Condannato per violenza privata il padre che tormenta l'ex per vedere la figlia.
Cassazione penale Sentenza n. 39353 del 2011
Avv. Laura Galli
di Milano, MI
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L'imputato è stato ritenuto responsabile di avere posto in essere atti di minaccia al fine di costringere C. M., con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale extraconiugale per entrambi, a riprendere la relazione stessa. Inoltre con successivi atti minatori aveva tentato di indurre la persona offesa a consegnargli la figlia minore C. che egli sosteneva essere sua figlia naturale. La Corte ha escluso la sussistenza della scriminante dell'atteggiamento psicologico dell'agente il quale erroneamente aveva la certezza di esercitare un proprio diritto.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Propone personalmente ricorso per cassazione P.P.C. avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari in data 8 luglio 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna per una serie di tentativi di violenza privata posti in essere il (omissis). L'imputato è stato ritenuto responsabile di avere posto in essere atti di minaccia al fine di costringere C. M., con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale extraconiugale per entrambi, a riprendere la relazione stessa.
Inoltre con successivi atti minatori aveva tentato di indurre la persona offesa a consegnargli la figlia minore C. che egli sosteneva essere sua figlia naturale; infine aveva tentato di indurre la C. a non tutelarsi tramite un legale rispetto ai propri comportamenti per effetto dei quali la donna era stata espulsa da una associazione artistica presieduta dall'imputato.
Deduce:
1) La erroneità della mancata derubricazione del reato contestato in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La affermazione della Corte, che aveva escluso la sussistenza del reato ex art. 393 c.p., non conteneva adeguata analisi dell'atteggiamento psicologico dell'agente il quale aveva la certezza di esercitare un proprio diritto: che era quello di vedere la figlia della C. che egli credeva essere anche la propria figlia naturale (come desumibile anche dalle dichiarazioni di P. P. e T.S.). In secondo luogo il prevenuto era convinto di avere il diritto di fare pressioni sulla C. perchè recedesse dalle azioni contro la estromissione dalla associazione artistica, estromissione che anche da altri era stata sollecitata.
Chiedeva al riguardo la applicazione del principio espresso dalla sentenza n. 7911 del 1997;
2) Il vizio di motivazione sulla responsabilità per il reato ex art. 610 c.p..
Erano stati versati in atti i tabulati telefonici attestanti le continue chiamate della C., indice non di soggezione psicologica nei confronti del ricorrente ma di manie ossessive; anche lo schiaffo inferto dalla donna al P. era indice di personalità dominante; infine neutro era l'episodio in cui il padre della presunta vittima era stato chiamato da costei, per poi allontanare il ricorrente dalla casa della figlia ove si trovava;
3) la violazione di legge e il vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Si è osservato da parte di questa Corte di legittimità che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 cod. pen.), la pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico di guisa che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato; è, inoltre, necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell'altrui libertà di determinazione, giacchè, in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all'art. 610 cod. pen. (Rv. 235765). Correttamente dunque la Corte di merito ha escluso che potessero ravvisarsi nella specie gli estremi del reato meno grave evocato dal ricorrente sia in ragione del rilievo che tutti i particolari in fatto da esso sostenuti non risultano provati, sia, e soprattutto, in ragione del fatto che la condotta ascrittagli è consistita in pretese che non potevano formare oggetto di un preteso diritto tutelato dall'ordinamento.
D'altra parte la giurisprudenza evocata nel ricorso non varrebbe a sostenere il motivo di gravame posto che con la sentenza n. 7911 del 1997 si è semplicemente rimarcato che se l'effettiva azionabilità della pretesa in sede giurisdizionale e la possibilità di realizzarla in virtù di una pronuncia giudiziale non costituiscono presupposto indefettibile per la configurabilità del reato, essendo a tal fine sufficiente la convinzione soggettiva dell'esistenza del diritto tutelabile, è anche indispensabile, però, che una simile convinzione sia non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l'opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse l'esplicazione della violenza o il ricorso alla minaccia .
E nella specie, proprio quest'ultima è stata la convinzione raggiunta dal giudice dell'appello il quale ha dato il massimo risalto al fatto, rimasto accertato, che l'imputato fosse solito conservare filmini compromettenti- come già aveva fatto in passato con altre donne ( M., A. e L.)cui si era legato- minacciando di divulgarli al fine di ottenere che la relazione sentimentale del momento non venisse interrotta.
Infondato è il motivo riguardante il diniego delle attenuanti generiche posto che la Corte non si è sottratta all'onere di motivare al riguardo il concreto esercizio del potere secondo i canoni posti dall'art. 133 c.p. ed ha evocato criteri adeguati ad un giudizio negativo sul punto, quale quello della particolare intensità del dolo desunta dalle motivazioni dell'agire e delle concrete modalità della condotta. D'altra parte il prevenuto, nel censurare le conclusioni raggiunte sul punto dalla Corte d'appello, finisce per sollecitare alla Cassazione un diverso apprezzamento di circostanze di fatto, apprezzamento non consentito nella sede della legittimità.
L'ultimo motivo di ricorso costituisce infine una rappresentazione di elementi di fatto inammissibilmente rivolta alla Cassazione , giudice della legittimità che non può essere chiamato a conoscere e tantomeno a valutare elementi storici o risultanze di prove ma soltanto a controllare la completezza e la eventuale illogicità manifesta della motivazione relativa al provvedimento impugnato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
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