Attribuzioni patrimoniali tra coniugi o conviventi: quando il rimborso?
Tribunale Brindisi, sentenza 26.05.2014
Avv. Angelo Forte
di Modugno, BA
Letto 417 volte dal 19/11/2014
L’eventuale incremento di valore, dovuto ad esborsi del convivente non proprietario, dell’immobile di cui beneficiano il coniuge o il convivente proprietario, non può essere giustificato dall’adempimento degli obblighi morali di convivenza o giuridici (di assistenza morale e materiale e di collaborazione) per la famiglia fondata sul matrimonio, soprattutto quando si tratta di spese “straordinarie” rispetto alle spese, abitualmente sopportate da una famiglia in base al tenore di vita. Se pertanto gli esborsi siano apprezzabilmente superiori alle condizioni economiche di chi li effettua, oppure sproporzionati rispetto al tenore familiare complessivo, il venir meno della coabitazione, quale presupposto per una specifica destinazione dell’utilitas al bene familiare, giustifica la restituzione di quell’attribuzione patrimoniale indiretta o del suo equivalente monetario, proprio perché viene meno il dovere di adempiere un dovere giuridico o morale.
Sentenza 26 maggio 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANA
Il Tribunale di Brindisi, in persona del giudice Dott. Antonio Ivan Natali,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 317/2005 del Ruolo Generale promossa
DA
G., rappresentato e difeso dall’Avv. OMISSIS
ATTRICE-
CONTRO
C., rappresentata e difesa dall’Avv. OMISSIS
-CONVENUTA-
FATTO E DIRITTO
1. Sulla domanda di simulazione dell’atto di compravendita: profili interpretativi
Nelle note depositate il 6/6/05, l’attore ha rinunciato alla domanda di accertamento della simulazione del contratto di compravendita dell’immobile di via Fara Forni n. 9 con conseguente cessazione della materia del contendere (seppur parziale).
Come noto, la simulazione relativa può riguardare:
a) la causa del contratto Þ nella vendita simulata che dissimuli una donazione, si crea un’apparenza di causa onerosa, che cela una causa gratuita;
b) l’oggetto del contratto Þ si simula una cessione d’azienda, mentre il contratto dissimulato è una cessione di appalti pubblici;
c) l’identità di una parte Þ interposizione fittizia, che è una fattispecie di simulazione relativa, concernente l’identità di una delle parti contrattuali. Ad es., si finge una vendita tra T e X, mentre il contratto dissimulato è una vendita tra T e C.
Nondimeno, l’interposizione fittizia - quale ipotesi invocata nel caso di specie - presuppone un accordo trilaterale: all’accordo simulatorio devono partecipare tutti e tre i contraenti.
Tale circostanza, invero, non è stata neanche allegata da parte attrice.
2. Sull’asserita nullità della donazione indiretta per mancanza della causa
Al punto 2 dell’atto di citazione, l’attore ammette che l’acquisto della casa di via Forni è stato oggetto di una donazione a favore della moglie.
Nondimeno, è stato confermato dai testi escussi durante il giudizio, che, sul conto corrente (peraltro, cointestato), sono confluiti anche gli importi erogati dai genitori della C. (v. copia dei bonifici effettuati dai genitori della convenuta in atti).
Tali circostanze sono state confermate dalle dichiarazioni dei testi escussi.
In particolare, la teste D. T., sentita alla udienza del 18/2/08 ha confermato le circostanze riportate nei capitoli di prova di parte convenuta dichiarando che:
“Abbiamo aiutato economicamente diverse volte mia figlia, C. e il marito G.: in particolare abbiamo dato loro la somma di 50 milioni di lire in contanti per la ristrutturazione della casa che essi avevano acquistato a Brindisi”;
“Non ci sono stati restituiti anche perché non ne avevamo bisogno. Altre volte, più di due o tre, abbiamo dato somme che ogni volta ammontavano a un milione, un milione e mezzo, anche 2 milioni, a nostra figlia, per le esigenze della famiglia, nei periodi in cui il marito era lontano da casa perché imbarcato; chiaramente neppure questi soldi sono stati restituiti”;
“Talora abbiamo fatto dei bonifici sul conto corrente presso la Banca 121, non ricordo se detto conto era intestato a mia figlia, a mio genero o a tutti e due. Anche in questi casi venivano inviate somme di 1 milione, 1 milione e mezzo. I bonifici se mal non ricordo erano per 2, 3,4 volte”;
“Anche questi bonifici venivano fatti per i bisogni familiari”.
