Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione che con la pronuncia 10 luglio del 2013, n. 17096, conformemente ai giudici di primo e secondo grado, ha respinto il ricorso dei genitori contro la dichiarazione di adottabilità del loro figlio. I genitori lamentavano il fatto che la sentenza fosse fondata su presupposti erronei e carenti argomentazioni dolendosi in particolare che non fosse stata presa in considerazione né esplorata l’ipotesi dell’affidamento familiare ai parenti; in buona sostanza ritenevano che i giudici avessero male applicato gli artt. 8 e 12 della L. n. 184/1983. In realtà, da verifiche e valutazioni aderenti alle regole normative, adeguatamente motivate e suffragate dalle risultanze del lungo iter giudiziario, è emersa sia la difficile situazione economica che l’incapacità genitoriale oltre alla mancanza di nuclei parentali idonei a sostenere la coppia o a sostituirla temporaneamente. In particolare, non è stato riscontrato un rapporto significativo tra minori e parenti tale da poter procede ad un affidamento familiare. La giurisprudenza dominante, a tal proposito, richiede un legame affettivo che presenti manifestazioni d’interesse ed assistenza verso il minore. Tale obbligo, non può discendere dalla mera circostanza che il parente effettui visite sporadiche ma è necessario un quid pluris che nel caso di specie non sussisteva. Per quanto riguarda, invece, la situazione di indigenza familiare, la Corte territoriale ha correttamente applicato l’art. 1 della suddetta legge. I genitori, infatti, sono stati aiutati attraverso fattive e durevoli iniziative, tramite i servizi sociali, e che non sono state valutate come di ostacolo all’esercizio del diritto del minore stesso alla propria famiglia così come, peraltro richiede il comma 2 dell’art. 1, L. n. 184/1983. Tuttavia, nonostante gli aiuti economici e il sostegno dei servizi sociali i genitori non sono stati in grado di assicurare al minore accudimento, affetto e sostegno psicologico, in modo stabile. Per questi motivi la Suprema Corte ha respinto il ricorso dei genitori ritenendo che bisognasse tutelare l’interesse del minore il quale affetto da un lieve deficit cognitivo necessitava di particolari cure ed attenzioni. Inoltre, la situazione delicata in cui si trovava il minore “non consentiva, infatti, di procrastinare oltre la procedura in attesa di un futuro ed eventuale stabile recupero di una sufficiente idoneità genitoriale, al quale non avevano condotto neppure anni di importanti e costanti interventi dei servizi pubblici”. In definitiva, gli Ermellini, dopo un attento esame, hanno ritenuto corrette le argomentazione dei giudici di primo e secondo grado, dichiarando così lo stato di adottabilità del minore. Nel caso in esame, infatti, non ci si trovava di fronte ad una causa di forza maggiore di carattere transitorio, cioè un ostacolo esterno posto dalla natura, dall’ambiente, da un terzo che s’imponeva alla volontà del genitore. E’ emerso con tutta evidenza, invece, lo stato di abbandono, che ai sensi dell’art. 8, L. 184/1983 è presupposto necessario per la dichiarazione di adottabilità del minore, comportando il sacrificio dell’esigenza primaria di crescita in seno alla famiglia biologica. Tale dichiarazione è, infatti, consentita dalla legge solo quando la vita offertagli dai genitori naturali sia talmente inadeguata da far considerare la rescissione del legame familiare come l’unico strumento adatto ad evitargli un più grave pregiudizio e ad assicurargli assistenza e stabilità affettiva in sostituzione di quella negatagli nella famiglia naturale.