Il Tribunale ecclesiastico aveva pronunciato sentenza di nullità del matrimonio canonico per incapacità del marito di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio secondo quanto previsto dal canone 1095, n. 3. Secondo le relazioni peritali svolte in sede istruttoria, l’uomo era risultato dipendente dalla figura materna e ciò causava un’incapacità ad assumere l'obbligo di quella minima integrazione psico-sessuale che il matrimonio richiede, che sfociava in un comportamento anaffettivo e indifferente nei confronti della moglie. La Corte d’Appello di Brescia, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, ne dichiara l'efficacia nella Repubblica Italiana stante la non contrarietà all’ordine pubblico italiano e alle leggi fondamentali dello Stato. La donna ricorre in Cassazione contro la decisione della Corte territoriale per due motivi. In primo luogo, per omesso esame e valutazione di un fatto decisivo per il giudizio. Secondo la ricorrente la Corte territoriale bresciana non avrebbe considerato il fatto che la patologia era conosciuta o conoscibile dal marito e le era stata nascosta prima del matrimonio. Secondo la Cassazione il motivo è infondato perché la Corte ha esaminato la questione ma ne ha fornito una diversa interpretazione non censurabile in sede di legittimità. Dalle perizie mediche, secondo l’interpretazione esente da vizi, sarebbe emersa la non conoscibilità della patologia da parte dell’uomo se non dopo l'inizio della vita matrimoniale. Con il secondo motivo di ricorso la donna sosteneva che la sentenza era contraria all’ordine pubblico italiano e alle norme che tutelano il principio della buona fede e dell’affidamento. Secondo i giudici di Brescia la causa di nullità accertata dal Tribunale Ecclesiastico rientra nella cornice dell’incapacità, analogamente alle ipotesi d’invalidità previste dagli artt. 120 e 122 c.c., con la conseguenza che la tutela della buona fede della moglie non può essere di ostacolo alla delibazione. La Cassazione, con la sentenza n. 19691 del 18 settembre 2014, conferma la decisione della Corte d’Appello. Oggetto del giudizio e della decisione del Tribunale ecclesiastico non è stato né l'accertamento dell'esistenza di un vizio di consenso da parte del marito al momento della celebrazione del matrimonio né l'accertamento della consapevolezza della sua incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio al momento della sua celebrazione né, tantomeno, l'accertamento del doloso occultamento di questa incapacità nei confronti della moglie. L’art. 122 terzo comma n. 1 del codice civile dice che il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore essenziale sulle qualità personali dell'altro coniuge tra cui l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di un’anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale. La diversità della disciplina dell’ordinamento canonico e quello del codice civile italiano in tema d’invalidità del matrimonio per errore (essenziale) su una qualità personale del consorte e precisamente sulla ritenuta inesistenza in quest'ultimo di malattie (fisiche o psichiche) che impediscono la vita coniugale, non è di ostacolo alla delibazione della sentenza ecclesiastica. La discordanza non riguarda, infatti, un principio essenziale dell'ordinamento italiano, qualificabile come limite di ordine pubblico. Riguardo alla rilevanza dell'”affidamento” del coniuge che non ha dato causa all'invalidità del matrimonio concordatario, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’incapacità naturale come causa d’invalidità del matrimonio, non da rilievo alla buona o mala fede dell’altro contraente, poiché in questo caso è preminente l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale invalido. In definitiva, secondo la Cassazione, nel caso di specie, l’effettività e la validità del consenso prevalgono sulla tutela dell’affidamento riposto dal coniuge inconsapevole al momento della celebrazione del matrimonio.