A tal riguardo, lo stesso attore, G. in sede di interrogatorio formale, alla udienza dell’1/10/07 ha confermato che, nel periodo dicembre 2000/maggio 2002, i genitori della sig.ra C.hanno effettuato, tramite bonifici bancari sul suddetto conto corrente, versamenti per circa € 25.000,00, dichiarando testualmente: “Non è vera nel modo più assoluto la circostanza di cui al punto 4 della memoria sopra citata, come donazione; E’ vero il versamento dei bonifici per un totale di € 25.000,00, preciso tuttavia che si trattava di un prestito della durata di circa tre mesi e io ho restituito la somma maggiorata di lire 500. La restituzione è avvenuta a mezzo bonifici bancari con accredito su conto corrente intestato ai miei suoceri”;
Nondimeno, nessun riscontro documentale è stato fornito dall’attore circa la restituzione di tali somme.
A parte la presunzione di comproprietà che inerisce alle somme depositate sul conto corrente cointestato ad entrambi i coniugi – presunzione, invero, non superata dall’attore – deve ritenersi che l’acquisto dell’immobile de quo sia avvenuto tramite denaro, proveniente, seppur in misura diversa, da entrambi i coniugi, con le somme depositate sul conto corrente cointestato, dove risultano confluite anche le somme donate dai genitori della Cristalli.
Dunque, solo nei limiti in cui l’acquisto è avvenuto con denaro del marito, è configurabile la fattispecie della donazione indiretta, che è quella che si realizza attraverso l’acquisto di un bene da parte di un soggetto, con denaro messo a disposizione da un altro soggetto.
Come noto, a differenza della donazione diretta, in quella indiretta, l’atto di liberalità viene realizzato ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 cod. civ.. Per tale motivo non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente la osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità. Ed, infatti, per giurisprudenza consolidata: ”Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso e non del denaro” .
In particolare, nel caso de quo giova evidenziare, come, prima della stipula del contratto definitivo, il sig. G. abbia sottoscritto, in data 3/2/01, un contratto preliminare di compravendita, in atti.
Dunque, risulta richiamabile il principio interpretativo secondo cui: “Allorquando il promissario acquirente, in un preliminare di compravendita di un immobile, abbia sostituito a sé altro soggetto nel contratto definitivo, e fornito allo stesso il denaro per il pagamento del prezzo, si realizza una fattispecie nella quale va ravvisata la donazione indiretta dell’immobile e non quella diretta del denaro. Infatti, nel rapporto costituito con il preliminare, l’oggetto economico del futuro contratto definitivo costituisce una posizione giuridica attiva acquisita al patrimonio del promissario acquirente, con la conseguenza che l’atto con cui quest’ultimo dispone del proprio diritto potestativo alla conclusione della compravendita, unitamente alla corresponsione del denaro per il pagamento del prezzo, determina il trasferimento della disponibilità giuridica del bene” (Cass. Civ. Sez. II 15/12/1984 n. 6581).
Deve, per contro, escludersi la qualificazione della fattispecie, quale donazione diretta del denaro.
Orbene, l’attore sostiene che il contratto di donazione indiretta de quo, sarebbe nullo perché mancherebbe la sua causa tipica e, cioè, la volontà di donare da parte dell’attore e di beneficiarne da parte della moglie.
L’assunto attoreo non può essere condiviso.
La donazione indiretta, infatti - al pari della donazione diretta - ha la sua causa nella liberalità e, cioè, nella consapevole coscienza da parte del donante di compiere, a favore del donatario, una attribuzione patrimoniale “nullo iure cogente”, non essendo il comportamento determinato da nessun dovere o vincolo “giuridico” o extragiuridico.
Orbene, in virtù delle risultanze dell’espletata istruttoria, deve ritenersi che il G., nel momento in cui decideva di intestare l’immobile alla moglie, con la quale era in regime di separazione legale, fosse perfettamente consapevole di effettuare una attribuzione gratuita in suo favore che avrebbe comportato un arricchimento della stessa.
Tali elementi, e cioè, la consapevolezza di provocare un arricchimento del destinatario unitamente all’assenza di un qualsiasi dovere, sono da ritenersi, di per sé, sufficienti per ritenere la sussistenza dello spirito di liberalità e, pertanto, per affermare che, nel caso di specie, si è realizzata la causa tipica del contratto di donazione.
