Cade il divieto di fecondazione eterologa
Corte Costituzionele 9 aprile 2014
Avv. Michela Pignatelli
di Bologna, BO
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Cade il divieto di fecondazione eterologa, poichè alla coppia deve essere garantito il diritto alla autodeterminazione e alla vita privata familiare e quindi anche alla procreazione assistita. Non risulta costituzionalmente legittimo limitare il diritto soggettivo della coppia alla procreazione mediante la predisposizione di divieti all'utilizzo di ausilii e tecniche medicalmente assistiti.
E’ stato il Tribunale di Milano (seguito poi da Firenze e Catania) ad aver rimesso per primo alla Consulta, con un’articolatissima ordinanza del 29 marzo 2013, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3, dell'art. 9, commi 1 e 3, e dell’art. 12, comma 1, della legge n.40 del 2004 per contrasto con gli artt. 117, 2, 3, 29, 31 e 32, commi 1 e 2, della Costituzione.
Nel nostro ordinamento, infatti, l’ausilio delle tecniche di procreazione medicalmente assistita era consentito solo laddove fosse accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione e circoscritto ai soli casi di sterilità o di infertilità inspiegabili documentate da atto medico, o per causa accertata e certificata da atto medico (art. 4, n.1, l. n.40/2004).
Lineari i passaggi argomentativi del giudice a quo:
1) occorre garantire il diritto alla vita privata familiare intesa come diritto all’autodeterminazione della coppia che desideri procreare, ma che, possedendo i requisiti soggettivi previsti dalla legge n.40 del 2004, debba ricorrere, in ragione del proprio quadro clinico, ad una delle tecniche di fecondazione eterologa per superare i limiti di fertilità o sterilità presentati, non altrimenti risolvibili. Il divieto normativo, dunque, incide sul diritto di determinare la propria condizione genitoriale e di poter concorrere liberamente alla realizzazione della propria vita familiare;
2) al limite della infertilità e sterilità di coppia dovrebbe corrispondere la possibilità di accedere alle tecniche scientifiche più all’avanguardia per rimuovere l’impasse patologico. Vi è, di conseguenza, violazione dell'art. 3 Cost., in riferimento al principio di non discriminazione, per la necessità di rispettare una ragionevole proporzionalità tra i mezzi utilizzati e il fine perseguito;
3) le tecniche di PMA dovrebbero essere qualificate come rimedi terapeutici sia in relazione ai beni che ne risultano implicati, sia perché consistono in un trattamento da eseguirsi sotto diretto controllo medico finalizzato a superare una causa patologica comportante un difetto di funzionalità dell’apparato riproduttivo di uno dei coniugi (o conviventi) impeditivo della procreazione, rimuovendo, nel contempo, le sofferenze psicologiche connesse alla difficoltà di realizzazione della scelta genitoriale.
Violati, in definitiva - secondo il giudice rimettente - i parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 29 e 31 Cost., nella parte in cui il divieto normativo non garantisce alle coppie cui viene diagnosticato un quadro clinico di sterilità o infertilità irreversibile, il diritto fondamentale di autodeterminazione e di piena realizzazione della vita privata familiare.
La Consulta accoglie oggi i profili di incostituzionalità e, dopo aver affrontato la questione della conservazione degli embrioni, della diagnosi preimpianto e del numero di embrioni da impiantare nell’utero materno, interviene anche sulla fecondazione eterologa.
Con la decisione in commento (di cui presto si conosceranno le motivazioni) cade innanzitutto il divieto di fecondazione assistita eterologa, previsto dall'art. 4 comma 3 della legge 40, secondo cui “è vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. Cadono anche, di conseguenza, i due incisi che recitano entrambi “in violazione del divieto di cui all'art. 4, comma 3”, cioè del divieto di eterologa, previsti nei commi 1 e 9 dell'art. 9, ovviamente immutato per le altre parti e per i suoi contenuti, compreso il divieto di disconoscimento di paternità in caso di PMA eterologa. Cade, infine, l'art. 12, comma 1, sulle sanzioni: “Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dall'articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300mila a 600mila euro”.
La legge 40 si sta lentamente “sgretolando” a colpi di pronunce di incostituzionalità.
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