Una recente sentenza riaffermativa del diritto del minore a vivere nell’ambito della famiglia di origine
Cass. civ., Sez. I, 08/09/2008, n. 22640
Avv. Caterina Sonia Pellicanò
di Reggio di Calabria, RC
Letto 2451 volte dal 14/07/2009
Sentenza con la quale è stato ribadito, per un verso, il principio del diritto dei minori a vivere all’interno della propria famiglia di origine e, per l’altro, la Suprema Corte ha affermato il riconoscimento e la tutela di tale situazione giuridica attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico e sociale, che possano precludere in essa, una crescita sere
Sentenza con la quale è stato ribadito, per un verso, il principio del diritto dei minori a vivere all’interno della propria famiglia di origine e, per l’altro, la Suprema Corte ha affermato il riconoscimento e la tutela di tale situazione giuridica attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico e sociale, che possano precludere in essa, una crescita serena del bambino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere Dott. BERNABAI Renato - Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere Dott. FITTIPALDI Onofrio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da:M.B., nella qualità di madre del minore P. A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLA GIULIANA 35, presso l'avvocato MIGNATTI ELISABETTA, rappresentata e difesa dall'avvocato CERBINO LUDOVICA; giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente - controA.G., PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA;
- intimati -avverso la sentenza n. 12/07 della Corte d'Appello di VENEZIA, depositata il 18/07/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2008 dal Consigliere Dott. Onofrio FITTIPALDI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processoCome si legge in sentenza, su comunicazione dei Servizi Sociali dei Comuni di (OMISSIS) e (OMISSIS), veniva segnalato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Venezia, ed al Tribunale stesso, la condizione di disagio e di difficoltà in cui versava M.B., proveniente da famiglia anch'essa disagiata e con vari problemi di adattamento, la quale in data (OMISSIS) aveva dato alla luce il figlio A., avuto da P.C., ragazzo disoccupato ed appartenente anch'esso ad un nucleo familiare multiproblematico.
Considerati anche l'ambiente inadeguato ed insalubre in cui la M. ed il P. si erano ultimamente trasferiti (nell'abitazione dei fratelli di C., entrambi con gravi problemi di alcooldipendenza), nonché le notevoli difficoltà incontrate dalla madre, anche per la sua inesperienza, nell'accudire il bambino, con provvedimento del 20.6.2005 il Tribunale per i Minorenni di Venezia disponeva l'affidamento in via d'urgenza del minore P.A. al Servizio sociale del Comune di Mirano.
Il bambino veniva accolto presso la struttura (OMISSIS) e, per i ritardi nell'accrescimento e nell'evoluzione manifestati, specialmente dal punto di vista motorio e del linguaggio, veniva seguito dal Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell'ULSS n. (OMISSIS), mentre la madre, M. B., veniva ospitata presso la struttura (OMISSIS) ove veniva avviata ad un percorso teso alla valorizzazione della sua persona, al fine di conseguire un miglioramento del proprio livello di igiene e salute personale, di aiutarla nella comprensione ed elaborazione delle proprie modalità relazionali in ambito familiare ed affettivo, di farle acquisire abilità e interesse all'esercizio di un'adeguata occupazione lavorativa.
Negli incontri avuti con il figlio, tuttavia, la M. mostrava notevoli carenze nell'accudimento materiale (nella scelta del vestiario, nella somministrazione del cibo, nella stimolazione al gioco, nel conciliare i propri impegni con la cura del figlio), e necessitava di essere seguita quotidianamente da un operatore nella cura del minore, pur mostrando comunque lenti progressi nell'acquisizione di tali competenze.
Il padre del minore, P.C., dopo avere intrattenuto rapporti sporadici con il figlio e con il Servizio sociale, si trasferiva in luogo non conosciuto ed interrompeva ogni rapporto con la M. ed il figlio.
Con decreto emesso in data 18 - 21.7.2006, il Tribunale dichiarava lo stato di adottabilità di P.A. e sospendeva la potestà dei genitori sul figlio, nominando allo stesso un tutore ( R. V.) e disponeva la sospensione delle visite dei genitori con il minore.
M.B. proponeva opposizione avverso il decreto suddetto e il Tribunale, con sentenza pronunciata il 4.12.2006 - 9.1.2007, rigettava l'opposizione.
Osservava in proposito il giudice di prime cure che, se era vero che la M., all'interno della struttura in cui era stata accolta, aveva conseguito degli indubbi progressi rispetto alla fase di ingresso, e nel tempo aveva acquisito una certa capacità organizzativa in relazione alla propria persona (igiene personale, gestione domestica, frequentazione di corsi), analoghi progressi non si erano manifestati nelle sue capacità di madre e di accudimento del figlio, rispetto alle quali permanevano gravi carenze, posto che:
a) "non riusciva a capire quando cambiarlo... o quando somministrargli il cibo... o come vestirlo"; b) un'operatrice doveva sollecitarla a sorridere al piccolo, a parlargli, ad offrirgli gli oggetti o i giochi; c) la madre "non riusciva a stimolare adeguatamente il piccolo, che presentava ritardi nell'attenzione", non era in grado di cogliere le reali esigenze del bambino; d) la M. mostrava di fare affidamento sul compagno, disoccupato e scarsamente presente nella sua vita e in quella del bambino, ed anche sulla sua famiglia, che invece era risultata assolutamente inidonea a costituire valido punto di riferimento, cosicché difettava, in essa M., la proposizione di un progetto realizzabile per il figlio; e) l'inadeguatezza della madre era evidenziata dai progressi raggiunti dal figlio una volta entrato nella (OMISSIS), avendo il bambino superato parzialmente i ritardi nella motilità e nel linguaggio già manifestati e migliorato le relazioni con l'operatore adulto, che gli aveva permesso di apprendere capacità imitative e comunicative indispensabili per la sua crescita ed evoluzione psico - affettiva; f) conseguentemente era configurabile lo stato di abbandono in cui versava il detto minore.
