Il coniuge che provi l’abbandono volontario e definitivo della residenza familiare da parte dell’altro, senza che questi abbia proposto domanda di separazione, “non deve ulteriormente provare l’incidenza causale di quel comportamento illecito sulla crisi del matrimonio”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 2059/2012, respingendo il ricorso di un marito cui era stata addebitata la separazione a seguito appunto dell’abbandono della casa familiare diversi anni prima della proposizione della domanda giudiziale, e che contestualmente aveva iniziato una nuova relazione more uxorio. Per la Suprema corte, infatti, un simile comportamento implica di fatto “la cessazione della convivenza e degli obblighi ad essa connaturati, gravando dunque sulla parte che si è allontanata “l’onere di offrire la prova contraria”, e cioè che “quel comportamento fosse giustificato dalla preesistenza di una situazione d’intollerabilità delle coabitazione”. Infatti, l’unico caso in cui è ammissibile l’abbandono del tetto coniugale, come previsto dalla legge 171/1975 che ha integrato l’articolo 146 del Cc, è quello in cui sia stata proposta domanda di separazione.