Peraltro, così ricostruito, sul piano oggettivo, l’elemento psicologico della donazione, deve ritenersi irrilevante, ai fini del thema decidendum, l’assunto secondo cui l’attore avrebbe “acconsentito a che l’immobile fosse intestato alla moglie, solo per beneficiare della riduzione fiscale, afferente al regime previsto per l’acquisto della prima casa e non certamente per spirito di liberalità”.
Peraltro, la volontà “soggettiva” dell’attore di effettuare una donazione a favore della moglie è stata confermata, altresì, dalla teste E., proprietaria e venditrice dell’immobile di via Fara Forni che, escussa alla udienza del 29/5/2008 dichiarava: “In occasione della stipula notarile di vendita della casa di abitazione sita in Brindisi alla via Fara Forni 9, ricordo che la sig.ra C.mi disse che si trattava di un regalo che le faceva il marito in occasione del suo compleanno che cadeva in quei giorni”;
In senso contrario all’assunto attoreo depongono, inoltre, le dichiarazioni rese dalla teste D. T. che, alla udienza del 18/2/08 ha dichiarato quanto segue: “Due giorni dopo l’acquisto, il G. ci telefonò dicendo che aveva intestato la casa di via Fara Forni soltanto alla moglie per farle un regalo di compleanno che cadeva appunto il 1° aprile”.
3. Sulla domanda di revocazione della donazione
L’attore chiede la revocazione della donazione de qua per ingratitudine. Sostiene, infatti, che la sig.ra C.avrebbe posto in essere uno dei fatti previsti dall’art. 801 cod. civ.
In particolare, si sarebbe resa colpevole di ingiuria grave verso il donante per il fatto di aver intrecciato, in costanza di matrimonio, una relazione adulterina ed, inoltre, in occasione del deposito del ricorso per separazione giudiziale, per aver descritto il G. “come un marito violento e pericoloso, che più volte l’aveva picchiata, tanto da spingerla a temere per l’incolumità propria e dei figli”.
In ordine a tale ultimo punto, deve ritenersi la tardività della richiesta di parte attrice che, nell’atto di citazione notificato il 27/1/2005, vorrebbe fondare la sua richiesta di revoca della donazione, per fatti che sarebbero a conoscenza, almeno, dal 4/9/03 e, cioè, dalla data di notifica al G., del ricorso per separazione giudiziale.
Come noto, l’art. 802 cod. civ., al 1° co., fissa inderogabilmente il termine di un anno, dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione, per la proposizione della domanda di revocazione.
Sotto altro profilo, quanto affermato dalla sig.ra Cristalli, in occasione del ricorso per separazione giudiziale, ha trovato sostanziale conferma nelle dichiarazioni testimoniali rese dai figli della coppia G. Aldo e Antonio.
In particolare, quest’ultimo alla udienza del 18/2/08, confermava le circostanze relative alla rottura del matrimonio trai i genitori ed i maltrattamenti subiti dalla madre: “Durante il matrimonio i miei genitori litigavano continuamente e spesso le liti sfociavano anche in lesioni fisiche e maltrattamenti nei confronti di mia madre”; “Qualche volta dette liti si verificavano in quanto mia madre voleva proteggere me e mio fratello da aggressioni fisiche ai nostri danni”;
“Da quando io mi ricordo questi litigi, che poi sfociavano in aggressioni, si innescavano per motivi futili”;
“Queste cose accadevano nel periodo in cui abbiamo abitato a Brindisi ed anche nell’ultimo periodo a Taranto”;
“Per lividi e percosse mia madre non si è mai recata al pronto Soccorso, tuttavia, ha dovuto ricorrere alle cure dei medici per crisi depressive causate dal clima di violenza che c’era in famiglia”;
“Talora, in seguito a queste crisi depressive mio padre si sentiva anche con i suoceri lamentandosi del fatto che non riusciva a spiegarsi questa depressione, nonostante avesse intestato la casa di Brindisi alla moglie poco prima del suo compleanno”.
La teste D. T., sentita su tale punto, alla udienza del 18/2/08, ha dichiarato: “In costanza di matrimonio mia figlia si lamentava con noi per maltrattamenti subiti dal marito, sia percosse che aggressioni verbali; preciso che durante il matrimonio nostra figlia non ci diceva nulla di questi maltrattamenti che poi abbiamo appreso alla fine, circa due anni dopo l’acquisto della casa…..Alla fine nostra figlia ci comunicò che aveva deciso di separarsi in quanto non sopportava più i maltrattamenti del marito”.
