Non si paga l’IRAP se si ha un praticante nello studio professionale
Cassazione civile , sez. VI-T, sentenza 23.07.2013 n° 17920
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 197 volte dal 27/09/2013
Dopo la soccombenza nei due gradi tributari di merito, la tesi sostenuta da un avvocato toscano trova accoglimento presso gli ermellini di piazza Cavour: la sussistenza delle spese di gestione di uno studio legale e dei compensi elargiti ai praticanti non rappresentano indicatori di “autonoma organizzazione” tale da sottoporre il reddito del professionista all’IRAP, imposta di cui il ricorrente aveva chiesto il rimborso per gli anni 2002 – 2006.
Nella relazione al collegio, il giudice incaricato ha condiviso quanto asserito dall’avvocato, rilevando che i giudici dei due gradi merito, ai fini dell’applicazione dell’imposta regionale, hanno ritenuto sufficiente la presenza delle spese destinate al funzionamento dello studio, assieme ai corrispettivi corrisposti ai praticanti, senza tuttavia approfondire la fattispecie, in modo da verificare se i praticanti svolgessero effettivamente “le funzioni di personale dipendente, in misura tale da determinare un’autonoma organizzazione”. Condividendo il proprio precedente indirizzo, nonchè l’impostazione prospettata dal relatore, la VI Sezione ha accolto il ricorso, rinviando la causa ad una diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale Toscana.
In particolare, la Cassazione si era già pronunciata sul punto con la sentenza n. 8834 del 14 aprile 2009, precisando che rappresenta un principio consolidato, che consente il rigetto del ricorso dell’Amministrazione, quello in base al quale un collaboratore, che non sia già abilitato all’esercizio della professione forense, non può rappresentare un elemento di quell’autonomia organizzativa rilevante sotto il profilo fiscale, poiché l’apprendista non partecipa alla formazione del reddito in modo autonomo, ma sta compiendo il suo iter formativo. Sul giudice di merito, di conseguenza, grava l’onere di approfondire l’esame, e motivare, in merito alla natura e alla quantità delle funzioni svolte dai praticanti, non rilevando la disponibilità di locali adeguati per l’esercizio della professione e la presenza delle spese di studio.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI - T CIVILE
Sentenza 12 giugno – 23 luglio 2013, n. 17920
(Presidente/Relatore Cicala)
Svolgimento del processo e motivi della decisione
L'Avv. A.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana 18/25/2011 dell'11 febbraio 2011 che rigettava l'appello del contribuente affermando la non spettanza del rimborso IRAP relativamente agli anni 2002- 2006.
L'Amministrazione si è costituita in giudizio con controricorso.
Il relatore ha proposto l’accoglimento del ricorso osservando che il giudice di merito ha ritenuto sufficiente per la sottoposizione ad imposta l'esistenza di spese per uno studio e di compensi corrisposti a praticanti senza procedere ad una valutazione complessiva (ad esempio tenendo conto della misura dei compensi) che consentisse di affermare che i praticanti svolgevano di fatto le funzione di personale dipendente, in misura tale da determinare una "autonoma organizzazione". Il Collegio ha ritenuto opportuno devolvere la controversia alla Pubblica Udienza.
A seguito della pubblica udienza, il Collegio ha ritenuto di condividere l'originaria proposta del relatore in quanto la Corte di Cassazione ha affermato che la presenza di praticanti in uno studio professionale non è sufficiente di per sé a determinare quella "stabile organizzazione" che determina la sottoposizione ad IRAP.
Si ricorda in proposito la sentenza n. 8834 del 14 aprile 2009 secondo cui costituisce principio consolidato, che consente il rigetto in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso della Amministrazione, l'affermazione secondo "l'utilizzo di un collaboratore che non sia già lui stesso avvocato può rectius: non può ravvisare un principio di organizzazione, posto che l'apprendista non partecipa alla formazione del reddito in modo autonomo, ma sta compiendo il suo iter formativo" sarà quindi onere del giudice di merito provvedere ad una puntuale motivazione sulla natura e sulla quantità delle funzioni svolte dai praticanti, mentre non appare rilevante la disponibilità di locali adeguati per l'esercizio della professione, ed è generico il richiamo (contenuto nella sentenza di merito) alle spese affrontate dal professionista.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana che deciderà anche per le spese del giudizio di legittimità.
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