Con ricorso depositato il 2.3.2007 M.B. impugnava tempestivamente la sentenza innanzi alla Corte d'Appello di Venezia sulla scorta dei seguenti motivi:
1) contrariamente a quanto opinato dal primo giudice, non erano scindibili le dimensioni di "donna" e di "madre", sicché i progressi indiscutibilmente conseguiti dall'appellante come persona dovevano necessariamente comportare un miglioramento delle sue capacità di prendersi cura del figlio;
2) la relazione psicologica espletata dalla dr.ssa Pa. si era limitata ad un'analisi delle condizioni dell'appellante e delle sue capacità genitoriali, ma senza alcuna valutazione sulle possibilità di uno sviluppo futuro di tali capacità, ed anche l'intervento dei Servizi, con l'inserimento della predetta nella (OMISSIS) (che era per sole donne e senza la possibilità di convivenza con i figli) era stato mirato esclusivamente a farle acquisire una autonomia e valorizzazione della propria sfera personale, ma senza alcuna incidenza sulle sue attitudini ad occuparsi del figlio (detta carenza di indagine si era riflettuta sulla pronuncia del Tribunale minorile, che aveva fondato la decisione proprio su quelle relazioni);
3) sulla scorta di tale insufficiente valutazione del percorso intrapreso da essa appellante, il primo giudice era giunto all'erronea conclusione della irreversibilità della condizione di inadeguatezza della predetta, e quindi del carattere permanente della mancanza di assistenza in cui il minore versava per impossibilità della madre di ovviarvi (in realtà era - a dire dell'appellante - mancato da parte dei Servizi un progetto mirato al recupero del rapporto madre-figlio, con un adeguato e reale sostegno, anche di tipo psicoterapeutico, che avrebbe dovuto essere dato alla M. fin da quando era emersa la sua condizione di disagio), e, di conseguenza, la mancata sperimentazione di tale percorso faceva escludere la prova rigorosa delle irreversibilità delle carenze di essa madre, tenuto conto che all'adozione poteva farsi ricorso soltanto quando erano state percorse tutte le possibili strade alternative);
4) non era stata accertata - e sul punto la sentenza impugnata era carente di motivazione - l'esistenza di un danno grave e irreversibile che poteva derivare al bambino dalla permanenza nella famiglia di origine, ed anzi era risultato che il bambino, con il supporto dei Servizi, aveva superato i ritardi nella crescita inizialmente rilevati, sicché non sussisteva alcun pregiudizio irreparabile;
5) il giudice di prime cure aveva omesso di verificare l'attuabilità di misure alternative all'adozione, tra cui la possibile collocazione della madre in idonea struttura, insieme al bambino, con contestuale programma di assistenza e supporto a madre e al figlio, ovvero l'affidamento temporaneo del minore ad una comunità familiare o in famiglia e la riattivazione delle visite della madre. Chiedeva pertanto che, in riforma dell'impugnata sentenza, venisse revocato il decreto di adottabilità, ed il minore venisse restituito alla madre, in una struttura protetta e con programma di supporto dei Servizi, fino a nuovo provvedimento del Tribunale per i Minorenni; ovvero, in via subordinata, con affidamento temporaneo del bambino presso una comunità familiare o ad altra famiglia.
In via ulteriormente subordinata, chiedeva che fosse revocato il divieto delle visite del minore da parte della madre.
