In materia di legittimazione alla richiesta dell'assegno di mantenimento, secondo un primo orientamento giurisprudenziale e dottrinario, dopo la maggiore età e la conseguente cessazione dell’affidamento, viene meno la legittimazione del coniuge affidatario ad agire “iure proprio” e l’assegno può essere preteso esclusivamente dal figlio che ne è il creditore ed è soggetto capace a riceverlo (Cass. Civ. 28.04.1980; Trib. Di Genova 02.12.1980). Ne consegue, secondo l’orientamento citato, che il versamento dell’assegno all’altro coniuge non è idoneo a liberare il genitore onerato, il quale ha pertanto interesse a richiedere una modifica della sentenza di separazione per sentir dichiarare giudizialmente il nuovo destinatario del pagamento. Detto autorevole orientamento giurisprudenziale trova conforto nella nuova formulazione dell’art. 155 quinquies del cod. civ. a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 54/2006 in tema di affido condiviso, secondo cui“il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”; nell’interpretazione data da autorevole dottrina alla nuova formulazione, detto articolo prevede il diritto esclusivo e quindi la legittimazione ad agire in giudizio, in capo al solo figlio maggiorenne non autosufficiente ( principale assertore di tale tesi è Graziosi, “il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni economicamente non ancora autosufficienti. Note processuali”, in “Famiglia e diritto”, 2008, 6,585). In effetti prima dell’introduzione nell’ordinamento della norma contenuta nell’art. 155 quinquies c.c., il costante orientamento della Cassazione era nel senso dell’affermazione della legittimazione del coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove fosse con lui convivente ed economicamente non autosufficiente, iure proprio (Cass. 27 maggio 2005, n. 11320;16 febbraio 2001, n. 2289; 23 ottobre 1996, n. 9238), ad ottenere dall’altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio, concorrente con la diversa legittimazione dello stesso, senza tuttavia configurare un’ipotesi di solidarietà attiva (cfr. Cass., 12 ottobre 2007, n. 21437, ove si ipotizza anche l’intervento in appello del figlio divenuto maggiorenne). Si riteneva, quanto al genitore convivente, che egli agisse iure proprio, purché fosse persistente la convivenza ed il figlio non avesse avanzato autonoma richiesta (Cass. 27 maggio 2005, n. 11320); la legittimazione del figlio maggiorenne veniva fatta derivare dalla titolarità, in capo allo stesso del diritto al mantenimento. La questione è stata affrontata di recente dalla Corte di Cassazione (Sent. n. 4296/12 del 19.03.2012) la quale riconosce in seguito alla modifica codicistica che il figlio maggiorenne convivente e non autosufficiente è“legittimato in via prioritaria ad ottenere il versamento diretto del contributo !”.