Tassista organizzato in cooperative è soggetto all'Irap
Cass. Civ., Sez. Tributaria, Sentenza del 18 settembre 2013 n. 21326
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
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L’esercizio dell’attività di tassisti, soci di una cooperativa, implica l’assoggettamento all’IRAP qualora il requisito di un’organizzazione di beni e di persone è generativa di un valore aggiunto indipendente dall’apporto meramente personale, tenuto conto dei servizi dai medesimi fruiti e facenti capo alla cooperativa.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 26 giugno - 18 settembre 2013, n. 21326
(Presidente Cappabianca – Relatore Ferro)
Fatto
I ricorrenti di cui in epigrafe (e comunque di cui a pagine da 1 a 13 del ricorso dell'avvocato R. C. G. n. 23247/2008) impugnano la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Firenze 27.6.2007, che, in conferma della sentenza C.T.P. di Firenze n. 78/01/2005, ebbe a rigettare il rispettivo appello, così ribadendo la legittimità del silenzio rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria avverso l'istanza di rimborso dell’lRAP per gli anni dal 1999 al 2002, sul presupposto - già ritenuto dalla C.T.P. - per cui non difettava in capo agli stessi, esercenti l'attività di tassisti, il requisito di un'organizzazione di beni e di persone generativa di un valore aggiunto indipendente dall'apporto meramente personale, tenuto conto dei servizi dai medesimi fruiti e facenti capo alla cooperativa di cui erano soci (S. s.r.l.).
Ritenne in particolare la C.T.R, che l'appello non poteva essere accolto, pur ammesso l'esercizio in forma cumulativa dei ricorsi al giudice tributario (per identità di interesse), in quanto: per due ricorrenti non valeva l'invocato giudicato esterno (essendo diverse le parti di quei giudizi); tutti i tassisti figuravano nei periodi d'imposta iscritti alla CCIAA e tenuti alla compilazione del modello G del quadro dichiarativo fiscale, operanti com'erano in contabilità semplificata e comunque imprenditori commerciali; per alcuni di essi, infine, non era nemmeno ammissibile l'istanza di rimborso, avendo aderito al condono ex artt. 7 e 9 della l. n. 289/2002.
Il ricorso è affidato a tre motivi e resistito con controricorso dall'Agenzia delle Entrate. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Diritto
Con il primo motivo, si deduce il vizio di violazione di legge, con riguardo agli artt. 2 d.lgs. n. 446/1997 e 51 (oggi 55) TUIR, con l'art. 2195 cod.civ. e l'art. 53, in relazione all'art. 360 n.3 cod.proc.civ., avendo erroneamente la C.T.R. incluso nel presupposto impositivo IRAP qualsiasi attività d'impresa, ancorché svolta dall'imprenditore persona fisica senza effettiva organizzazione.
Con il secondo motivo, si avanza vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 446/1997, in relazione all'art. 360 n.3 cod.proc.civ., per avere la sentenza qualificato come autonoma organizzazione rilevante ai fini IRAP quella di un terzo soggetto passivo d'imposta.
Con il terzo motivo si deduce vizio di violazione di legge concernente gli artt. 7 e 9 l. 289/2002, con riguardo agli artt. 23 e 53 Cost, in relazione all'art. 360 n.3 cod.proc.civ., essendo errata la cristallizzazione del rapporto tributario in capo ai soggetti fruitori del condono, con rinuncia implicita per gli stessi ad azionare il diritto al rimborso.
Il ricorso proposto da L. C. è inammissibile, per pacifica omissione del conferimento della procura al difensore.