Il Pubblico Ministero concludeva per la conferma della sentenza impugnata.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 20/04 - 18/07/07, riteneva l'appello infondato, in quanto: a) il consistente ed esauriente materiale probatorio acquisito dal primo giudice confermava la correttezza della valutazione sullo stato di abbandono morale e materiale in cui versava attualmente il minore P. A.; b) L'ultima relazione trasmessa dal Servizio sociale il 16.4.2007 aveva evidenziato che permanevano tuttora apprezzabili ritardi nello sviluppo psico-fisico di A., che, all'età di quasi quattro anni, pronunciava soltanto alcune parole e prediligeva esprimersi con suoni inarticolati; presentava ancora incertezze nella deambulazione ed appariva scoordinato nei movimenti (il bambino, pur progredito, "appariva, comunque, bisognoso di relazioni esclusive e stabili e di una stimolazione-mirata e supportata da interventi professionali sia per quel che riguardava l'area del linguaggio che quella dello sviluppo motorio"); c)dalle informazioni fornite sulle condizioni della madre risultava che i principali progressi compiuti dalla M. all'interno della struttura di accoglienza (OMISSIS) avevano riguardato prevalentemente un miglioramento del proprio livello di igiene e salute personale ("se stimolata e accompagnata mostra anche un certo piacere e amor proprio nel curarsi..."), ed anche nell'agire, ma presentava carenze sul piano organizzativo e gestionale; d) aveva incontrato difficoltà, sia emotive che pratiche, nell'inserimento nelle attività lavorative che le erano state proposte, pur riuscendo a portare avanti l'impegno lavorativo per brevi periodi; e) aveva manifestato il desiderio di riavere il figlio con sé, ma aveva riconosciuto l'attuale sua impossibilità di occuparsi autonomamente di lui e, a parere del Servizio, non appariva in grado di organizzare e gestire la propria vita in funzione e compatibilmente alle esigenze del figlio; f) nell'ultima relazione trasmessa il 13.4.2007, venivano evidenziati gli ulteriori progressi compiuti dalla M. sia nell'occupazione lavorativa che attualmente stava svolgendo, sia nella cura della persona. Permaneva, tuttavia, la valutazione di inadeguatezza sulle sue capacità genitoriali; g) sulla scorta degli esposti elementi si imponesse la necessità, per il minore, di particolari sollecitazioni e stimoli esterni da parte dell'educatore, che lo aiutassero a recuperare i gravi ritardi nella crescita (all'età di quasi quattro anni era in grado di pronunciare soltanto qualche parola e per il resto si esprimeva con suoni inarticolati); h) andava senz'altro condiviso il convincimento del primo giudice in ordine all'impossibilità, per la madre, di essere quel riferimento e sostegno adulto di cui il figlio aveva impellente bisogno per il pieno sviluppo della sua personalità; i) il riconoscimento dei progressi compiuti dall'appellante nella propria sfera personale non appariva in contrasto con detta valutazione negativa sulla idoneità al ruolo genitoriale, giacché le principali carenze riscontrate nella stessa attenevano alle capacità organizzative e di gestione della propria vita ed alla sua attitudine a comprendere le esigenze del minore, aspetti cioè che potevano incidere direttamente ed in modo pregiudizievole nel rapporto madre-figlio; l) A. necessitava, invece, urgentemente dell'inserimento in un ambiente familiare che lo stimolasse e ne curasse adeguatamente la crescita, mentre il percorso di recupero intrapreso dalla madre non appariva compatibile, anche per il tempo ancora occorrente, con le immediate esigenze del figlio; m) il padre del minore, P.C., a sua volta era risultato del tutto inidoneo ad offrire alcuna garanzia di accudimento per il figlio, tenuto conto che se ne era quasi del tutto disinteressato, ed inoltre la M. aveva manifestato di non voler avere più alcun legame o contatto con lui; n) nella famiglia della M. non erano individuabili validi punti di riferimento alternativi, o che la potessero supportare adeguatamente nel ruolo genitoriale: la madre, S.C. - separata di fatto dal marito e convivente con altro uomo, che era disoccupato e viveva di espedienti - presentava deficit intellettivo ed incapacità ad una corretta gestione familiare; il padre, M.A., aveva problemi di alcooldipendenza; o) in definitiva, era risultato che i genitori, o la sola madre, non erano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabili per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non appariva dovuta a causa transitoria di forza maggiore, bensì appariva idonea, per la sua durata, a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore, sicché era configurabile nella specie lo stato di abbandono del minore stesso che giustificava la dichiarazione di adottabilità; p) in definitiva, andava confermata la pronuncia di adottabilità del minore P.A., per lo stato di abbandono morale e materiale in cui attualmente egli versava, e l'appello avverso detta sentenza doveva essere rigettato, il che, evidentemente, impediva la riattivazione dei contatti tra l'appellante ed il figlio.
Ricorre per Cassazione, con atto notificato il 15 ottobre 2007, la M. sulla base di 7 motivi.
