Nella nostra tradizione, diritti fondamentali e minori sono stati a lungo termini, l'uno estraneo all'altro: i minori, privi di capacità d'agire sono stati trattati e pensati, più come oggetto di diritto o al limite soggetti di diritti patrimoniali, che di diritti fondamentali. D'altro canto, il diritto dei minori è stato storicamente concepito come un diritto minore (o minorato) , distante dalle levigate forme del diritto degli adulti. E infatti, l'art.147 del codice civile è intitolato non ai diritti dei minori, ma ai doveri dei genitori consistenti nell'"obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli". Affatto marginale l'accento posto sui doveri dei genitori anziché sui diritti dei minori, come se questi fossero un riflesso di quello e non viceversa. Lunga è la strada se dottrina e giurisprudenza ancora oggi parlano del loro interesse, qualificato "superiore" , secondo apprezzamento affidato ad una valutazione casistica. E così nell'Italietta delle contraddizioni, ci vuole coraggio ad affermare il primato dei diritti fondamentali dei minori, come fondamento del diritto minorile, mutamento di paradigma, annunciato dalla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20.11.1989, ratificata in Italia con la legge n.176 del 27.5.1991 e dalla Convenzione europea sui diritti del fanciullo di Strasburgo che si occupa dell'esercizio dei diritti dei minori . Eh già, il legislatore internazionale vola alto negli artt.12-14 della Convenzione internazionale del 1989: il diritto "di formarsi una propria opinione e di esprimerla liberamente" e di "ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere"; "il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione" che include anche il diritto di libertà dalla religione, l'immunità da costrizioni pur se provenienti dalla famiglia; il diritto, "ad essere ascoltato in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguardi", dimenticando, noi, che il tema della tutela risarcitoria dei minori è intimamente legato al riconoscimento dei diritti fondamentali dei minori, perché il danno non patrimoniale, conseguente alla lesione di diritti fondamentali , necessita che i minori siano titolari di diritti fondamentali. Continuando poi a discorrere di interesse, siamo così convinti di offrire risposte di tutela adeguate ? Se chiudiamo i codici e porgiamo l'orecchio a quello che avviene accanto a noi, a quello che ci racconta nostro figlio tornando da scuola - sentiamo un inventario di cattiverie nei confronti dei bambini di ogni genere: violenza fisica, psichica, bocciature ingiuste, disagi, conflitti, abbandoni. Quando l'area del visibile abbraccia la vita, l'integrità fisica, l'ordinamento tutela il diritto (alla vita, alla integrità fisica) che lì esiste. Quando è leso l'invisibile ( tale solo in apparenza), per quella ragnatela di sofferenze, di prevaricazioni, di vuoti degli adulti, la tutela degrada e lì il diritto non esiste. Dall'inizio dell'anno due pronunce sull'interesse del minore riportano al centro la necessità di rivedere il sistema delle tutele. Da un lato, prosegue il percorso di adeguamento della normativa nazionale alle indicazioni europee ad opera della Corte Costituzionale: con sentenza n. 7 del 16 gennaio 2013, la Corte dichiara l'incostituzionalità dell'articolo 569 c.p. nella parte in cui prevede che, in caso di condanna del genitore, consegua automaticamente la perdita della potestà genitoriale (i genitori avevano omesso di dichiarare all'Ufficiale di Stato civile la nascita della figlia, ma non le avevano fatto mancare "le attenzioni materiali e anche l'affetto e l'assistenza"). Qui l'automatismo della perdita della potestà è contrario all'interesse del minore, criterio preminente di giudizio, e così la Consulta dichiara incostituzionale l'art. 569 c.p. per contrasto con gli artt. 3 e 117 Costituzione. Dall'altro: la mancata attuazione dell'interesse del minore in concreto, vede l'Italia condannata da Strasburgo (sentenza Lombardo del 29 gennaio 2013 commentata su www.personaedanno.it) per violazione dell'articolo 8 della Convenzione di Roma, rilevando la Corte la contrarietà all'interesse del minore della condotta passiva, punto collaborativa delle Autorità (giudiziarie ed amministrative) nel disertare di fatto, la celere ed efficace esecuzione del provvedimento di visita. In tali casi i Servizi Sociali, delegati dall'Autorità giudiziaria, devono adoperarsi intervenendo sulle disfunzionalità della relazione, ma il giudice deve vigilare (il problema è analogo nei provvedimenti di affido eterofamiliare), sull'operato intervenendo anche con provvedimenti coercitivi sul genitore che ostacola il rapporto. Le censure della Corte, sull'inadeguatezza dell'arsenale giuridico statale aprono sul piano normativo, una riflessione sulla necessità di revisione del sistema nella materia relativa all'esecuzione dei provvedimenti in materia minorile e sul piano processuale, sull'interesse del minore, che appare il pretesto per negare al minore di età di usufruire di istituti processuali quali "il diritto all'equo processo, il diritto all'assistenza legale, il diritto di appello", interesse negatorio della dignità della minore come parte processuale. E qui il nostro compito è importante: dobbiamo ricondurre il Giudice verso il giusto processo, con la nomina di un curatore speciale al minore, ex artt. 4 e 9 della Convenzione di Strasburgo, rievocando la previsione secondo la quale i : "detentori della responsabilità genitoriale" si trovino a non poter interamente rappresentare, essi, il figlio minore non perché sussista, nella relazione genitoriale, un comportamento pregiudizievole, ma soltanto perché, nel processo ed in conseguenza del processo, si verifica (in tutto o in parte) un "conflitto di interesse Un aspetto che non richiede riforme è la formazione interdisciplinare dei giudici e degli avvocati: non perché il magistrato possa sostituirsi all'esperto ma perché senza uno straccio di infarinatura su altre abilità è difficile distinguere tra i diversi tipi di intervento, privilegiando more solito la consulenza tecnica d'ufficio , senza comprendere le differenze tra un tipo di intervento e l'altro, o tra lo psicologo giuridico, il neuropsichiatra infantile, il mediatore familiare, o tra situazioni risolubili esclusivamente con solerti interventi autoritativi . Dare concretezza al concetto di "interesse" richiede un ripensamento del rapporto giurisdizione- servizi pubblici, ai quali la prima affida a vario titolo il compito di garantire la crescita del minore. E ovviamente tutto questo comporterebbe maggior lavoro. E forse, questo è il problema.