Il terzo motivo, da trattare prioritariamente e sia pur con riguardo ai ricorrenti che hanno aderito al condono (menzionati dalle pagine 26 a 28 del controricorso), è infondato e tale da determinare, per essi, l'assorbimento dei primi due morivi di ricorso. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5037/2010, 17142/2008 e, specificamente per l'IRAP, 3682/2007 e 1967/2012, 3841/2012), il condono tributario attribuisce al contribuente un diritto potestativo di scelta tra il procedimento amministrativo di accertamento ordinario, con conseguente pretesa all'eventuale rimborso del tributo indebitamente pagato ed il procedimento amministrativo di accertamento straordinario di condono, con la conseguenza che l'opzione del contribuente per il condono, come accaduto nella specie, preclude ad entrambi i soggetti del rapporto il ricorso al procedimento di accertamento ordinario e, quindi, anche ogni pretesa al rimborso da parte del contribuente. Ne deriva che l'esercizio della facoltà di ottenere la definizione dei redditi d'impresa, pagando una data somma correlata all'imposta e determinata ai sensi dell'art. 7, co. 14, l. n. 289 del 2002, produce un effetto estintivo del giudizio a questa relativo, che opera anche in relazione alle domande giudiziali riguardanti le richieste di rimborso d'imposta (nella specie, l'IRAP): con la conseguenza che l'intervenuta proposizione della relativa istanza, palesandosi come questione officiosa, connessa ai riflessi di ordine pubblico nascenti dall'elisione della pretesa impositiva realizzata in virtù dell'adesione al condono, andrebbe comunque rilevata d'ufficio anche dal giudice, senza che occorra una specifica eccezione - peraltro sollevata dall'Agenzia delle Entrate - ad opera della parte interessata a farla valere (ex-art. 9 l. cit. così nello specifico Cass. 3841/2012).
3. I primi due motivi vanno trattati unitariamente, e con la precisazione della sopravvivenza delle ragioni di doglianza con essi introdotte circoscritta ai soli contribuenti non presentatori di condono. Essi sono peraltro in parte inammissibili ed in parte infondati. Osserva invero il Collegio che la ratio decidendi su cui è imperniata la decisione oggetto di censura giustappone la appartenenza dei tassisti ad uno statuto fiscale di evidente riferimento ad un'attività d'impresa commerciale e lo svolgimento di un'attività, permessa e valorizzata, mediante l'essenziale ricorso ai servizi forniti, a ciascuno di essi, dalla società cooperativa in cui sono organizzati come soci. Tale doppia prospettazione argomentativa non trova un adeguato contrasto ove i ricorrenti, pur dandone conto ed inammissibilmente chiedendo un diverso e nuovo accertamento di merito, non s'avvedono che proprio con la menzione delle descritte circostanze la C.T.R. ha ricostruito profili di attività autonomamente organizzata, ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 446 bis 1997 e dunque con riscontro in concreto di una situazione riferita ai contribuenti stessi. Tale rilievo impone la strutturazione della ragione critica in sede di legittimità mediante la doverosa introduzione anche di un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5 e non, come avvenuto, ex n. 3 soltanto del codice di rito. Può invero richiamarsi l'indirizzo per cui già "é inammissibile il ricorso per cassazione nel quale la parte abbia erroneamente inquadrato, tra quelli previsti dall'art. 360 cod. proc. civ., il vitato che ha inteso denunciare, esigendo la tassatività e la specificità del motivo di censura una precisa formulazione, di modo che detto vizio rientri nelle ipotesi tassative enucleate dal codice di rito." (Cass. 8585/2012; 18202/2008).
4. In ogni caso per gli stessi due motivi va dichiarata l'infondatezza. In tema, anche alla stregua dell'interpretazione costituzionalmente orientata fornita da Corte cost. n. 156/2001, l'assoggettamento ad IRAP dell'attività del lavoratore autonomo, del professionista e dell'imprenditore postula una valutazione complessiva di essa, da effettuarsi sulla scorta di tutti gli elementi fattuali che connotano la fattispecie concreta. Ha chiarito il Giudice delle leggi che l'imposizione ha riguardo al valore aggiunto prodotto, cioè la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l'IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l'organizzatore dell'attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori. L'imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione. Nel caso, poi, di una attività professionale o autonoma o di piccola impresa che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà dunque mancante - per gli stessi giudici costituzionali - il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa. Poiché inoltre solo l'attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta, in base alla seconda parte del citato articolo, si dà per ogni altra figura la doverosità di un'analisi caso per caso, con istruttoria concreta e non condotta per tipologie di contribuente.