Non risulta depositato controricorso. Motivi della decisioneCon i primi due motivi (da trattare unitariamente stante la loro intima connessione), nel denunciare rispettivamente omessa motivazione su un fatto controverso decisivo, nonché violazione del combinato disposto della L. n. 184 del 1983, art. 1, comma 1, 2 e 3, e art. 8, comma 1 e 3, la ricorrente lamenta come: a) la difesa di essa sig.ra M.B., già nell'atto di opposizione al decreto di adottabilità, ed anche nel gravame rispetto alla successiva sentenza del Tribunale dei Minorenni di Venezia, avesse rilevato come l'intervento dei Servizi sociali, nel caso di specie, si fosse ridotto ad un piano meramente osservativo, dapprima con la consulenza della Dott.sa Pa., la quale aveva svolto solo una relazione diagnostica, senza compiere alcuna valutazione sulla possibilità di recupero delle competenze genitoriali, e dopo anche con gli stessi operatori dei Servizi, che, accolta la madre presso la (OMISSIS), si erano limitati a fornirle un corredo prescrizionale e verificarne l'osservanza da parte di essa stessa M., senza tuttavia predisporre ed attuare un progetto specificatamente rivolto a costruire nella famiglia biologica - con gli opportuni strumenti di aiuto e sostegno, anche di tipo psicoterapeutico - relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino (vedi, al riguardo, la relazione della stessa Dott.ssa Pa. - della struttura che aveva collaborato con la (OMISSIS) e i (OMISSIS) - in data 28/12/2005, inviata dal Comune di Mirano con accompagnatoria 29.12.2005, nella quale veniva evidenziata "la presenza nel mondo interno della signora di nuclei problematici non elaborati, attinenti alla figura paterna, a quella materna e all'utilizzo di meccanismi difensivi forti ma non del tutto funzionali ad un adeguato adattamento", nonché veniva evidenziato come i modelli operativi di attaccamento internalizzati contribuissero a determinare un'immagine di ruolo materno caratterizzata da aspetti puramente materiali, di accudimento primario, senza una reale capacità di cogliere e di sintonizzarsi sugli aspetti emotivi che la relazione madre/bambino contemplava, e come, in conclusione, i legami affettivi con le proprie figure di riferimento sembrassero aver determinato l'introiezione di pattern di attaccamento poveri sul piano dell'affettività, con aspetti di disorganizzazione e discontinuità, nonché come si rilevassero bisogni insoddisfatti all'interno della propria storia di figlia che sembravano imbrigliare la signora all'interno di legami familiari irrisolti con conseguente dipendenza ed incapacità di accedere ad un ruolo genitoriale adulto, ma non venivano tuttavia indicate le possibilità/probabilità di appropriazione delle funzioni genitoriali, né veniva suggerita alcuna misura di sostegno fattivo);
b) che la ctu della Dott.ssa Pa. e comunque il suo intervento fossero puramente osservativi, lo affermasse esplicitamente la A.S. F.T., la quale, all'udienza del 20/11/06, aveva dichiarato che "Il percorso terapeutico del Germoglio era volto ad analizzare la capacità genitoriale": una mera analisi - passiva, appunto; c) che, inoltre, l'intervento compiuto presso lo (OMISSIS), fosse, più che altro, di tipo osservativo, o superficialmente prescrittivo, ma non di autentico sostegno e rimozione degli ostacoli alla (ri)acquisizione di facoltà genitoriali, lo si evincesse dalla deposizione della A.S. F. M., escussa in data 4/12/06 avanti al Giudice di primo grado, nella quale la stessa aveva precisato che "la Comunità punta molto sul lavoro quotidiano. Il progetto non è a largo raggio"; d) nella relazione di aggiornamento 29.12.2005, si osservasse come, analizzata tutta la situazione, risultasse che la possibile strategia da attuare al più presto, con un progetto mirato, fosse quella della valorizzazione di B. come persona, esperienza che sino ad ora la signora, nel suo ambiente di vita deprivato e privante, non aveva mai potuto sperimentare; e) ciò cozzasse contro quello che avrebbe dovuto rappresentare il reale intendimento (e così il tutto era stato inteso da essa stessa sig.ra M., che vi aveva aderito in buona fede), e cioè quello per cui tale strategia dovesse essere rivolta allo scopo di riattivare le capacità genitoriali e di migliorare la relazione madre/figlio, nel tentativo - che andava adeguatamente perseguito - di elidere le condizioni dello stato abbandonico, preservando però, ove possibile, il diritto del minore a crescere nella sua famiglia, essendo questo il fine istituzionale dei Servizi, e non il generico miglioramento della persona in sé e per sé; f) peraltro, tale strategia - "da attuare al più presto" - fosse sfociata, come si leggeva nella relazione del 6/06/2006 (sei mesi dopo), nelle determinazioni in virtù delle quali, il progetto di sostegno all'autonomia della madre era proseguito e recentemente era stato fatto un incontro con la responsabile di una casa-famiglia per giovani donne, sempre a (OMISSIS), dove la signora M. avrebbe trovato la possibilità di costruirsi un futuro gratificante; g) sennonché tale casa - famiglia (quella dove poi effettivamente essa B. era stata accolta) fosse in realtà una comunità per donne sole (vedi la deposizione dell'Assistente Sociale T.S., responsabile della struttura all'udienza del 20/11/06, avanti al Tribunale: "La struttura è per donne sole"), per il che, in sostanza, era stato prospettato, ancora prima del decreto di adattabilità, il distacco della madre dal figlio; h) in ogni caso, laddove, all'interno di tale struttura si sarebbero dovute perseguire, in essa M.B. - fra l'altro - la comprensione e l'elaborazione delle proprie modalità relazionali in ambito familiare e affettivo, era solamente dopo il decreto di adattabilità che fosse stato finalmente indicato un intervento di tipo psicoterapeutico (vedi la relazione 16.11.06 del Comune di Mirano, secondo la quale, in un incontro di verifica tra gli