Con Ordinanza n. 23567 del 16/10/2013 la Suprema Corte torna nuovamente sulla problematiche sottese alla concessione in comodato di un immobile ad una coppia di coniugi da parte di un terzo, nel caso in cui poi la coppia si separi. Già con la sentenza a Sezioni Unite n 13603 del 21.07.2004, la Corte di Cassazione aveva chiarito che “l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunta dalla mera natura immobiliare del bene concesso in godimento dal comodante, ma implica un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare, perché il comodato possa considerarsi non risolubile ad nutum “, principio, questo, confermato nell’ Ordinanza in commento. Orbene in essa la Corte di Cassazione, nel richiamare il dettato normativo di cui agli artt. 1809 e 1810 c.c., per i quali il termine apposto al comodato può risultare sia espressamente, dall'indicazione della data di scadenza stabilita dalle parti, sia implicitamente, dall'uso a cui il bene debba essere destinato, ne precisa gli ambiti applicativi . Infatti, precisa la Corte, “.... si può ravvisare un comodato a termine (implicito) solo quando risulti che le parti si sono accordate per la destinazione del bene ad un determinato uso e tale intento abbiano manifestato alla data della conclusione del contratto.” La Corte, nel respingere il ricorso, conferma la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte d'Appello, che nel caso di specie ha escluso che si trattasse di comodato soggetto ad un termine per essere stato stipulato in vista delle esigenze di abitazione della famiglia Non appare rilevante pertanto la mera destinazione di fatto del immobile ad abitazione della famiglia, creata dal comodatario, essendo necessario che la destinazione del bene in comodato ad uno specifico uso risulti dall'accordo delle parti, accertamento, questo, che attiene all'interpretazione del contratto. Di conseguenza, conclude la Suprema Corte, in sede di separazione, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla moglie non rileva, poichè il diritto di abitazione spettante al coniuge assegnatario è soggetto alla disciplina del titolo da cui deriva ( Cass. Civ S.U. 13603 del 21/07/2004).