Così l'esistenza di un'autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per la sottoposizione impositiva dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dall'art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi i casi di soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, non dev'essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall'aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. (Cass. 3673/2007). Può così concludersi che è soggetto passivo dell'imposta chi si avvalga, nell'esercizio dell'attività di lavoro autonomo (o d'impresa anche minore), di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale (o manuale) supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how, con la conseguenza che può essere escluso il presupposto di imposta solo quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nell'auto-organizzazione del professionista (ovvero prestatore autonomo) o, comunque, quando l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (Cass. 30753/2011). Così, l'esercizio dell'attività di piccolo imprenditore (nella specie, tassista) è stato dalla S.C. escluso dall'applicazione dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: nella vicenda, il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento si è ribadito spettare al giudice di merito, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza dell'organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. In ogni caso, costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell'assenza delle predette condizioni (Cass. 21123/2010). Parimenti è stato ribadito che tale imposta colpisce il valore della produzione netta dell'impresa e così nell'impresa familiare, rispetto alla posizione dell'imprenditore familiare, anche la collaborazione dei partecipanti, per quanto interna all'organizzazione, integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (Cass. 10777/2013).
Nella fattispecie, la critica alla pronuncia della C.T.R. da un lato non ha investito, come detto ed in modo rituale, la motivazione e, dall'altro, non dà conto della descritta sussistenza, in capo ai tassisti, di una posizione contrattuale ed organizzativa collegata in modo essenziale - già ai fini di censirne l'intrinseca modalità di effettuazione - con i plurimi servizi della cooperativa di cui essi sono soci, dunque in una funzione collaborativa ben censita come contributo determinante per la produzione globale lorda del reddito dei contribuenti. Il descritto requisito dell'autonoma organizzazione ben può invero essere integrato dall'apporto collaborativo altrui, e con ciò determinare le condizioni di assoggettabilità all'IRAP ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 446/1997, per effetto di specifici legami contrattuali di lavoro (subordinato e non) ovvero nell'ambito di una serie ripetuta di prestazioni rese con altre tipologie di somministrazione ovvero per una condivisione organizzativa societaria di risorse e servizi, com'è il caso di specie, facilitativi della, attività stessa del contribuente: a cominciare dalla fornitura dell'operatività del radiotaxi, risultano infatti evidenti modalità di esercizio dell'attività dei tassisti, e di ciascuno di essi, manifestamente integrate dall'apporto qualificante di una stabile struttura (la società cooperativa) che assicura, in via tipica e costante, al singolo tassista continuità di lavoro, migliori condizioni economico-professionali (già a termini di statuto della cooperativa, su cui v. p.4 sentenza), centralizzazione della raccolta pubblicitaria, assistenza amministrativa e fiscale. L'elemento della fruizione dei servizi altrui trova dunque anche in tali circostanze un'adeguata evidenza, incidendo - nel senso di un'alterazione - sul modello esclusivamente personalistico (quanto ad organizzazione dell'attività e valorizzazione delle risorse dirette alla produzione del reddito) preteso invece dalla citata norma (e dalla lettura interpretativa datane da questa Corte) ove se ne richiamino le condizioni di esenzione da imposta, nel caso correttamente descritte quali del tutto assenti nella pronuncia impugnata.
6. Ribadita l'inammissibilità del ricorso di L. C., va pertanto rigettato il ricorso di tutti gli altri contribuenti, con condanna dei ricorrenti tutti alle spese del procedimento di legittimità, secondo le regole della soccombenza e come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di L. C.; rigetta il ricorso quanto a tutti gli altri ricorrenti; condanna i ricorrenti tutti al pagamento delle spese del procedimento, in favore della controricorrente, liquidate in Euro 11.250, oltre alle spese prenotate a debito.
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