell’odierno appellante.
Nella necessaria rinnovazione dell’esame della pratica, inoltre, si dovrà tenere conto anche della lunghezza del periodo di tempo (circa dieci anni) trascorso fra il precedente penale (l’unico, a quanto pare) ascritto all’interessato e la domanda di regolarizzazione. 6. In conclusione, per le ragioni da ultimo evidenziate, l’appello è fondato, conseguendone la riforma della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado.
[...]
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado annullando l’atto con esso impugnato.
[...]
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2012 [...]
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