Cio’ premesso, nel caso di specie, non può dirsi acquisita prova sufficiente di fatti e circostanze idonee ad integrare l’ingiuria grave e, in particolare, le prove sia della relazione clandestina intrattenuta dalla convenuta, sia del dedotto carattere ingiurioso della sua condotta.
Infatti, al riguardo, i testi di parte attrice hanno confermato la relazione sentimentale tra la C.ed il C., offrendo elementi idonei a dimostrare come la relazione affettiva tra i due possa essere nata prima della separazione dei coniugi G..
In particolare, M. e C. (rispettivamente ex moglie e figlia del C.) riferiscono di un episodio specifico, per quanto al medesimo non abbiano assistito direttamente, ma gli sia stato riferito da C. (altro figlio del C.).
Nondimeno, per principio consolidato, l’ingratitudine del coniuge donatario, in caso di separazione, non si può ravvisare nel solo fatto di aver posto fine alla convivenza e di aver intrecciato un nuovo legame, ma va individuato nell’eventuale modo ingiurioso con cui tali fatti, eventualmente, siano stati compiuti.
Infatti, per principio interpretativo consolidato, l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c., quale presupposto della revocazione, consiste in un comportamento con il quale si rechi all‘onore ed al decoro del donante un’offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona e che denoti verso colui che ha beneficato l’agente, un’ingratitudine tale da ripugnare alla coscienza comune (Cass n. 13632 del 05 11 2001; ma anche n. 7033 del 5 04 2005; n. 8165 del 20 09 1997; n. 5310 del 29 05 1998).
E questa condizione fattuale non risulta, invero, integrata nel caso di specie.
4. Sull’ammissibilità della richiesta di riconoscimento dei miglioramenti e delle addizioni e di indebito arricchimento
4.1. La configurazione giuridica della relazione di fatto fra l’attore e la res-casa familiare
L’attore, chiede, in via estremamente subordinata, il riconoscimento delle spese che avrebbe sostenuto per i miglioramenti e le addizioni che avrebbe apportato alla casa di residenza familiare e, finanche, invia ancora più subordinata l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ.
Orbene, come noto, nell’ipotesi di comodato, la traditio del bene - effettuata in virtù di un rapporto di carattere obbligatorio - esclude la configurabilità di una situazione di possesso, al più potendosi esprimere in termini di mera detenzione, con conseguente esclusione della tutela tipica del primo.
Per contro, nel caso di specie, sembrerebbe potersi invocare la presunzione di possesso di cui all'art. 1141 c.c., comma 1.
Ciò, anche in virtù del fatto che la disponibilità materiale che, come nel caso di specie, lega il coniuge non proprietario alla casa coniugale, non può essere, di certo, definita come comodato o come l’effetto giuridico di una locazione.
Dunque, parrebbe doversi escludere la ravvisabilità di qualunque rapporto di natura obbligatoria.
Nondimeno, s’impone qualche breve riflessione sull’inquadramento giuridico della figura del coniuge che vive nella residenza familiare di proprietà dell’altro coniuge.
In primis, deve precisarsi come da parte di taluna dottrina sia stato prefigurato - seppur non codificato legislativamente – un diritto del coniuge ad abitare, in costanza di matrimonio, la residenza familiare.
L’esistenza di un tale diritto viene considerato come il “contraltare” dell’obbligo di coabitazione, che grava sui coniugi durante il matrimonio e che viene meno solo una volta pronunciata dal Tribunale la separazione personale.
Peraltro, un indizio sistematico dell’esistenza di tale diritto viene rinvenuto nell’espressa previsione di un diritto di abitazione in favore del coniuge superstite e gravante sulla casa coniugale che sia caduta in successione.
Nondimeno, se quello ex art. 540 c.c. è un diritto reale minore, tutelato erga omnes, quello di cui si ritiene la configurabilità nella fisiologia del rapporto coniugale non potrebbe essere che un diritto personale atipico del coniuge al godimento dell’abitazione, destinata a residenza familiare.
Ciò, in quanto, come noto, i diritti reali, in forza della loro tutelabilità erga omnes, rappresentano un sistema chiuso tassativo e come tali abbisognano di un’espressa previsione normativa.