operatori ed essa M., si era concordato un affiancamento di tipo psicologico teso a facilitare l'elaborazione di passaggi significativi della sua storia ancora bloccanti, come il rapporto con i familiari, in particolare la madre, il rapporto affettivo con P.C., il padre del bambino, la maternità ed il suo recente epilogo), e tutto questo, nonostante che la presenza di "passaggi bloccanti", determinati dalle pregresse relazioni familiari, che impedivano nella M. l'acquisizione di un ruolo genitoriale adulto, fosse stato rilevato già praticamente un anno prima dalla Dott.ssa Pa. nella sua indagine; l) fosse da aggiungere che anche tale percorso terapeutico (che avrebbe potuto, nella stessa valutazione dei Servizi, fare superare ad essa M. B. quei nuclei irrisolti che impedivano o ostacolavano l'assolvimento della propria funzione genitoriale), fosse stato interrotto quasi subito, poiché la M. non ha residenza presso il Comune di Padova; m) fortunatamente un altro tentativo avesse avuto maggiore successo a metà dicembre 2006, ma, purtroppo, però i colloqui che essa M. aveva potuto sostenere erano stati pochi ed insufficienti a creare un significativo rapporto terapeutico, e attualmente gli incontri erano sospesi a causa di difficoltà comunicative ed organizzative tra il Centro e (OMISSIS) e l'Ufficio Interventi Sociali del Comune di (OMISSIS); n) il mancato esame, da parte del giudicante, di tali elementi probatori inerenti alla mancata attuazione di misure di sostegno idonee e pur prospettate dai Servizi Sociali, si rivelasse decisivo, posto che - soprattutto alla luce della L. n. 149 del 2001, che ha approntato modifiche alla L. n. 184 del 1983, (diritto del minore ad una famiglia) - viene valorizzato il diritto del minore a crescere nell'ambito della propria famiglia biologica, che ha carattere prioritario, per cui "nelle situazioni di difficoltà e di emarginazione della famiglia di origine, il recupero di questa, considerata come ambiente familiare, costituisce il mezzo preferenziale per garantire la crescita del bambino, ed impone ai servizi sociali di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino, e posto che compito istituzionale dei Servizi, delineato dallo stesso art. 31 Cost., è quello di intervenire a supporto e assistenza, anche intensa, della famiglia, quando questa si trovi in difficoltà (la stessa legge sull'adozione, valorizzando il legame naturale, si basa su criteri di gradualità e sussidiarietà degli interventi in forza dei quali l'adozione è solo un rimedio ultimo, una extrema ratio, ragion per cui appare essenziale tentare di recuperare il nucleo d'origine, via preferenziale per un'equilibrata crescita del bambino); o) vada considerato come, se è vero che, a mente della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 3, non sussista causa di forza maggiore (transitoria) - la quale esclude la pronuncia di adottabilità - quando i genitori rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali e tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice, e se dunque lo stato di abbandono viene ritenuto sussistente quando le misure di sostegno vengano offerte ma rifiutate (ingiustificatamente), presupposto necessario per la predicabilità dello stato medesimo è che tali misure - valutate come utili e idonee dai servizi stessi (come nella specie) - siano state anzitutto offerte; p) in tanto possa predicarsi lo stato di abbandono del minore, in quanto non ci si sia semplicemente limitati a constatare la inadeguatezza dei genitori ad adempiere i doveri nascenti dal loro status, bensì si sia verificata la impossibilità di costoro di superare tali carenze, pur se adeguatamente aiutati attraverso gli interventi dei Servizi Sociali a ciò istituzionalmente preposti; verifica, quella in parola (contemplata dall'art. 8, comma 1), che risulta impossibile laddove tali interventi, pur peraltro programmati (e quindi valutati come utili o necessari a tali fini dai Servizi stessi), non siano stati posti in essere, in spregio alla realtà per cui "In tema di adozione, la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1, (nel testo sostituito dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) sancisce il diritto del minore di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia naturale, e mira a rendere effettivo questo diritto attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico e sociale, che possano precludere, in essa, una crescita serena del bambino; un rigore che, nella specie, sarebbe del tutto mancato.
(Principi di diritto enunciati ex art. 366 bis c.p.c.:1) Il fatto contestato decisivo consiste nella inattuazione delle misure di sostegno. Ragioni della decisività; La considerazione della inattuazione di interventi idonei di sostegno, e in specie il percorso psico-terapeutico pur prospettato e programmato (in ritardo) dai Servizi, avrebbe portato certamente ad una decisione diversa, favorevole all'impugnante, dato che lo stato di abbandono non può essere predicato quando sia possibile prevenirlo o eliderlo mediante idonee misure di sostegno, non rifiutate dal genitore;
intervento necessariamente imposto dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, commi 2 e 3, come modificato dalla L. n. 149 del 2001.
2) dica la Ecc.ma Corte se il giudizio necessariamente rigoroso sulla sussistenza dello stato non transeunte di abbandono morale e materiale del minore non possa ritenersi conseguito allorché i competenti Servizi a ciò istituzionalmente preposti non siano intervenuti con misure di sostegno e aiuto dei genitori in difficoltà - misure che siano idonee e considerate tali dai Servizi medesimi che pure le avevano predisposte - così da consentire la verifica, anche al Giudice, se grazie a tali misure gli stessi genitori siano capaci di conseguire una adeguatezza ai compiti parentali, garantendo al minore un nucleo minimo di cure tali da elidere lo stato di abbandono").
