La casa coniugale non può essere assegnata in assenza di figli.
Cassazione sez. I sentenza n. 1491 del 21.01.2011
Avv. Laura Galli
di Milano, MI
Letto 2192 volte dal 02/03/2011
La casa coniugale, di proprietà esclusiva di uno dei coniugi ed in assenza di figli, non può essere assegnata al coniuge economicamente più debole quale strumento di perequazione tra le posizioni economiche dei due. In sede di separazione -prima della novella del 2006, che tiene distinti i provvedimenti assegnativi in favore della prole dai rapporti economici tra coniugi, e dopo la quale il problema non può più porsi, essendo il provvedimento assegnativo previsto solo in presenza di prole-, deve certamente negarsi che il diritto di godimento possa attribuirsi al coniuge non proprietario, con una sorta di rilievo ablativo nei confronti del proprietario esclusivo del bene, il cui diritto viene inciso con la perdita di valore effetto dell'assegnazione. In sede di divorzio: l'art. 6, c. 6, l. div., che consente di valutare le condizioni economiche dei coniugi nell'assegnare la casa familiare, non deroga al principio generale che vieta in assenza di figli di ledere il diritto di proprietà con l'assegnazione dell'abitazione a soggetto diverso da chi ne è proprietario, come già stabilito anche da Cass. 6979/2007. Non vale al proposito richiamare la Cass., Sez. I, sent. 07.07.1997, n. 6106, che ha disposto sul diritto ad abitare temporaneamente in una casa in comproprietà tra i coniugi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell'8 agosto 2006, la Corte di appello di Firenze, in riforma della decisione del Tribunale di Prato del 17 ottobre 2005 che, su ricorso di Ca.Re. Pa. del (OMESSO), aveva pronunciato la separazione giudiziale del ricorrente dalla moglie Bo.Ma. Gr. , assegnando la casa familiare a questa ultima e ponendo a carico del marito e a favore della moglie un assegno mensile di mantenimento di euro 516,46, ha accolto i gravami principale dell'uomo e incidentale della donna, ed ha revocato l'assegnazione dell'abitazione coniugale a quest'ultima, che non ne era proprietaria, e ha addebitato al marito la separazione per effetto della violazione da parte dello stesso del dovere di fedelta' coniugale.
La Corte di merito ha ritenuto fondato il gravame del Ca. che aveva dedotto che in mancanza dei figli, minori o maggiorenni conviventi con la Bo. , la cui presenza avrebbe giustificato l'assegnazione della casa familiare a lei, anche se non era proprietaria dell'immobile, il godimento di questo doveva attribuirsi al solo appellante principale che ne era il titolare.
Il titolo di proprieta' prevale sempre, ad avviso dei giudici di merito, rispetto a qualsiasi posizione di particolare difficolta' economica del coniuge non proprietario e l'assegnazione della casa familiare non puo' concorrere a formare il contributo economico o assegno a carico del coniuge economicamente piu' forte perche' tenuto a contribuire al mantenimento dell'altro coniuge.
Veniva accolto anche l'appello incidentale della Bo. , avendo la Corte d'appello ritenuto che dalla testimonianza di Vi.Al. , la cui moglie attualmente conviveva con il Ca. , poteva desumersi che quest'ultimo ha violato gli obblighi di fedelta' coniugale, avendo acquistato in comunione con l'altra donna ora indicata una casa, con condotta che aveva causato la intollerabilita' della prosecuzione della convivenza tra i coniugi, provocando la separazione, da addebitare al marito per violazione del dovere di fedelta' coniugale.
Per la cassazione della sentenza che precede, notificata il 9 gennaio 2007, la Bo. ha proposto ricorso di un unico motivo, notificato il 9 marzo 2007 al Ca. , che resiste in questa sede con controricorso e ricorso incidentale di un motivo, notificato il 9 aprile 2007, cui replica, con controricorso notificato il 14-15 maggio 2007, la Bo. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente vanno riuniti i procedimenti sorti sui distinti ricorsi, principale e incidentale, proposti contro la medesima sentenza ex articolo 335 c.p.c..