Nondimeno, anche a configurare il diritto de quo, quale pretesa di natura relativa, s’imporrebbe il problema della sua genesi.
A tal riguardo, può invocarsi lo stesso vincolo coniugale e il principio di buona fede oggettiva che ben può arricchire il contenuto del vincolo coniugale - sub specie degli obblighi di protezione cui i coniugi sono tenuti gli uni con gli altri - e fungere da strumento di attuazione dello stesso obbligo di convivenza.
Nondimeno, proprio da tale prospettazione giuridica e, cioè, dalla configurabilità di un rapporto di natura obbligatoria, in capo al coniuge non proprietario, conseguirebbe l’esclusione della tutela tipica del possessore in quanto la natura relativa del diritto è compatibile solo con il riconoscimento di una situazione di mera detenzione e non anche di possesso.
Infatti, il possesso è configurabile solo quando siano esercitati i poteri tipici del proprietario o del titolare di un diritto reale, non anche nella diversa ipotesi in cui la condotta posta in essere da un soggetto in relazione ad una determinata res, presupponga il riconoscimento del diritto altrui.
5. Sulla domanda di indebito arricchimento.
Ultima domanda a dover essere delibata è quella di indebito arricchimento.
In dottrina, si è sostenuto che Il coniuge (o il convivente) che lamenti di aver contribuito economicamente all’acquisto di un bene in capo all’altro, con suo sacrificio patrimoniale e correlato arricchimento dell’altro, potrebbe esercitare l’azione de qua al fine di ovviare all'avvenuta diminuzione patrimoniale, nei limiti dell’altrui arricchimento.
Ciò offrirebbe l’opportunità di attuare “un contemperamento di interessi giuridici di segno divergente, dei quali sono portatori, rispettivamente, il soggetto che ha compiuto un esborso privo di una causa apprezzabile e, sul lato opposto, chi da ciò ha ricavato un ingiusto vantaggio”.
Nondimeno, il suddetto strumento processuale, in quanto concepito “per regolare rapporti intersoggettivi di contenuto patrimoniale”, non è mutuabile sic et simpliciter “quale modello di regolamentazione di rapporti “di famiglia”. Deve, cioè, ritenersi l’inammissibilità di “una meccanica trasposizione di principi e regole da un piano all'altro”.
In primis, occorre verificare il ricorrere, nel caso di specie, del carattere dell'ingiustizia, “quale attributo della locupletazione realizzata da una delle parti a scapito dell'altra”, e da ritenersi integrata ogniqualvolta il nocumento consegua al “compimento - da parte dell'arricchito - di atti lesivi degli altrui diritti che, se caratterizzati anche dall'elemento soggettivo integrerebbero gli estremi dell'illecito civile”.
Dunque, deve ricorrere la “lesione dell'altrui patrimonio, realizzat(a) attraverso un trasferimento patrimoniale di beni o utilità”.
Ciò, sebbene la condotta all’origine della suddetta lesione non possa essere sorretta dall'elemento soggettivo del dolo o della colpa, altrimenti dando origine ad un’azione risarcitoria.
Invero, avverso l’applicazione del suddetto rimedio, si è, condivisibilmente, sostenuto che, nel caso de quo, non sarebbe configurabile “un fatto produttivo di danno da parte dell'arricchito”, quale requisito indefettibile ai fini dell’applicazione della norma, bensi’ “un comportamento volontario del convivente che, in modo deliberato, contribuisce all'incremento del patrimonio del partner”.
Ciò per quanto “tale contribuzione (non) sia stata sorretta da spirito liberale, ovvero dall'esistenza di un precedente obbligo” .
D’altronde, è innegabile che il coniuge (o il convivente) intestatario siano consapevoli dei “benefici ricevuti e che potrebbe(ro) essere chiamat(i) a restituire”.
E’ chiaro che tal ultimo potrà sempre “dimostrare l'esistenza, nel caso concreto, di circostanze” idonee a dimostrare “come il depauperamento del richiedente sia sorretto da una giusta causa" o, quanto meno, tali “da ingenerare nell'altra parte una legittima fiducia nella possibilità di ritenere il beneficio”.
5.1. La convivenza more uxorio
Per quanto concerne la convivenza more uxorio, in primis, occorre accertare l'eventuale esistenza di pattuizioni inter partes, che vincolino uno dei conviventi “a compiere delle prestazioni che comportano una dislocazione di ricchezza in favore dell'altro”.