I due motivi non possono trovare alcun ingresso.Va innanzitutto evidenziato un limite - ad essi evidentemente intrinseco - rappresentato dallo sviamento della portata innovativa della L. n. 149 del 2001; sviamento il quale viene condotto fino al punto di voler impropriamente leggere, nel nucleo familiare biologico di provenienza (e non nel minore), i soggetti avuti in considerazione e tutelati nell'ambito della disciplina dell'adozione.
Più in particolare, va ribadito come il profilo per cui, indubbiamente, la legge abbia inteso particolarmente richiamare la considerazione sulla doverosa esigenza di concomitante attenzione ai valori della c.d. "famiglia biologica" intesa come formazione naturale depositaria tendenziale dei valori culturali di riferimento, non si traduca certo in uno svuotamento delle perduranti primarietà e centralità delle esigenze dell'individuo-minore di realizzare a pieno le sue potenzialità; realizzazione i cui tempi - nelle ipotesi nelle quali vengano riscontrate gravi (e non transitorie) inadeguatezze nella famiglia biologica di origine - non possono di certo parametrarsi a quelli dettati dalle eventuali attività di recupero storico sociale del nucleo familiare.
Ne consegue che, se risulti innegabile che, nella volontà della legge, la dichiarazione dello stato di adottabilità debba essere preceduta dalla previa e rigorosa verifica delle eventuali possibilità di recupero della famiglia biologica di provenienza, sia altrettanto inoppugnabile come la eventuale favorevole prognosi si debba - a meno di non pervenire ad una quanto mai opinabile concezione che risolva, vincoli e dissolva ineluttabilmente le ragioni della personalità del minore in quelle del nucleo biologico originario - rendere compatibile con i cruciali e (ben diversamente stringenti) tempi dettati dai delicati meccanismi dell'età evolutiva del minore, i quali - come è noto - mal sopportano inadeguatezze e tempi morti eccessivi.
Ciò doverosamente chiarito e premesso in punto di diritto, va concomitantemente rilevato come, nello specifico, i due motivi non vadano oltre lo stadio di proposizioni accentuatamente generali ed astratte, ed, anche quando si mostrino più attente ai contenuti più specifici della decisione, non superino il livello di una inammissibile mera silloge di singoli passi e spezzoni - del tutto decontestualizzati - di atti processuali e non, che si pretenderebbero di offrire alla riconsiderazione diretta di questa Corte nell'ambito di un'inammissibile sindacato di merito in ordine alle conclusioni tratte - con percorso motivazionale di per sé immune da vizi logico giuridici - allorché ha ritenuto che, nel concreto, si configurassero gli estremi per la dichiarazione dello "stato di adattabilità" Non miglior sorte meritano il terzo ed il quarto motivo (ancora una volta, da trattare unitariamente data la loro intima connessione), con i quali, nel denunciare violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, per apparente motivazione su un fatto decisivo controverso: la inadeguatezza irreversibile della capacità genitoriale della sig.ra M., nonché violazione del combinato disposto della L. n. 184 del 1983, art. 1, e art. 8, comma 1, sotto altro profilo, la ricorrente lamenta come: a) sulla supposta inidoneità non transitoria di essa sig.ra M. ad assolvere alle sue funzioni genitoriali, la sentenza della Corte d'Appello di Venezia si affidi ad argomenti sviluppati in termini del tutto succinti, e, la motivazione, nel suo far esclusivo riferimento alle relazioni trasmesse dai Servizi Sociali, si riveli in realtà, meramente apparente, tanto più tenuto conto del profilo per cui le relazioni in questione sarebbero - a dire della ricorrente - state redatte, o nella fase in cui i Servizi avevano compiuto un intervento puramente osservativo, antecedente al decreto di adottabilità, quando ancora non era stato nemmeno previsto un serio intervento strategico di tipo psicoterapico (intervento che in seguito, comunque, pur previsto, non era stato attuato), e in cui quindi non si era compiuta alcuna valutazione sulla capacità della sig.ra M. di recuperare le sue competenze genitoriali, o quando era ormai già intervenuto il distacco del bambino dalla madre, in seguito al decreto di adottabilità (come era accaduto nel caso dell'ultima relazione, la quale era stata stesa quando ormai la madre era stata già accolta presso la (OMISSIS), per "l'esigenza di continuare - terminata l'esperienza presso la struttura (OMISSIS) del raggruppamento (OMISSIS) - un percorso teso alla valorizzazione di sé in quanto donna in un contesto non incentrato sullo sviluppo delle capacità genitoriali" (vedi la relazione del 13 aprile 2007 della quale la ricorrente riterrebbe possibile ed auspicabile un esame diretto da parte di questa Ecc.ma Corte, visto il ruolo affidato, ad essa, dalla Corte territoriale); b) la ulteriore argomentazione sviluppata in sentenza - secondo cui il riconoscimento dei progressi compiuti dall'appellante nella propria sfera personale non apparisse in contrasto con detta valutazione negativa sulla idoneità del ruolo