IL CASO: in una clausola delle condizioni di separazione, i coniugi avevano stabilito che i gatti della famiglia sarebbero rimasti a vivere con la moglie nella casa coniugale la quale provvederà a tutte le spese ordinarie relative, mentre per quanto riguarda le spese straordinarie sarebbero state sostenute in pari misura dai coniugi. PREMESSA: L’art. 158 c.c. stabilisce che la separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice e che quando l’accordo dei coniugi circa l’affidamento e il mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi, il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modifiche da adottare nell’interesse dei figli, potendo, in caso di inidonea soluzione, rifiutare l’omologazione. Nella vicenda presa in esame la questione, posta al Giudice, è stata non già l’affidamento dei figli, bensì quello dei gatti. LA DECISIONE: Il Tribunale di Milano, con decreto del 13 marzo 2013 dichiara la legittimità della clausola. Precisano i Giudici che nell’attuale ordinamento, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010 n. 201, di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo, con la conseguenza che deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia, richiamando un precedente del Tribunale di Varese del 7 dicembre 2011. Tale diritto (riconosciuto anche dalle fonti sovranazionali come il Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione Europea e il trattato che istituisce la Comunità Europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007) è stato di fatto riconosciuto dal Legislatore in tempi recenti con la legge 11 dicembre 2012 n. 220 posto che, modificando l’art. 1138 c.c., ha previsto che le norme sul regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Ne consegue che, una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, impone di ritenere che l’animale non possa più essere collocato nell’area semantica concettuale delle “cose” ex art. 923 c.c., ma debba essere riconosciuto come essere senziente e, pertanto, deve ritenersi legittima la facoltà dei coniugi, in sede di separazione, di regolare la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento dello stesso. Tale decisione innovativa comporterà sicuramente una serie di problematiche relative alla sua applicazione in relazione alle altre norme dell’ordinamento giudico. Sottrae, infatti, l’animale d’affezione alla propria destinazione giuridica di “cosa di proprietà”. Peraltro, in tale decisione si richiama l’art. 923 c.c., che ha riguardo all’istituto dell’occupazione che permette l’acquisto della proprietà delle cose di nessuno con la semplice apprensione, stabilendo che sono suscettibili di occupazione le cose mobili di proprietà di nessuno e che tali sono anche gli animali oggetto di caccia o pesca. A contrario, secondo il Tribunale di Milano non sono “cose” gli animali di affezione, che non formano oggetto di caccia o pesca.