Si pensi all’ipotesi in cui i conviventi decidano “di regolamentare in via negoziale - attesa l'inesistenza di regole legali a governo della famiglia di fatto - i rispettivi doveri di natura patrimoniale in favore del consorzio more uxorio”.
Orbene, ben potrebbero i conviventi prevedere che uno di essi “contribuisca al pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto dell'immobile, adibito a residenza familiare, intestato unicamente all'altro convivente; ovvero, ancora, attraverso l'assunzione in proprio dell'onere di provvedere interamente alle spese inerenti alla crescita ed all'educazione dei figli, nonché a quanto necessario al fabbisogno quotidiano della famiglia, a fronte dell'acquisto e del pagamento da parte del consorte (unico intestatario) dell'immobile destinato all'uso comune”.
Orbene, laddove, nell’ambito della convivenza more uxorio, ricorra “una regolamentazione pattizia”, relativa “ai conferimenti di ciascun convivente alle necessità familiari”, gli apporti - diretti o indiretti – sarebbero “giustificati ed, addirittura, dovuti”, con conseguente inapplicabilità dell'art. 2041 c.c..
Invero, è stato sostenuto che, anche in assenza di “un sottostante vincolo negoziale”, nell’ipotesi di esborsi sostenuti da un convivente in favore dell’altro, sarebbe prefigurabile l'adempimento di un dovere morale.
L’abituale condivisione dei luoghi di svolgimento della vita familiare, darebbe luogo, infatti, ad un “rapporto interindividuale dal quale scaturiscono doveri di reciproca solidarietà tra i suoi componenti”.
Dunque, “l'eventuale corresponsione - da parte del soggetto non intestatario del bene - di somme indirizzate (in maniera diretta od indiretta) al pagamento dell'immobile destinato alla famiglia stessa potrebbe configurarsi, quindi, come adempimento di quell'obbligazione naturale inerente alla conduzione della relazione di fatto, con la conseguente irripetibilità di quanto prestato”.
5.2. Il rapporto coniugale
E’ chiaro che, per la diversa ipotesi del rapporto coniugale fondato sul matrimonio, sarebbero richiamabili veri e propri obblighi giuridici ovvero quelli di cui al microsistema normativo della famiglia.
Nondimeno, deve ritenersi che l’incremento di valore dell’immobile e, in genere, l’utilitaseconomica di cui beneficiano il coniuge o il convivente proprietario non sia, di per sé, giustificato dall’adempimento degli obblighi morali (per la convivenza) o giuridici di assistenza morale e materiale e di collaborazione (per le famiglie fondate sul matrimonio), specie quando si tratti di spese che esulano dagli esborsi, abitualmente sopportati da una famiglia del medesimo tenore economico e sociale.
Invero, in via interpretativa - incentrando la valutazione da compiersi sulle condizioni soggettive del coniuge/convivente e non sulla proporzionalità dell’esborso rispetto al normale menage familiare - si è evidenziato come, ai fini della valutazione dell’eventuale ingiustificato arricchimento, “susseguente ad una spontanea elargizione compiuta dalpartner” occorra verificare se, al di là delle condizioni economiche complessive del nucleo famigliare, «la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens».
Dunque, quale naturale corollario di tale principio, condizioni economiche - particolarmente elevate - possono giustificare anche spese di apprezzabile entità (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18749 del 17/09/2004, secondo cui “i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell'art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch'esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale”).
Nondimeno, si deve ritenere che - limitatamente agli esborsi apprezzabilmente superiori alle condizioni economiche di chi li pone in essere oppure sproporzionati rispetto al tenore familiare complessivo - il venir meno della coabitazione, quale presupposto per una specifica destinazione o “finalizzazione” dell’utilitas al bene familiare, giustifichi la restituzione di quell’attribuzione patrimoniale indiretta o del suo equivalente monetario.
Dunque, il cessare della convivenza, per effetto di un provvedimento giudiziale o per una scelta concorde, rende ripetibile o indennizzabile un’utilitas che - di per sé, priva di valenza solutoria e, cioè, non giustificata dall’adempimento di un vincolo morale o giuridico – ha cessato di assolvere alla funzione che i coniugi o i conviventi gli hanno assegnato.
Dunque, nell’ipotesi di contributo alle spese di ristrutturazione della res immobile, l’incremento valoriale registrato dalla stessa, diviene, almeno in parte, suscettibile di indennizzo in favore del suo autore.
