Gli atteggiamenti iperprotettivi integrano il reato di maltrattamenti in famiglia (Nuovo orientamento)
Corte di Cassazione, 6^ Sez. penale, n. 36503 del 10.10.2011
Avv. Daniela Conte
di Roma, RM
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Tizia, madre di Tizietto, e il nonno materno educano il minore con atteggiamenti iperprotettivi - non può frequentare regolarmente la scuola, riesce a conoscere altri bambini della sua età soltanto in prima elementare, non può compiere attività didattihe, anche istituzionali, inerenti la motricità -. Il loro comportamento, in sostanza, isola il bambino dal resto del mondo. In più, dipingono il padre come una persona negativa e violenta, imponendo al bambino di farsi chiamare con il cognome materno. I comportamenti sopra descritti proseguono fino all'età preadolescenziale, ritardando gravemente lo sviluppo psicologico e l'acquisizione di "abilità in attività materiali e fisiche, anche elementari (come la corretta deambulazione)" da parte del minore. Denunciati per il reato di maltrattamenti in famiglia - previsto dall'art. 572 cod. pen. -, la madre e il nonno materno di Tizietto vengono condannati, in primo grado, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione. La sentenza è confermata dalla Corte d'Appello. I due imputati non hanno migliore fortuna in Cassazione, alla quale ricorrono. Infatti, con la sentenza depositata in data 10 ottobre 2011 la Corte di Cassazione - 6^ Sez. penale - ha confermato la sentenza della Corte d'Appello. I Giudici di legittimità hanno osservato che "nel reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 codice penale, l'oggetto giuridico non è costituito solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla tutela dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma e interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro potenzialità nello svolgimento di un rapporto, fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno, a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente". In sostanza, perchè ricorrano gli estremi del reato di maltrattamenti in famiglia non è necessario che vengano poste in essere condotte materiali violente e vessatorie; ben possono rientrarvi anche atteggiamenti di "iperaccudia"- come quelli posti in essere nel caso inspecie -, laddove provochino nella vittima lesioni fisiche e psichiche. La Suprema Corte aggiunge che non può costituire una scriminante la circostanza che il minore si trovi in uno "stato di benessere": "la variabile soglia di sensibilità della vittima", in quanto minore, "esige efficace tutela, anche contro la sua stessa infantile limitata percezione soggettiva". In proposito, vige la regola secondo cui "a prescindere dalla minore età della vittima, il reato de quo mai può essere discriminato dal consenso dell'avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali o, come nella specie, scelte e stili pedagogici obsoleti, od in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo sanciti dall'art. 2 Cost., i quali trovano specifica considerazione i materia di diritto di famiglia negli artt. 29-31 Cost." (si vedano, in proposito, le sentenze Cass. pen. n. 46300 del 2008 e Cass. pen. n. 3398 del 1999). Non può essere, infine, invocata la buona fede nella scelta delle metodiche educative da parte della madre e del nonno materno di Tizietto. Se, infatti, si può riconoscere che questi ultimi abbiano agito, inizialmente, secondo buona fede, "tale profilo soggettivo non aveva più motivo di sussistere dopo i ripetuti sinergici interventi correttivi di una pluralità di esperti e tecnici dell'età evolutiva e del disagio psichico ed i conformi interventi dell'autorità giudiziaria". A parere della Suprema Corte, il fatto che - nonostante gli interventi sopra citati - gli imputati abbiano continuato ad utilizzare le metodiche di "iperaccudienza" e "isolamento" evidenzia in capo agli stessi "l'intenzionalità che connota il delitto ritenuto nei termini correttamente ribaditi dai giudici di merito". Alla luce dei motivi sopra descritti, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei due imputati, condannandoli al pagamento delle spese processuali. Roma, 11 ottobre 2011 Avv. Daniela Conte RIPRODUZIONE RISERVATA
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