Un figlio maggiorenne interviene all’udienza presidenziale di separazione dei propri genitori, chiedendo al padre la somma di € 6.000,00 mensili, a titolo di contributo destinato ai propri studi universitari, da corrispondersi direttamente a lui, ovvero per il tramite della madre. Il ricorso per la separazione personale, con addebito, viene proposto dalla moglie la quale chiede al marito, peraltro, un assegno di mantenimento per sé e per i due figli, dei quali uno già maggiorenne. Quest’ultimo interviene all’udienza chiedendo al padre una somma per proseguire gli studi. Il presidente del Tribunale ordina la separazione della causa relativa all’intervento per ottenere una pronuncia sulla legittimità dello stesso. L’intervento viene ritenuto legittimo nei due gradi di merito. Il padre ricorre in Cassazione asserendo l’inammissibilità dell’intervento del figlio nella causa di separazione dalla moglie, in quanto contrastante col disposto di cui all’art. 105 del codice di rito civile. Per gli ermellini la fattispecie non si pone in contrasto con l’art. 105 del c.p.c. ed anzi risulta inquadrabile nel disposto di cui all’art. 155 quinquies del c.c.. La richiamata norma al primo comma, infatti recita: “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”. L’intervento volontario in giudizio, espletato dal figlio al fine di far valere un diritto relativo all’oggetto della lite, o eventualmente in via adesiva, “assolve, latu sensu, una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento - anche in forma ripartita - del contributo al mantenimento, sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati”.