D’altronde, contrasta con l’attuale sentire sociale, connotato dalla proliferazione delle separazioni, il permanere di situazioni interpretative che escludano ogni forma di tutela per il coniuge (o il convivente more uxorio) che, in pendenza di matrimonio abbia contribuito apprezzabilmente - oppure in via esclusiva - alla ristrutturazione o all’acquisto di un bene comune.
E’ chiaro che ai fini della determinazione di tale indennizzo non può non considerarsi la misura dell’apporto economico del coniuge che agisce ex art. 2041 c.c.
Inoltre, come giustamente osservato, non può obliterarsi “l'essenziale carattere di reciprocità che permea il dovere di contribuire nella gestione del consorzio familiare gravante, quindi, su ciascuno dei conviventi”.
Dunque, è possibile prefigurare la liceità della richiesta restitutoria ogniqualvolta - al di là della proporzionalità dell’apporto economico rispetto allo status familiare o alle condizioni di chi sostiene l’esborso economico - il coniuge o il convivente arricchito “non abbia(no) collaborato in alcun modo alle esigenze economiche della famiglia stessa”.
Infatti, è indubbio che «il mancato reciproco adempimento, da parte dell'accipiens, alla sua obbligazione naturale (o giuridica) determina un arricchimento ingiustificato in capo a quest'ultimo”.
Dunque, l'azione generale di arricchimento “soffre…. di angusti limiti entro i quali è possibile un suo favorevole esperimento” e ciò, in quanto la stessa “si scontra inevitabilmente con gli elementi che caratterizzano i rapporti di natura familiare”.
In relazione agli stessi è innegabile la tendenza interpretativa “a ritenere giustificati (e, per tale ragione, non ripetibili) - sulla base dei vincoli reciproci di solidarietà ed affetto, ovvero per l'esistenza di accordi in ordine al corrispettivo dovere di contribuzione - gli apporti effettuati dai conviventi in funzione del buon andamento della famiglia”.
Ciò premesso, si deve provare ad individuare un criterio idoneo a concretizzare il suddetto principio ovvero che consenta di stabilire quando una somma sia “sperequata” rispetto alle condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie del coniuge o convivente intestatario.
Si può ipotizzare che, in assenza della prova dell’esistenza di apprezzabili risorse derivanti dalla famiglia di appartenenza, sia sproporzionato un esborso che superi un quarto dello stipendio netto annuale.
Al fine di verificare, nel contraddittorio delle parti, la ricorrenza di tale condizione nel caso di specie appare opportuno rimettere la causa sul ruolo.
P.Q.M.
Il Tribunale, non definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da G. contro C., così provvede:
1) dichiara cessata la materia del contendere con riguardo alla domanda di simulazione dell’atto di compravendita,stipulato per atto di notar P. in data 29/03/2001, tra C. e i coniugi I.;
2) rigetta le domande di accertamento della nullità della donazione indiretta, intercorsa tra le parti, così come di revocazione della donazione per ingiuria grave nei confronti del donante, di nullità per mancanza di causa e/o mancanza di forma della donazione diretta del denaro, servito per l’acquisto dell’immobile controverso; di riconoscimento all’attoredelle indennità per i miglioramenti e le addizioni;
3) provvede come da separata ordinanza ai fini del prosequio del giudizio;
4) spese in sede di definizione dell’intero giudizio.
Brindisi, 26.5.2014.
Il Giudice
(Dott. Antonio Ivan Natali)
CONDIVIDI
Commenta questo documento
L'avvocato giusto fa la differenza
Filtra per
Altri 462 articoli dell'avvocato
Angelo Forte
-
Accordi prematrimoniali: la Cassazione possibilista... Cassazione civile , sez. I, sentenza 21.12.2012 n° 23713
Letto 316 volte dal 17/01/2013
-
Ex coniuge fa un figlio con il convivente? Stop all'assegno
Letto 776 volte dal 21/02/2012
-
Anche al convivente gay spetta il risarcimento in caso di sinistro mortale Tribunale Milano, sentenza 12.09.2011 n° 9965
Letto 650 volte dal 19/10/2011
-
Effetti del raqpporto di fatto sull'assegno divorzile Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 11 agosto 201...
Letto 1172 volte dal 15/09/2011
-
Distinzione tra rapporto occasionale e famiglia di fatto
Letto 1966 volte dal 20/06/2011