Assegno mantenimento per figli puó essere aumentato in relazione alla crescita dei minori
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Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21141/2020, depositata il 2 ottobre 2020,
Il giudice puó aumentare l’assegno di mantenimento della figlia considerate le aumentate esigenze di vita, laddove la madre sia disoccupata ed abbia fornito prova di aver cercato invano nuovo lavoro. La madre puó fornire la prova di non aver percepito redditi, essendo comunque necessario produrre dele dichiarazione fiscali. attraverso l’esame delle dichiarazioni dei redditi, escludendo ogni colpa dell’ A. in ordine alla ricerca di un lavoro. Va osservato al riguardo che dagli atti non emerge che nei precedenti gradi di giudizio siano state discusse le questioni della durata del matrimonio e dei conti correnti della ricorrente, che invece sono state poste a sostegno del ricorso in esame; ne consegue che il motivo è, in parte qua, altresì inammissibile.
Il giudice puó aumentare l’assegno di mantenimento della figlia considerate le aumentate esigenze di vita, laddove la madre sia disoccupata ed abbia fornito prova di aver cercato invano nuovo lavoro. La madre puó fornire la prova di non aver percepito redditi, essendo comunque necessario produrre dele dichiarazione fiscali. attraverso l’esame delle dichiarazioni dei redditi, escludendo ogni colpa dell’ A. in ordine alla ricerca di un lavoro. Va osservato al riguardo che dagli atti non emerge che nei precedenti gradi di giudizio siano state discusse le questioni della durata del matrimonio e dei conti correnti della ricorrente, che invece sono state poste a sostegno del ricorso in esame; ne consegue che il motivo è, in parte qua, altresì inammissibile.
- Leggi la sentenza -
Con ricorso del 26.5.14 A.G.R. propose appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Catania il 29.11.13 che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con Z.I.M.S., rigettando la sua domanda di attribuzione di assegno divorzile, determinando invece in Euro 350,00 al mese l’assegno di mantenimento della figlia.Con sentenza del 17.12.15 la Corte di appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dall’ A., pose a carico dello Z. l’obbligo di corrispondere all’appellante la somma mensile di Euro 150,00, determinando nella somma di Euro 400,00 mensile l’assegno di mantenimento della figlia, osservando che: lo Z. era lavoratore dipendente con reddito per il 2014 pari a Euro 22.055,20, mentre la A. risultava disoccupata dal 2009 e priva di redditi; non poteva dirsi che quest’ultima non si fosse attivata per cercare un’occupazione; era da aumentare l’assegno di mantenimento della figlia considerate le aumentate esigenze di vita.Lo Z. ricorre in cassazione con due motivi.Resiste con controricorso A.G.R..DirittoRITENUTOche:Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,356 c.p.c. e L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nonchè omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, poichè la Corte d’appello aveva errato nel porre l’assegno divorzile a carico del ricorrente senza considerare le attuali componenti patrimoniali dei coniugi, la durata del matrimonio, l’effettivo tenore di vita goduto dalla A. nel corso del matrimonio, essendo state valutate le sole dichiarazioni dei redditi. Con il secondo motivo si denunzia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in quanto la Corte territoriale, pur accogliendo parzialmente l’appello, aveva condannato il ricorrente al pagamento delle spese del secondo grado, venendo invece in rilievo una soccombenza reciproca. Il primo motivo è infondato nella parte in cui il ricorrente lamenta l’erronea valutazione della situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi, avendo la Corte d’appello ampiamente motivato sui presupposti dell’assegno di mantenimento attraverso l’esame delle dichiarazioni dei redditi, escludendo ogni colpa dell’ A. in ordine alla ricerca di un lavoro. Va osservato al riguardo che dagli atti non emerge che nei precedenti gradi di giudizio siano state discusse le questioni della durata del matrimonio e dei conti correnti della ricorrente, che invece sono state poste a sostegno del ricorso in esame; ne consegue che il motivo è, in parte qua, altresì inammissibile.Inoltre, il motivo è inammissibile nella parte relativa all’insufficienza o contraddittoria motivazione, data l’applicabilità dell’attuale versione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, catione temporis.Il secondo motivo è parimenti infondato. La Corte territoriale ha accolto parzialmente l’appello, limitatamente all’importo dell’assegno di mantenimento per la figlia delle parti, accogliendo pienamente l’istanza relativa al mantenimento della A.. Al riguardo, va osservato che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte la regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92 c.p.c., comma 2); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Cass., n. 3438/16). Nel caso concreto, il giudice d’appello ha posto le spese del secondo grado in capo al soccombente parziale in base ad una complessiva valutazione dei fatti di causa; la compensazione parziale delle spese, peraltro, è solo una facoltà e non un obbligo del giudice. Le spese seguono la soccombenza.PQMLa Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
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