genitoriale, e ciò in quanto le principali carenze riscontrate nella stessa attenevano alle capacità organizzative e di gestione della propria vita ed alla sua attitudine a comprendere le esigenze del minore, aspetti cioé che potevano incidere direttamente ed in modo pregiudizievole nel rapporto madre- figlio - si porrebbe in chiaro contrasto con l'insegnamento consacrato nella sentenza n. 10126/06 di questa Corte, secondo il quale "In tema di adozione, la L. n. 184 del 1983, art. 1, (nel testo sostituito dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) sancisce il diritto del minore di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia naturale, e mira a rendere effettivo questo diritto attraverso la predisposizione di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico o sociale, che possano precludere, in essa, una crescita serena del bambino. In Questo contesto - di valorizzazione e di recupero, finché è possibile, del legame di sangue ed anche dei vincoli, come quelli dei nonni, che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento nella Costituzione (art. 29) - si rende necessario un particolare rigore, nel giudice del merito, nella valutazione della situazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, ad essa potendosi ricorrere solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte degli stretti congiunti (ed a prescindere dalla imputabilità a costoro di detta situazione), tale da pregiudicare, in modo grave e non transeunte, lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore stesso, e sempre che detta situazione sia accertata in concreto sulla base di riscontri obbiettivi, non potendo la verifica dello stato di abbandono del minore essere rimessa ad una valutazione astratta, compiuta ex ante alla stregua di un giudizio prognostico fondato su indizi privi di valenza assoluta"; c) come, ancora più in particolare, la Corte territoriale non abbia fatto, di certo, corretta applicazione di tale principio, nel momento in cui sembrerebbe avere fondato la sua decisione relativa alla ritenuta sussistenza dello stato abbandonico, su quello che resterebbe un giudizio de futuro (una valutazione prognostica ex ante) sulla mera possibilità ("aspetti che cioè possono incidere direttamente e in modo pregiudizievole nel rapporto - madre-figlia") che si verifichi un pregiudizio al minore a causa di una inidoneità della madre ad organizzarsi ovvero un non meglio precisato deficit di empatia; elementi, questi, i quali non sembrerebbero poter assurgere - ad una retta interpretazione della norma di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 1, - a indizi di valenza assoluta, tali da far reputare sussistente un pericolo (come probabilità, e non mera eventualità o possibilità) di danni gravi ed irreversibili al minore (quesito formulato ex art. 366 bis c.p.c.: dica la Corte se "si rende necessario un particolare rigore, nel giudice del merito, nella valutazione della situazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, ad essa potendosi ricorrere solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte degli stretti congiunti (ed a prescindere dalla imputabilità a costoro di detta situazione) che determini un rilevante pericolo, e non una mera possibilità o eventualità di danno grave e irreversibile per lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore stesso, e sempre che detta situazione sia accertata in concreto sulla base di riscontri obbiettivi, non potendo la verifica dello stato di abbandono del minore essere rimessa ad una valutazione astratta, compiuta ex ante alla stregua di un giudizio prognostico fondato su indizi privi di valenza assoluta") Più in particolare, ribadito il - già illustrato in sede di scrutinio dei primi due motivi - principio di diritto già dianzi enunciato, questa Corte non può aggiuntivamente fare altro che: 1) rilevare, ancora una volta, come - al di là dei vizi da essa formalmente denunciati - la ricorrente, anche con i motivi qui in esame, non vada oltre la mera lettura "alternativa" degli atti di causa ed il tentativo (rendentesi particolarmente tangibile nel momento in cui viene auspicato l'esame diretto di una "relazione", e ove solo si consideri l'avvenuta allegazione - al ricorso - di tutta una lunga serie di documenti) di provocare un inammissibile sindacato di merito di questa Corte in ordine alle conclusioni fattuali tratte - con percorso motivazionale ancora una volta immune da vizi logico giuridici - dalla Corte territoriale in ordine al ricorso, nella concretezza della fattispecie, dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adattabilità; 2) sottolineare come non trovi riscontro alcuno - alla lettura della impugnata sentenza - il profilo per cui la conclusione relativa alla sussistenza del dichiarato stato di adottabilità risulti affidata - in sentenza - ad un giudizio di natura genericamente prognostico sulla mera possibilità ed eventualità dell'instaurarsi di un pregiudizio irreparabile dello sviluppo fisio-psichico - per il minore - in ragione delle inadeguatezze della ricorrente e del suo nucleo familiare.