1.1. Il motivo del ricorso principale della Bo. deduce violazione dell'articolo 155 c.c., comma 4, nel testo precedente alla modifiche di cui all'articolo 155 quater introdotto dalla Legge 8 febbraio 2006, n. 54, vigente durante l'intera vita matrimoniale dei coniugi, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte di merito revocato l'assegnazione della casa coniugale in (OMESSO) in favore della ricorrente, per la mancanza di figli che ne potessero fruire anche se maggiorenni e conviventi con la madre, non potendosi dare rilievo ai riflessi economici di tale assegnazione del godimento dell'immobile, ma dovendosi tener conto in tale attribuzione del diritto di abitazione della sola tutela dell'interesse della prole a conservare l'ambiente di vita in cui ha vissuto con i genitori.
La ricorrente richiama alcune sentenze che hanno ritenuto, anche in assenza di figli, che l'assegnazione della casa familiare possa essere utilizzata come strumento di perequazione, per contribuire al mantenimento del coniuge piu' debole perche' privo di adeguati redditi propri, come risulterebbe consentito in sede di divorzio dalla Legge 6 marzo 1987, n. 74, articolo 11 (oggi comma sesto della Legge n. 878 del 1970, articolo 6, come poi modificato), che, dopo avere affermato che l'assegnazione della casa avviene di preferenza al genitore con cui convivono i figli, sancisce che nell'emettere il relativo provvedimento il giudice dovra' tenere conto delle condizioni economiche delle parti, per cui la Corte di legittimita' ha ritenuto in qualche decisione che tale assegnazione possa trovare giustificazione anche nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (il ricorso richiama Cass. 7 luglio 1997 n. 6106). A tale disciplina, ad avviso della ricorrente, si avvicina l'articolo 155 c.c., comma 4, dato che l'uso della casa familiare incide sul piano economico per la disciplina delle conseguenze della separazione, come integrazione dell'assegno di mantenimento al fine di assicurare tutela al coniuge piu' debole economicamente.
Il quesito di diritto ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., cosi' chiude il ricorso: "Dica la Corte se in sede di separazione (in assenza di figli minori ovvero di figli maggiorenni conviventi e di diritti di proprieta' sul bene immobile), in base all'articolo 155 c.c., comma 4, la casa familiare possa avere assegnata al coniuge, nell'ambito della regolamentazione dei rapporti economici, dovendo l'attribuzione della stessa configurarsi non solo come mezzo di protezione della prole, ma anche come mezzo atto a garantire l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi nonche' la tutela del coniuge piu' debole, allorquando questo sia privo di redditi e l'altro dichiari entrate tali da non consentirgli di corrispondere quanto e' necessario al mantenimento del primo".
1.2. Il ricorso principale sulla assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario in mancanza dei figli, affidati allo stesso se minori ovvero maggiorenni e bisognosi con lui conviventi, non puo' essere accolto proprio per il valore non solo economico-patrimoniale ma anche personale e umano che detto immobile assume, per cui del diritto su di esso non puo' che disporre il suo titolare, che ne puo' attribuire il godimento a terzi, con propri atti di autonomia (cfr. da Cass. 29 gennaio 1996 n. 652 a Cass. 24 luglio 2007 n. 16398).
Le incertezze sul tema dedotte in ricorso attengono di regola a casi di comproprieta' dei coniugi sulla casa familiare, che si e' ritenuto non consentire di riconoscere una posizione potiore o prevalente di uno di loro, la cui identica situazione soggettiva della titolarita' della quota corrispondente alla meta' dell'abitazione, ha indotto a tener conto e comparare le posizioni giuridiche dei due coniugi per l'assegnazione della casa (cosi' Cass. 7 luglio 1997 n. 6106 richiamata in ricorso).
Il motivo di ricorso e' nel caso infondato in quanto sia l'articolo 155 c.c., nella versione previdente abrogata dalla Legge 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 1, che regolava il provvedimento nell'ambito dei "provvedimenti riguardo ai figli" che il vigente articolo 155 quater di cui alla novella ora indicata, che disciplina espressamente l'assegnazione della casa familiare, mantengono distinto tale provvedimento da quelli relativi ai rapporti patrimoniali tra i coniugi di cui all'articolo 156 c.c..
