Il caso. I Giudici Italiani, all’esito di un procedimento di separazione, avevano affidato la figlia minore alla madre, disciplinando il diritto di visita per il padre, con regolari incontri. Tuttavia il padre, a causa del comportamento ostruzionistico della madre, non è stato in grado di esercitare regolarmente il suo diritto di visita, per ben sette anni, con gravi ripercussioni sul suo rapporto con la figlia. L'uomo, di fronte all'inerzia e all’inefficienza del nostro Stato (servizi sociali inclusi), si è i rivolto alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, lamentando la violazione dell'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. E la Corte Europea dei diritti dell’uomo Strasburgo, con sentenza 29 gennaio 2013 (Lombardo, ricorso n. 25704/11) gli ha dato ragione e ha condannato lo Stato italiano per violazione del diritto al rispetto dei legami familiari ex art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché le autorità nazionali non avevano messo in atto le misure necessarie a consentire una realizzazione tempestiva ed effettiva del diritto di visita del padre. Ad avviso della Corte: gli Stati devono mettere in atto tutte le misure idonee a consentire un'attuazione effettiva del diritto alla vita familiare, tenendo conto dell'interesse superiore del minore; che, d’altro canto, deve essere garantito anche in base alla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo. Nelle questioni di diritto di famiglia l’adeguatezza delle misure adottate dalle autorità si misura in base alla rapidità di esecuzione delle decisioni giudiziarie; misure che devono essere scelte e modulate secondo le caratteristiche del caso di specie. Diversamente, il rapporto genitoriale, che deve essere costantemente alimentato, rischia di venire definitivamente compromesso. Nel caso in esame: - si devono bocciare le misure applicate dai giudici nazionali in quanto "automatiche e stereotipate". Va inoltre preso atto del fallimento dei servizi sociali che non si sono diligentemente adoperati per gestire e superare il comportamento ostruzionistico della madre della minore. Sono mancate, per Strasburgo, misure idonee a obbligare i due genitori a una terapia familiare o incontri in una struttura specializzata. Né i servizi sociali hanno utilizzato la mediazione per incoraggiare le parti a cooperare. E’ stato lasciato trascorrere troppo tempo, impedendo al padre la possibilità di costruire una relazione stabile con la figlia; mentre, per non incorrere in una violazione della Convenzione, si doveva intervenire, con misure tempestive ed effettive, la cui validità deve essere giudicata anche alla luce del fattore tempo. Di qui la condanna dell’Italia per la violazione della Convenzione e l’obbligo di versare al padre una somma pari a € 15.000,00 oltre interessi, a titolo di risarcimento dei dei danni non patrimoniali, e di € 10.000 a titolo di rimborso delle spese processuali. Spetterà quindi allo Stato dare attuazione alla sentenza entro sei mesi. Nota bene: - dopo la sentenza Piazzi 2 novembre 2010, l'Italia si è limitata a liquidare l'importo a titolo di indennizzo e a presentare un generico piano d'azione in cui si sottolineava l'impegno nella diffusione della sentenza e una maggiore vigilanza sull'esecuzione delle misure nei rapporti familiari. E’ evidente che la conclusione della Corte di Giustizia apre oggi la strada ad altre sentenze di condanna dell'Italia, alla luce dell’abituale ritardo e della nota inefficacia di misure concrete nell'esecuzione dei provvedimenti in materia familiare.