Ancora minore ingresso possono trovare gli ultimi tre motivi (anch'essi da trattare unitariamente, stante la loro intima connessione), con i quali, nel denunciare insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo, nonché violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, per apparente motivazione su un fatto decisivo controverso, nonché violazione del combinato disposto della L. n. 184 del 1983, art. 1, commi 1, 2 e 3, art. 8, commi 1 e 3, e art. 31 Cost., commi 1 e 2, la ricorrente lamenta come: a) la sentenza della Corte d'Appello di Venezia, nel fare - in ordine alle condizioni del minore P.A. - riferimento all'ultima relazione trasmessa dal Servizio sociale il 16.04.2007 (evidenziante che permanevano tuttora apprezzabili ritardi nello sviluppo psico-fisico di A. che, all'età di quasi quattro anni, pronunciava soltanto alcune parole e prediligeva esprimersi con suoni inarticolati, presentava, inoltre, ancora incertezze nella deambulazione, nonché appariva scoordinato nei movimenti e - pur progredito - comunque bisognoso di relazioni esclusive e stabili e di una stimolazione mirata e supportata da interventi professionali sia per quel che riguardava l'area del linguaggio che quella dello sviluppo motorio), abbia in realtà finito per ipostatizzare il quadro da essa delineato, e ciò in quanto non indicherebbe affatto alcun ulteriore elemento da cui desumere la probabile irrecuperabilità (o per converso, recuperabilità) di tale condizione, né offrirebbe elementi utili a chiarire sia l'esito (ed i tempi) di tali interventi, sia i termini degli stessi, con particolare riguardo alla loro praticabilità solo in caso di allontanamento della madre dal minore; b) tale carenza motivazionale si rivelerebbe ancora più inarcata, ove si consideri che la stessa Corte D'Appello di Venezia ha riconosciuto, sulla scorta della relazione 16.04.2007 medesima, che il bambino era comunque "progredito", nonché che le situazioni rilevate non integravano lo stato di abbandono; c) l'affermazione della Corte di Appello secondo la quale "A. necessita, invece, urgentemente dell'inserimento in un ambiente familiare che lo stimoli e ne curi adeguatamente la crescita, mentre il percorso di recupero intrapreso dalla madre non appare compatibile, anche per il tempo ancora occorrente, con le immediate esigenze del figlio", dovrebbe intendersi come del tutto apodittica e del tutto priva di indicazioni relative agli elementi fondanti il convincimento che il percorso intrapreso da essa M. (in cui era compreso anche l'intervento psicoterapeutico, programmato e però sospeso per problemi organizzativi e non per rifiuto della signora a seguirlo) richiederebbe "lungo tempo"; d) anche a voler ritenere adeguatamente motivato l'apprezzamento della Corte territoriale circa la presumibile lunga durata del percorso di recupero intrapreso dalla sig.ra M. (durata tale da renderlo incompatibile con le esigenze del minore), verrebbe comunque in rilievo la violazione delle norme in rubrica indicate, posto che la situazione di abbandono del minore, al fine della dichiarazione di adottabilità, non è desumibile dalla durata verosimilmente lunga dell'intervento a sostegno del genitore o del nucleo familiare, e nemmeno dalle difficoltà prospettabili con riguardo alla sua realizzazione, occorrendo che tale intervento trasmodi in una totale e non transeunte supplenza del ruolo genitoriale (quesito di diritto formulato ex art. 366 bis c.p.c.; dica la Ecc.ma Corte di Cassazione se la situazione di abbandono del minore, al fine della dichiarazione di adottabilità, non è desumibile dalla durata verosimilmente lunga dell'intervento a sostegno, e nemmeno dalle difficoltà prospettabili con riguardo alla sua realizzazione, non potendo la loro utilizzabilità essere negata solo perché le stesse misure di sostegno debbano essere di tipo continuativo o richiedano vigilanza costante nel tempo, occorrendo piuttosto, a tal fine, che raggiungano un livello qualitativo e quantitativo tale da configurare completa l'estromissione dei compiti genitoriali).
Anche in relazione ai motivi qui in esame, va, infatti, osservato - intanto - come si riproponga, alla considerazione, il fenomeno di una certa indulgenza della parte ricorrente ad una lettura sostanzialmente parziale dei contenuti della sentenza impugnata (e la circostanza si rende a particolarmente rilevante - ad esempio - nel momento in cui la ricorrente finisce per radicalizzare - all'evidente fine di svuotarla - la portata del riferimento contenuto in sentenza alle difficoltà di linguaggio del piccolo W., e per obliterare i concomitanti riferimenti effettuati, in sentenza, a tutto un più complessivo quadro aspetti di ritardo ben altrimenti preoccupanti);
indulgenza commista ad un'altrettanto radicata, sotterranea convinzione relativa ad una certa componente di ineluttabile fatalismo che dovrebbe chiamare - se del caso - i minori a sacrificarsi, sempre e comunque, sull'altare delle esigenze del nucleo familiare biologico.
Ciò chiarito e premesso, nonché sottolineato aggiuntivamente come, non possano che ribadirsi - anche in relazione agli ultimi tre motivi - i principi di diritto già affermati in sede di esame dei primi due motivi del ricorso, non resta che ribadire - per il resto - le considerazioni già svolte in relazione ai primi quattro motivi del ricorso, e relative al profilo per cui - al di là dei vizi formalmente denunciati - la ricorrente, anche con gli ultimi tre motivi qui in esame, non vada oltre la mera lettura "alternativa" degli atti di causa ed il tentativo di provocare un del tutto inammissibile sindacato di merito di questa Corte in ordine alle conclusioni fattuali tratte - con percorso motivazionale ancora una volta immune da vizi logico giuridici - dalla Corte territoriale in ordine al ricorso, nella concretezza della fattispecie, dei presupposti per lo stato di adottabilità (con particolare riguardo, nella specie, ai profili relativi al rischio di pregiudizio irreparabile dello sviluppo fisio-psichico del minore e della incompatibilità dei tempi di un eventuale recupero della ricorrente).
Il ricorso va pertanto rigettato.Non vanno tuttavia assunte pronunce sulle spese, nessun intimato avendo resistito in questa sede.
P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso.Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 27 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2008CONDIVIDI
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