Deve certamente negarsi che tale diritto di godimento dell'abitazione coniugale, opponibile con la trascrizione anche ai terzi ed incidente quindi sul valore dell'immobile, possa attribuirsi al coniuge non proprietario, con una sorta di rilievo ablativo nei confronti del proprietario esclusivo del bene, il cui diritto viene inciso con la perdita di valore effetto di detta assegnazione, il che puo' avvenire solo se la stessa e' disposta nell'interesse dei figli affidati o conviventi con il genitore assegnatario del diritto di abitazione (in tal senso tra le altre con quelle gia' citate, cfr. Cass. 11 giugno 2010 n. 14058, 23 novembre 2007 n. 24407, 22 marzo 2007 n. 6979 relativa a casa in comproprieta').
Anche per la Legge n. 898 del 1970, articolo 6, comma 6, modificato dalla Legge n. 84 del 1987, articolo 11, che consente di valutare le condizioni economiche dei coniugi nell'assegnare la casa familiare non si deroga al principio generale che vieta in assenza di figli di ledere il diritto di proprieta' con l'assegnazione dell'abitazione coniugale a soggetto diverso da chi ne e' proprietario (cosi' di recente la cit. Cass. n. 6979/07), per cui il ricorso principale e' infondato e da rigettare, dovendo il quesito di diritto ricevere comunque risposta negativa.
2.1. L'unico motivo del ricorso incidentale lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in ordine all'addebito al Ca. riconosciuto nella separazione dalla Corte d'appello, con una valutazione d'una prova testimoniale del tutto difforme di quella data dal giudice di primo grado, che la stessa prova aveva direttamente assunto.
Riporta la prova orale assunta del teste Vi. Al. nella parte in qui questa ha affermato di sapere che sua "moglie da cui ora" era separato "frequentava il Ca. e ... che presero insieme una casa all'(OMESSO). E seppi di certo di cio' nel (OMESSO)".
Ad avviso del ricorrente, il fatto che la moglie del Vi. sua socia in una impresa di lavanderia e stireria da loro gestita, aveva acquisito in comune con lui un appartamento non implicava alcuna relazione adulterina tra lui e la donna, che anzi dal teste non risulta assolutamente riferita e che comunque non sussisteva.
Si conclude il ricorso incidentale con il seguente quesito di diritto ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c.: Dica la Corte se una dichiarazione testimoniale nel senso sopra riportato determini il raggiungimento della prova giudiziale della infedelta' coniugale e dell'addebito conseguentemente riconosciuto a carico del Ca. ".
2.1. Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, data la assoluta inidoneita' delle sue conclusioni, qualificate dal ricorrente "quesito di diritto ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c." e che dovrebbero essere la sintesi conclusiva del dedotto vizio motivazionale. Tali conclusioni, come il mezzo di impugnazione che chiudono, da un canto non indicano i fatti controversi e decisivi su cui la valutazione dalla Corte di merito sarebbe carente o insufficiente ne' le ragioni che rendono inidonea la motivazione della sentenza impugnata a giustificare la decisione, e dall'altro non enunciano il principio di diritto erroneamente affermato nel merito e da rettificare con diverso principio proposto dal ricorrente (sulla inammissibilita' dei motivi solo tautologici e di quelli privi dell'errore di diritto che intendono dedurre: cfr. Cass. 2 dicembre 2008 n. 28536 e Cass. 25 marzo 2009 n. 7197).
La Corte d'appello ha, con coerenza logica e senza errori giuridici, dedotto dall'acquisto di un'abitazione in comunione con una donna la convivenza del Ca. con la stessa che attualmente e' la sua nuova compagna, desumendo da tali fatti la violazione, dallo stesso, dell'obbligo di fedelta' coniugale e nessuna delle osservazioni del ricorrente sulla condizione di socio della donna in una impresa e' idonea a determinare una diversa considerazione dei fatti emersi dalla prova testimoniale; il ricorso incidentale su tale fatto decisivo e' quindi inammissibile.
3. Dei ricorsi riuniti, il principale deve rigettarsi e l'incidentale deve essere dichiarato inammissibile; la reciproca soccombenza delle parti giustifica la totale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi, rigetta il principale, dichiara inammissibile l'incidentale e compensa le spese del presente giudizio di cassazione tra le parti.
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