Se la madre è immatura, il minore è adottabile
Cassazione civile , sez. I, sentenza 26.07.2013 n° 18132
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 267 volte dal 30/09/2013
Nei casi in cui un genitore si riveli incapace di soddisfare le necessità anche più semplici di accudimento dei figli, a causa della personalità “immatura” che determina gravissimi problemi di ritardo nello sviluppo psicofisico dei bambini, occorre dichiarare lo stato di abbandono dei minori e conseguentemente l’adottabilità degli stessi. La legge n. 184/1983, all’art. 1, proclama il diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ma solo fino a quando ciò non comporti conseguenze gravi ed irreversibili sul suo sviluppo psicofisico. Qualora, infatti, si accerti la situazione di abbandono, intesa come mancanza di assistenza materiale e morale, deve essere dichiarato lo stato di adottabilità del minore che potrà essere accudito da un’altra famiglia. La recente sentenza della Cassazione si è occupata di un caso di una madre che era risultata “incapace di interpretare i bisogni delle figlie” e di soddisfare le necessità anche più semplici di accudimento. La donna aveva dimostrato di avere una personalità immatura che l’aveva portata a non saper prendere le distanze dal marito violento e totalmente disinteressato verso le figlie. Durante la permanenza presso una comunità di accoglienza la donna si era inoltre allontanata abbandonando lì le figlie. Secondo gli accertamenti eseguiti dal Tribunale per i Minorenni di Torino l’atteggiamento materno aveva provocato gravissimi problemi di ritardo nello sviluppo delle bambine, tanto che erano già stati disposti affidamenti temporanei ad un’altra coppia di coniugi presso cui le minori avevano compito notevoli miglioramenti. La donna non ottiene ragione neppure in appello e ricorre in Cassazione sostenendo la violazione delle norme di diritto della legge sull’adozione, per la tutela del legame con la famiglia di origine, e della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, in particolare l’art. 8 che enuncia il diritto al rispetto della vita privata e familiare da parte dello Stato. La Corte ritiene infondato il ricorso poiché il diritto del minore ad essere allevato dalla famiglia di origine cede il passo davanti all’evidente pregiudizio che deriva dal rapporto genitoriale in situazioni di criticità. La giurisprudenza della Cassazione ritiene che lo stato di abbandono ricorre non solo in presenza di un rifiuto intenzionale di assolvere i doveri genitoriali, ma anche quando i genitori non siano in grado di garantire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità purché questa situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio (Cass. Civ. n. 5013/2013). Il giudice dovrà utilizzare un particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, che deve fondarsi su anomalie gravi del carattere e della personalità dei genitori, comprese eventuali condizioni patologiche di natura mentale che compromettano la capacità di allevare ed educare i figli (Cass. Civ. n. 3988/2002). L’art. 8 CEDU tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, ma ammette che in casi di necessità, ancorchè eccezionali (tra cui la situazione di abbandono) possa essere interrotto il legame con la famiglia di origine. La Convenzione, firmata e ratificata dall’Italia, dichiara che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Anche nella normativa sovranazionale, a partire dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 settembre 1989, si prevede che il diritto del minore di intrattenere e conservare relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, deve essere valutato come non contrario o pregiudizievole al suo interesse.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 29 aprile - 26 luglio 2013, n. 18132
Presidente Salmè – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Il Tribunale per i Minorenni di Torino, con sentenza in data 28 luglio 2010, dichiarava l’adottabilità di B.E.M. e B.C.M.
Proponeva impugnazione la madre, M.D.
Si costituiva il “difensore” delle minori, chiedendo il rigetto dello appello.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza in data 30/9 - 31/7/2012, rigettava l’appello.
Ricorre per cassazione la madre della minore.
Non si costituiscono le altre parti.
Motivo della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione di “norme di diritto” (nella trattazione del motivo si fa riferimento all’art. 1 e 15 L. n. 184/1983). Con il secondo, violazione di norme internazionali e in particolare dell’art. 8 CEDU. Con il terzo, vizio di motivazione in ordine allo stato di abbandono delle minori, alla personalità della madre, alla valutazione della CTU espletata.
I motivi appaiono infondati.
L’art. 1 L. n. 184/1983, enuncia il diritto del minore di vivere nella propria famiglia di origine, ma fino a che tale permanenza sia compatibile con il suo armonico sviluppo psicofisico. L’art. 15 prevedere che lo stato di adottabilità sia dichiarato quando, anche dopo l’audizione dei genitori, emerga il persistere della mancanza di assistenza materiale e morale e la non disponibilità ad ovviarvi.
L’art. 8 CEDU, come del resto precisa la stessa ricorrente, enuncia il diritto al rispetto della vita privata e famigliare, ammettendo peraltro che in casi di necessità, ancorchè eccezionali (e tra essi va annoverato sicuramente l’abbandono) possa interrompersi ogni rapporto con la famiglia di origine.
Quanto alla motivazione della sentenza impugnata, emerge palesemente lo stato di abbandono delle minori e la valutazione fortemente negativa della madre, attraverso le numerose relazioni dei servizi sociali, del servizio neuropsichiatrico infantile e della comunità di accoglienza della minore e della madre, la quale aveva difficoltà a costituire un rapporto affettivo con le minori e di garantire loro un adeguato accudimento, e si era poi allontanata dalla comunità, “abbandonando” le bambine.
La CTU espletata parla di personalità immatura della M., che non aveva saputo prendere le distanze dal marito, violento e totalmente disinteressato verso le figlie, presentava notevole difficoltà nell’interpretare i bisogni delle figlie stesse e di soddisfare le necessità anche più semplici di accudimento; si esprimeva dunque una prognosi negativa sulla possibile evoluzione della madre. Tale situazione - secondo la CTU, richiamata dalla sentenza impugnata - aveva provocato gravissimi problemi di ritardo nello sviluppo delle bambine, che erano venuti meno con l’affidamento provvisorio ad una coppia di coniugi.
Va conclusivamente rigettato il ricorso.
Nulla sulle spese, non essendosi costituite le altre parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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